Storia

Zucchero: una vita tra sacro e profano

– L’artista emiliano alla Festa del cinema di Roma presenta il docu-film “Zucchero – Sugar Fornaciari” evento speciale nelle sale il 23-24-25 ottobre
– «Ho sofferto lo sradicamento dalle mie origini». «Ancora adesso ho la sensazione di non sentirmi mai a casa, da nessuna parte»
– «La campagna mi ha salvato dalla depressione». «La mia priorità restano i concerti». Il nuovo tour “Overdose d’amore” il 30 giugno 2024 a Messina

«È la prima volta che mi confronto con questo tipo di esperienze. Avevo però chiara un’idea: non fare un docufilm celebrativo, ma volevo che ci fosse una buona parte di Adelmo rispetto a Zucchero, che parte dal paesino di provincia Roncocesi, in provincia di Reggio Emilia, vicino al fiume Po, nella Bassa emiliana, e poi viene sradicato a 11 anni e portato in Versilia, dove in effetti – con tutto il rispetto – non mi sono mai integrato, ma lì ho conosciuto mia moglie e sono nate le mie figlie».

Parte da qui il racconto di Adelmo “Zucchero” Fornaciari per presentare, alla Festa del Cinema di Roma, il docu-film Zucchero – Sugar Fornaciari, evento speciale nelle sale il 23-24-25 ottobre. E lo “sradicamento”, come lo ha definito lui, è alla base della sua formazione musicale e, soprattutto, della sua inclinazione blues.

«Questo sradicamento, soprattutto da mia nonna Diamante, che io amavo e che ho raccontato in una canzone scritta con De Gregori, mi ha fatto soffrire e ancora adesso ho la sensazione di non sentirmi mai a casa, da nessuna parte. E quindi ogni tanto ci sono questi pensieri un po’ malinconici. E da qui la mia scelta del blues».

È proprio Francesco De Gregori, uno dei tanti ospiti del documentario, a centrare, secondo lo stesso Zucchero, questo elemento: lo sradicamento.

«Conoscendomi bene ed essendo una persona molto sensibile ha colto il fatto della tribolazione. Io sono una persona “tribolata”. Da lì, secondo lui, viene fuori il blues. E poi fa degli accostamenti alle risaie ed ai lavoratori delle risaie. Quindi, nel film, si parla di queste cose. Si parla della provincia emiliana, che è quella di don Camillo e Peppone, è il mondo di Guareschi, dove c’era un prete che si chiamava don Tagliatella: in effetti si chiamava don Giovanni, ma lo avevano soprannominato Tagliatella perché aveva la forma di un prosciutto. E litigava con mio zio Guerra, un maoista convinto. Nel paesino c’erano soltanto una cooperativa del Partito comunista e la chiesa che era di fronte a casa mia. Non c’era altro: tre case ed i campi. E io sono cresciuto andando a suonare l’organo in chiesa: era l’unico modo per imparare uno strumento senza pagarlo, perché non avevo i soldi. Però suonavo Procol Harum, A Whiter Shade of Pale, un po’ progressive. In cambio dovevo fare il chierichetto. E, quindi, sono cresciuto tra il sacro e il profano. Ancora oggi non ho capito qual è la strada da seguire. Non ho ancora deciso».

Nel docufilm c’è una lunga parentesi dedicata al rapporto di amicizia che legava Zucchero a Luciano Pavarotti. «Lo convinsi a fare il duetto su Miserere e da lì nacque l’idea di fare “Pavarotti & Friends”, al quale hanno partecipato tantissimi grandi artisti di tutto il mondo. Così siamo diventati molto amici. Luciano Pavarotti è stato per me un faro da seguire.Era conosciuto in tutto il mondo, ma quando tornava a Modena e nella sua casa di campagna giocava a briscola con i suoi amici d’infanzia, parlava in dialetto. Era rimasto molto legato alle sue radici. Si faceva portare borse piene di salami, parmigiano, ciccioli e lambrusco a New York. È rimasto sempre se stesso, pur essendo una star e avendo incontrato artisti come Bono, Sting e tanti altri».

L’amicizia, la genuinità, i valori di un mondo contadino, sono parte fondamentale della filosofia di vita di Zucchero. «Con molti ci conosciamo da vent’anni e sono rimasti genuini. Ecco la genuinità è alla base di tutto. Parte da lì una amicizia, una collaborazione. Tu puoi essere piccolo o grande, puoi essere Gesù Cristo o il re d’Inghilterra, ma il motivo che mi dice che vale la pena coltivare questa amicizia è capire e sentire la genuinità. Poi ognuno fa il suo lavoro e fa l’attore nella sua vita, anch’io lo faccio quando vado sul palco o in televisione. Ma è quando sei fuori da lì che devi dimostrare di essere rimasto genuino».

Il film documentario, per la regia di Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano, racconta Zucchero anche attraverso le testimonianze di colleghi e amici come Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Andrea Bocelli, Salmo, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Roberto Baggio, Jack Savoretti, Don Was, Randy Jackson e Corrado Rustici. 

«Si sono mostrati molto generosi, quasi vogliosi di parlare di me e della mia storia. Quando ho sentito le loro parole mi sono chiesto: “Ma come ho fatto?”. Ci vuole costanza e tenacia. Nel mio caso la tenacia è stata una esigenza. Il mio sogno era quello di fare il musicista, mettere su una famiglia e vivere decorosamente. Non miravo a essere Elvis Presley, e neanche pensavo che un giorno avrei pubblicato un disco. Infatti, i primi dieci anni di carriera sono stati molto duri, perché tutti mi dicevano che con il mio genere di musica non sarei andato da nessuna parte. Bussavo e bussavo alle porte delle case discografiche e tornavo a casa sconfitto. In più avevo già moglie e una figlia, ed ero senza una lira. Quindi è stata per me una esigenza quella di continuare a essere tenace. Ma dopo il flop del primo disco, ero già quasi fuori. Con Donne, arrivato penultimo al Festival di Sanremo, grazie al sostegno delle radio, sono riuscito a fare un altro disco. Come ho fatto… Certo il talento, c’è anche la componente della fortuna, delle occasioni. Ma io non me le sono mai godute fino in fondo. Fra il 1990 e il 1992 ho attraversato un periodo buio di depressione (c’era stata la separazione dalla prima moglie, nda). Come dico nel docufilm, ero talmente depresso che solo l’idea di stare meglio mi spaventava, è la verità. Ma è proprio in questo periodo che mi sono capitate le cose più incredibili: mi ha chiamato Brian May, il chitarrista dei Queen, che non conoscevo affatto, che mi invitò al Freddie Mercury Tribute Concert, ho duettato con Pavarotti con Miserere, ed è nata quasi per gioco la versione in inglese di Senza una donna con Paul Young. Io, invece, di fare “wow!”, mi ripetevo di non avere le forze, la testa e che non me ne fregava niente. Adesso va meglio».

Adelmo “Sugar” Fornaciari (foto Luigi Rizzo. Quella in apertura è di Matteo Girola)

Importante fu l’incontro in pizzeria con Enrico Ferri, l’ex ministro, che gli offrì un aiuto per trovare casa a Pontremoli di cui era sindaco. «Ferri mi affidò a un agente immobiliare, ma non trovavo quello che cercavo. Qualche mese dopo, mentre stavo facendo un giro in moto con la mia Harley, vidi dall’alto questa vallata verde, un mulino diroccato, le pecore al pascolo… mi sembrava l’Irlanda. Mi sdraiai sull’erba ed ebbi la sensazione di esserci sempre stato. Decisi di comprarlo e farlo rinascere. Nel 1993 iniziai i lavori che mi aiutarono a uscire dalla depressione: mi tenevano il cervello occupato. All’inizio ci venivo nei fine settimana e nelle vacanze con mio fratello e le mie figlie. Nel 1998 è nato Blue, il mio terzo figlio, e dal 2000 con la mia compagna Francesca ci siamo trasferiti per crescerlo a contatto con la natura».

Il film è una parentesi in una vita dedicata alla musica, in particolare a quella dal vivo. E nel 2024 torna in pista con il tour Overdose d’amore.

«Partiremo in marzo con tre sere alla Royal Albert Hall per fare poi tutta la Scandinavia e il resto dell’Europa. In estate saremo in Italia con tappe allo stadio Dall’Ara di Bologna (27 giugno), al “Franco Scoglio” di Messina (30 giugno) ed al Meazza di Milano il 4 luglio. Per poi ritornare in giro nel 2025 attraverso l’America ed il Sudamerica. Io non ho mai seguito le regole del music business come fanno molti miei colleghi che fanno un album poi dopo aspettano due anni, poi fanno la tournée. fanno magari tre, quattro o cinque eventi, oppure aspettano due anni per lasciare decantare: tutte regole che io non ho mai seguito. Io prendo spunto dalla da non so da BB King o da Eric Clapton, da gente che suona. La priorità per me, soprattutto adesso quando la discografia sta soffrendo per l’avvento di Spotify e tutto va online, è sempre stato il live. Seguo questo film, ma per me il calendario è sempre aperto».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *