– Il progetto “Reimagining Aria” del musicista di Barletta con i compagni d’avventura Daniele Sardone e Pietro Gallo: la Carnegie Hall trampolino di lancio
– Dall’incontro fra il mondo classico e l’improvvisazione jazz germogliano composizioni nuove «oltre ogni limite di tempo e spazio»
– «La rilettura delle arie antiche è coraggiosa sperimentazione per far emergere i legami che intercorrono tra mito classico e follia moderna»
Laureato in ingegneria edile e specializzato in ingegneria del suono, Dario Doronzo ha aperto il cantiere non per alzare edifici, ma per costruire ponti sonori fra la musica del passato e quella contemporanea. Perché, nel frattempo, si è diplomato in tromba, che ora insegna in scuole di tutt’Italia: Milano, Modena, Rodi Garganico, Palermo e Foggia. E, se ci mettiamo anche la passione per i libri sulla tromba, dei quali è collezionista, le sue pubblicazioni e le attività di ricerca e studio dal campo musicale a quello del marketing, abbiamo il ritratto completo di questo geniale e superattivo trentasettenne musicista di Barletta. Ah, dimenticavo: è anche papà di due figli, uno dei quali appena arrivato.
«Grazie agli studi di ingegneria riesco a organizzare tutto questo, è legato alla progettazione», spiega. Più sorprendente ascoltare lo straordinario Reimagining Aria, secondo capitolo di un progetto cominciato nel 2019 con l’album Reimagining Opera, che intende «congiungere due mondi e renderli paralleli», spiega Doronzo. I mondi miscelati sono quelli delle arie antiche, d’opera, e del jazz. Che non è una novità. Si racconta, ad esempio, che Louis Armstrong si esercitasse su un passo della Cavalleria Rusticana e che il suo sogno fosse di registrarla. Si pensi poi a Claude Debussy, Maurice Ravel, Igor Stravinsky e Goerge Gershwin. E, ancora, a Gil Evans e alla sua rilettura di Porgy and Bess, al “Third Stream” di Gunther Schuller o alla più recente rilettura della Norma di Bellini ad opera di Paolo Fresu e dell’Orchestra del Mediterraneo di Nello Toscano. Esperienze che Doronzo, insieme con il suo amico e compositore Daniele Sardone, allargano al pensiero del filosofo francese Paul Ricœur: «Le musiche – alter ego dei testi – si elevano al di sopra delle intenzioni degli autori che le hanno create per produrre e (ri)creare un altro significato, autonomo e nuovo, in cui la spiegazione e comprensione sono unite, e non opposte, nel processo interpretativo. È andare oltre se stessi, oltre ogni limite di tempo e spazio».
Una sorta di ritorno al futuro che il musicista pugliese paragona a «una metamorfosi che ambisce a trascendere la tradizione verso prospettive e potenzialità contemporanee», riprende Doronzo. «L’idea è collegata in qualche modo alla formula del “chiasmo”, cioè lo spostamento delle parole che in letteratura in genere si fa in maniera parallela e che in musica traduciamo nel tempo. Quindi, sono cellule sonore del passato che ritornano nel mondo moderno. Senza sminuire la composizione originale, ma valorizzandola. Le stesse copertine dei due volumi indicano l’obiettivo della ricerca: in Reimagining Opera ci sono delle linee che partono parallele e poi diventano un po’ ondulate, indicano un movimento all’interno di una stabilità classica, che poi diventa una variabilità improvvisativa jazzistica; in Reimagining Aria, invece, in copertina c’è il tronco di un ulivo, a indicare anche il territorio di riferimento, con le radici che s’intrecciano a significare qualcosa che fa germogliare ancora vita, musiche del Seicento o del Settecento che continuano ad avere una vita, qualcosa che si sta costruendo ancora».
Le scelte di Doronzo e del suo compagno d’avventura, il pianista Pietro Gallo, in alcuni momenti accompagnati da Gabriele Mirabassi al clarinetto, non cadono sulle arie più famose del melodramma italiano. Se nel primo album, vengono citati l’Otello, Turandot, Cavalleria Rusticana, nel secondo lavoro si va da arie di Giulio Caccini (1551 – 1618) al ritmo percussivo battuto sulla cassa del pianoforte che irrompe nel severo tema gregoriano affidato ai due fiati di Sebben, crudele di Antonio Caldara (1670 – 1736), dall’intreccio fra fiabesche atmosfere e percorsi labirintici di Chi vuole innamorarsi di Alessandro Scarlatti (1660 – 1725), o i dialoghi fra i due fiati che intervallano la profonda malinconia del motivo O cessate di piagarmi, ancora di Scarlatti, a Quella fiamma che m’accende di Benedetto Marcello (1686 – 1739). Brani che vengono re-immaginati, tanto che a firmarli sono i quattro protagonisti dell’album. C’è il suono pulito della musica classica e c’è quello graffiante del jazz, l’improvvisazione e la struttura composta.
«È il risultato di un percorso particolare», sostiene il trombettista. «In Reimagining Opera, ad esempio, c’è una “Ouverture” di Otello, ma Verdi non ha mai scritto una ouverture: è creare qualcosa che non c’è, pensando alla storia e alle musiche di Otello. È solo una fonte di ispirazione. In Reimagining Aria la cellula è la chiave di volta, si sta spostando: è come la metamorfosi di un bruco che diventa farfalla. Il tema non è variazioni, ma variazioni alla ricerca del tema», sottolinea. «Prima ci sono le variazioni, alla fine esplode il tema: un processo creativo differente da quello usuale».
Il tema della classicità manipolato attraverso il concetto di improvvisazione jazzistica. «È il pensiero jazzistico», precisa Doronzo. «In queste composizioni posso dire che c’è il pensiero classico e quello jazzistico. Questo particolare affresco musicale è raccontato in una modalità del tutto nuova, attraverso un flusso armonico-sonoro privo di nette cesure, un racconto di qualcosa di inedito, partendo dallo studio di materiale edito e pienamente consolidato: una vera e propria mutazione, una curiosa metamorfosi. La rilettura delle arie antiche è coraggiosa sperimentazione per far emergere i legami che intercorrono tra mito classico e follia moderna».
Il progetto di Dario Doronzo, Daniele Sardone e Pietro Gallo sta volando sulle ali della standing ovation tributata loro dal debutto alla leggendaria Carnegie Hall di New York nel 2004. Da allora, i loro concerti sono stati richiesti in tutto il mondo e questa estate si preparano a esordire nel continente dove si vive con la testa in giù, in Australia e Nuova Zelanda.
Per l’iperattivo Dario Doronzo, ovviamente, il cammino non si ferma qui. «Non ho un percorso che ho chiuso. Anzi, continuo a pensare ad altri progetti», annuncia. «Ora mi sto dedicando a un volume nuovo dove sarò da solo al flicorno. Mi sto dedicando allo studio della storia della tromba, sono riuscito anche a procurarmi il rarissimo libro Cornet à Pistons di Jospeh Jean-Baptiste Laurent Arban, che è una sorta di “Bibbia della tromba”. Mi sto dedicando a questi trombettisti che in pratica hanno scritto la storia dello strumento. Inizialmente non erano trombettisti, erano cornettisti. Prima la tromba poteva fare solo gli squilli militari, poi furono applicati tre pistoni allo strumento, divenendo così più versatile: aveva tutta la scala cromatica. A questi pionieri voglio dedicare il mio album solista. Studiandoli, devo confessare, da trombettista mi fanno felice di suonare questo strumento».