Disco

«Sono una donna palestinese che fa la dj»

– È il biglietto da visita di Sama’ Abdulhadi che da Ramallah è volata in tutto al mondo sulle ali della techno
– «Fare la DJ è un modo per sfuggire alle pressioni politiche che si subiscono essendo una donna, araba e palestinese». Arrestata in Cisgiordania per un djset all’interno di una moschea
– Il nuovo mix “Fabric presents Sama’ Abdulhadi” attinge dai suoi viaggi: Siria, Messico, Cile, Argentina, Brasile, Panama, Italia, Francia, Svizzera e Germania

Se la musica da ballo è spesso considerata come una forma di evasione liberatoria – dalla fatica, dall’oppressione, dal trauma – allora Sama’ Abdulhadi potrebbe essere la portavoce della fuga. «La prima cosa che impari come palestinese è che probabilmente morirai. Devi impegnarti un po’ di più perché la vita potrebbe finire in dieci minuti», commenta. E aggiunge: «Fare la DJ è un modo per sfuggire alle pressioni politiche che si subiscono essendo una donna, araba e palestinese».

La più importante DJ techno palestinese del mondo, appuntamento fisso in alcuni dei più grandi locali notturni e festival del mondo, è la prova che si può uscire da un sistema che vuole schiacciarti. Sama’ Abdulhadi è stata la star del Capodanno al Tenax di Firenze e da poco ha pubblicato il nuovo mix Fabric presents Sama’ Abdulhadi.

Nata in Giordania da una famiglia di esuli palestinesi costretti a uscire dalle autorità israeliane che si sono opposte alle attività politiche di sua nonna, Abdulhadi è tornata a Ramallah da bambina e ha prima assorbito l’hip-hop locale (e ha giocato per la squadra nazionale di calcio). Si è poi trasferita a Beirut, dove ha scoperto la techno, e poi al Cairo per studiare sound design, lavorare come ingegnere del suono e DJ in tutto il Paese. La sua svolta internazionale arriva nel 2018, eseguendo un set di Boiler Room dal cuore di Ramallah, trasmesso online dall’underground palestinese: una performance che è stata vista più di 12 milioni di volte fino ad oggi.

Sama’ Abdulhadi ha un sound internazionale di big-room techno, e come DJ globetrotter gode di una libertà di movimento negata a molti dei suoi compatrioti. Dj palestinese, impavida attivista e femminista, ha tuttavia incontrato ostacoli anche nel suo territorio: nel 2020, la sua performance in una moschea palestinese suscitò scandalo, innescando la reazione della parte musulmana più ortodossa che l’ha costretta a trascorrere otto notti in carcere, con l’accusa di «profanare un luogo sacro», nonostante avesse un permesso del Ministero del Turismo. Due giorni dopo la detenzione, un giudice ha deciso di prolungare la pena di quindici giorni, ma la ragazza è rimasta in carcere solo per altri sei grazie a una petizione su Change.org che ha raccolto oltre 101mila firme dalla comunità internazionale dei DJ. Roger Waters dei Pink Floyd e l’attivista politica Angela Davis erano tra i firmatari.

Nell’aprile 2023 la Dj trentatreenne ha lanciato “Resilience”, una piattaforma globale per artisti che possono condividere le loro storie e opere d’arte che ritraggono esperienze di emarginazione, sfollamento e oppressione. Con questo progetto si può dare voce ad individui e comunità spesso ignorati nelle narrazioni tradizionali.

Lo stile di Sama’ è un mix agguerrito di implacabili e palpitanti linee di basso ostinato, batteria intagliata in modo nitido e sintetizzatori scintillanti. Il mood è teso, duro, ribelle. Sovrappone synth e linee di basso, usando modelli sincopati. Il suo singolo Well Fee, con la cantante palestinese Walaa Sbeit, offre un potente distillato del suo stile: batteria potente, accenti ritmici sferraglianti e voce ipnotica. È una pista luminosa, pavoneggiante, che trasuda intensità.

Le tracce di Fabric presents Sama’ Abdulhadi attingono da tutto il mondo: Siria, Messico, Cile, Argentina, Brasile, Panama, Italia, Francia, Svizzera e Germania. Quei visti sul passaporto dipingono un quadro della natura globalizzata della techno nel XXI secolo. 

La tempistica dell’album è coincisa con la serie di tragici avvenimenti che sta sconvolgendo il Medio Oriente: è uscito alla fine di novembre 2023, sulla scia dell’attacco del 7 ottobre guidato da Hamas su Israele, che ha ucciso circa 1.200 persone, tra cui circa 700 civili, e nel bel mezzo delle rappresaglie in corso di Israele contro Gaza – che si stima abbia ucciso più di 22.000 persone, la maggior parte delle quali donne e bambini – e una maggiore violenza dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania. La pubblicazione avrebbe dovuto essere un affare celebrativo, il prossimo passo in una carriera di DJ che dimostra che tutto è possibile per i palestinesi. Forse l’aura di ottimismo intorno al suo progetto era illusoria. Anche lo scorso gennaio, quando ha parlato con The Guardian, Abdulhadi aveva detto: «C’è stato un punto in cui le persone dalla Germania stavano comprando biglietti e volando in Palestina per le feste. Ma ora, nessuno viene. Nessuno è in vena di fare una festa. Nessuno sta nemmeno pensando di organizzare il proprio compleanno». Ma non costringetela a parlare di politica, vi risponderà che «non parlo di politica, io sono già un messaggio: sono una donna palestinese che fa la dj».

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