Nel nuovo album “Reset!” l’artista vicentino mette insieme il folk delle due sponde dell’Adriatico (quella italiana e quella balcanica), De André, Fellini, Dario Fo, Rosa Balistreri. «Suono la fisarmonica perché è lo strumento italiano per eccellenza». «Oltr’Alpe il pubblico vuole la nostra musica, non quella filoamericana». «Le mie non sono canzoni di protesta, ma di proposta»
Reset!, il nuovo album di Luca Bassanese, come introducono le note del comunicato stampa, è «un lavoro discografico nato tra palcoscenici e camere d’albergo». Già, perché, l’artista vicentino svolge una attività “live” davvero incredibile, riempiendo spazi pubblici e sale da concerto con il suo travolgente mix di poesia, teatro, musica folk italiana e suoni elettro-balcanici. È, però, più facile incontrarlo sui palchi di festival internazionali come il Paléo in Svizzera, Esperanzah! e Dranouter in Belgio, Vidor Festival in Ungheria, Bardentreffen in Germania, Nuits Metis in Francia e molti altri.
«Beh, dopo la pandemia, con la ripresa della stagione dei concerti, c’è stato molto lavoro, anche perché dovevamo recuperare gli appuntamenti sospesi», commenta Bassanese. «Con la Piccola Orchestra Popolare abbiamo così dovuto interrompere la preparazione dell’album, cominciata durante il lockdown, per affrontare una serie di concerti in Germania, Francia, Svizzera. L’ordine era: continuare a scrivere, con qualsiasi mezzo, registratorino o telefonino. Reset! è infatti un album corale. Respira dei concerti e del pubblico che abbiamo incontrato».
Il fatto che sia più facile incontrarvi in un festival europeo piuttosto che in Italia vuol dire che nel nostro Paese ci sono meno occasioni per la vostra musica?
«Il nostro genere è sud-europeo. È un folk adriatico, che rispecchia la parte balcanica e quella italiana. Non è un suono filoamericano. In Europa cercano questa musica, più legata al territorio. Se vogliono la musica americana chiamano Bruce Springsteen, se invece desiderano musica italiana cercano artisti più vicini alle proprie radici. A Nyon, ad esempio, nella stessa sera c’eravamo io e, subito dopo, Vinicio Capossela. Perché, in Svizzera, ritengono che la mia musica e quella di Vinicio rispecchino meglio l’Italia. Nel mio progetto convergono anche la canzone d’autore, quella delle origini, Carosone, Modugno, De André, e poi il teatro di Dario Fo, il cinema di Fellini. All’estero, ascoltando questa proposta sentono la storia della cultura italiana. In Italia, invece, la musica riflette stilemi di altre culture. Nel mainstream abbiamo perso la nostra identità, che ritroviamo nella world music».
Il direttore artistico del festival “Le Grand Soufflet” in Francia, presentando Luca Bassanese, ha scritto: «Il menestrello, attivista, poeta e musicista Luca Bassanese uccide l’austerità evocando fanfare e tarantelle transalpine in una grande operetta felliniana, in uno stile che è insieme folk e world music. Musicista cresciuto con i dischi del grande Fabrizio De André e animato dal potente folklore delle due sponde dell’Adriatico (quella italiana e quella balcanica), ha attizzato le braci dell’impegno sociale con note klezmer di ottoni o inebrianti raffiche di opera buffa. Quello che ci propone Luca Bassanese è uno spettacolo moderno, circasso e arruffato, nuovo caposaldo nella sua opera di recupero della grande musica popolare italiana».
La musica di questo menestrello veneto è un esplosivo calderone di sonorità, all’interno del quale si possono trovare anche momenti lirici (nel brano Ridi pagliaccio Bassanese duetta con il tenore lirico Amadi Lagha), per richiamare la grande tradizione italiana del melodramma, e perfino timbriche vocali sarde o canzoni tradizionali siciliane come Cu ti lu dissi, affidata alla voce dell’artista di strada Elodie Lebigre, che fa incontrare i mondi di Fellini e di Gabriella Ferri con quello di Rosa Balistreri.
«Rosa Balistreri è la nostra Violeta Parra, è un onore cantarla. Il recupero dei dialetti è un altro modo per evidenziare le radici italiani. Io ho scelto di suonare la fisarmonica perché è lo strumento italiano per eccellenza. Sono strumenti degli anni Venti e Trenta che ho fatto restaurare da Beltrami a Stradella, dove incontro musicisti che vengono sin dal Brasile. L’Italia è famosa per la qualità delle sue ance».
In Salta per l’indignazione, canzone contro il pensiero unico, c’è un verso – “la mia forza è nella partecipazione” – che richiama La libertà di Giorgio Gaber.
«Gaber è un altro autore che amo. Il concetto di partecipazione è importante e provo di portarlo avanti nei miei concerti, con i quali cerco di fare comunità, di rompere la quarta parete e trovare una comunione con il pubblico. È il concetto della condivisione».
Fra le cover, oltre a Bocca di rosa di De André c’è anche Bella ciao, che è la canzone italiana più cantata all’estero.
«Nel sud della Germania la cantano a squarciagola durante i concerti. In Italia ha assunto una connotazione sociopolitica, ma è un canto per la libertà e la dignità dei popoli. È anche nel repertorio di Goran Bregovic, è cantata negli Stati Uniti».
Reset!, la title track, è l’elogio della contaminazione: si passa dalla lingua spagnola all’inglese, dalla musica sudamericana a quella balcanica.
«La contaminazione quella buona, che non diventa globalizzazione, non diventa pensiero unico, ma vengono rispettate ed emergono le identità nazionali».
L’album è uscito mentre Luca Bassanese continua a girare fra palcoscenici e camere d’albergo. Ospite del Festival della gentilezza a Torre Annunziata giovedì 1 giugno per poi partecipare l’11 giugno a Bologna al FestiVale insieme con gli “angeli del fango” che stanno aiutando le popolazioni della Romagna alluvionata. Perché questo compañero vicentino è molto attivo non soltanto sui palcoscenici, ma anche nel sociale. In questo album c’è una canzone nata come una riflessione sulla follia dell’essere umano dal titolo Soldati buoni soldati cattivi.
«Quando racconti la vita che ti circonda è difficile sottrarsi alle problematiche quotidiane. Le mie canzoni però non danno risposte, ma s’interrogano. Non sono canzoni di protesta, ma di proposta».