Interviste

Santana: la mia storia in un film

Dal 25 al 27 settembre nelle sale cinematografiche il documentario “Carlos”: racconta l’ascesa fulminea di uno dei chitarristi più singolari della storia del rock. Quando Jerry Garcia gli diede la mescalina poco prima che salisse sul palco a Woodstock. «Con il dono della musica, sono in grado di creare qualcosa che le persone religiose non possono fare e le Nazioni Unite non possono fare e il governo degli Stati Uniti non può fare». «Posso benedire e fare miracoli». Il ricordo del concerto a Taormina nel 2011 e la sua personale classifica dei migliori chitarristi

“Chicano” del Messico, nato ad Autlan de Navarro da un padre “mariachi”, un menestrello girovago che gli ha trasmesso l’amore per la musica, per quel suo rock latino che tutti hanno imparato ad amare. Carlos Humberto Santana Barragán, meglio noto come Carlos Santana, 75 anni, leggenda musicale da cinquanta, vincitore di 10 Grammy, continua a essere uno degli artisti più importanti del mondo, capace di fondere jazz, blues e musica mariachi con la spiritualità del rock’n’roll, mostrando il senso di connessione e il legame primordiale tra la musica e le nostre emozioni più profonde.

Un artista che può ancora far impazzire una folla come pochi altri. Lo fa da quando ha fatto irruzione sulla scena di San Francisco alla fine degli anni Sessanta. Ha lasciato il pubblico di Woodstock stordito e sbalordito prima che uscisse il primo disco dei Santana. Il documentario di Rudy Valdez, Carlos, presentato in anteprima al Tribeca Film Festival e per tre soli giorni – 25, 26 e 27 settembre – nelle sale italiane, racconta l’ascesa fulminea di uno dei chitarristi più singolari della storia del rock. 

Santana oggi vive nella Bay Area in California. È a San Francisco da quando la sua famiglia (suo padre suonava il violino in una banda mariachi) si è trasferita dal Messico negli anni Sessanta. «La Bay Area attrae decisamente personaggi, sai?», dice Santana. «Come Minnesota Fats o Les Paul. Mascalzoni. Io li chiamo Divini Mascalzoni».

In casa, appesa al muro, ha una fotografia panoramica della performance di Woodstock. Riflette sul suo viaggio, sul suo suono e su alcuni dei demoni che ha affrontato lungo la strada. «Non ho altro che bei ricordi», ride. «Ho sviluppato un’amnesia celeste selettiva».

Com’è guardare un film sulla tua vita?

«È strano. È interessante osservare questa persona impegnarsi costantemente per realizzare il suo sogno. Chi l’avrebbe mai detto che un minuto prima sto lavando i piatti al Drive-In Tic Tock  e quello dopo sono sul palco con Jerry Garcia ed Eric Clapton e loro mi guardano come se avessero qualcosa da imparare da me? Dicevano tutti: “Dove l’hai preso?”. E io dicevo: “Bene, quando ho suonato questo, stavo ascoltando un musicista zingaro ungherese di nome Gábor Szabó”. E anche batteristi. Ho imparato molto dai batteristi africani. Così ho imparato a strapazzare le uova in modo diverso. I ragazzi dei Creedence Clearwater dicevano: “Come chiami quella musica che stai suonando?”. E io rispondevo: “Ritmi africani con chitarra blues”».

Com’era San Francisco quando sei arrivato lì per la prima volta negli anni Sessanta?

«È stato uno shock venire da Tijuana. A Tijuana, le persone con cui ho cominciato a suonare stavano interpretando John Lee Hooker, Jimmy Reed e Lightnin Hopkins. Pensavamo che B.B. King fosse sofisticato. Lì se non gli piaci, ti sparano. Non volevano che tu diventassi intelligente o sofisticato. Quindi quando sono arrivato qui, è stata una sfida. Fondamentalmente pensavo che tutti conoscessero John Lee Hooker. E poi sono arrivato qui e mi hanno detto: “Chi?”. Ho dovuto ricominciare tutto da capo. Fortunatamente quando sono arrivato qui, i Rolling Stones stavano uscendo e stavano ascoltando le stesse cose che stavo sentendo io. Little Walter e Howlin’ Wolf e Muddy Waters. Questo è ciò che mi ha salvato dall’essere frustrato e dal tornare a Tijuana».

Avevi solo 19 anni quando ti sei esibito per la prima volta al Fillmore West.

«Fin da piccolo mi sono fatta una reputazione. A Tijuana suonando il violino e vincendo la maggior parte dei concorsi radiofonici. Quando sono arrivato negli Stati Uniti, ho iniziato a vincere un concorso radiofonico con mille band. Eravamo tra i primi tre. Tutto ciò che ho fatto per grazia, mi ha dato la fiducia di poter essere sul palco con Jerry Garcia o Michael Bloomfield o Peter Green, e più tardi con Tito Puente e con Miles Davis».

La mia chitarra è la miglior amante di sempre. Le amanti vanno e vengono, ma il tuo rapporto con la chitarra, di qualsiasi marca o altro, rimane. Quando metti le dita su quella nota, ti vengono i brividi. Questa è la miglior amante. Scopri la sensazione di ricevere il primo bacio alla francese. La musica è emozione, sentimento, passione. La chitarra è una estensione del cuore. La musica senza emozione, passione o sentimenti è solo rumore intelligente. Questo è ciò che manca al pianeta in questo momento. 

Carlos Santana

C’era per te un elemento spirituale nella musica all’inizio?

«Da Bob Marley a Bob Dylan, Marvin Gaye, Same Cooke, parlano tutti della stessa cosa: amore. Tutto ciò di cui hai bisogno è l’amore. Se tu ed io abbiamo la possibilità di fare l’autostop con Bezos o Elon Musk, e prendiamo lo space shuttle e andiamo lassù fuori dalla stratosfera e guardi il pianeta, non ci sono bandiere lassù. Non ci sono muri lassù. Non c’è tempo lassù. Maya Angelou ha detto: “L’unica cosa che le persone ricorderanno è come le fai sentire”». 

Come definiresti il tuo rapporto con la chitarra?

«La mia chitarra è la miglior amante di sempre. Le amanti vanno e vengono, ma il tuo rapporto con la chitarra, di qualsiasi marca o altro, rimane. Quando metti le dita su quella nota, ti vengono i brividi. Questa è la miglior amante. Scopri la sensazione di ricevere il primo bacio alla francese. La musica è emozione, sentimento, passione. La chitarra è una estensione del cuore. La musica senza emozione, passione o sentimenti è solo rumore intelligente. Questo è ciò che manca al pianeta in questo momento. La gente ha dimenticato come sentirsi. Fermati, fai un respiro profondo e senti quello che senti».

Carlos Santana durante l’esibizione a Woodstock

Nel film racconti come Jerry Garcia ti abbia dato la mescalina poco prima che tu salissi sul palco a Woodstock, pensando che avessi ore prima di esibirti. 

«Ricordo poco e nulla. Non so se fosse mescalina o LSD. Di fronte a 500mila persone hai una fifa boia. Venivo dopo i Grateful Dead, e in quel clima eccitante feci la performance della vita. Ho pregato Dio perché mi facesse andare in scena e far funzionare tutto: cuore, anima, mente, corpo e cojones. Se coordini tutto è fantastico. Ma ciò che è emerso è stata la fiducia di mia madre: “Dio è al tuo fianco”. Come puoi sbagliare? Ma se non eri a Woodstock non capirai mai».

Hai detto che il manico della tua chitarra ti è apparso come un serpente.

«Io e Eric Clapton ne parliamo perché accadeva anche a lui. Potresti dire chi ha visitato un’altra dimensione. I Beatles lo hanno fatto con Sgt. Pepper. Con il dono della musica, sono in grado di creare qualcosa che le persone religiose non possono fare e le Nazioni Unite non possono fare e il governo degli Stati Uniti non può fare. Che è quello di portare all’unità, armonia, unicità sulla Terra. Suono, risonanza, vibrazione, frequenza: questi sono i miei strumenti».

Nel film parli di essere stato molestato all’età di 10-12 anni. 

«Tutto quello che posso dire con certezza e chiarezza è: non sono quello che mi è successo. Sono ancora, come Dio mi ha creato, con purezza e innocenza. Ho l’abitudine di mandare le persone alla luce invece che all’inferno. Oggi non voglio più dire: “Sono Santana e sono stata vittima di molestie su minori”. Non voglio pensare così. Sono Carlos Santana e per grazia posso creare benedizioni e miracoli».

Nel 2011 hai suonato nel Teatro antico di Taormina. Che ricordi hai della Sicilia?

«La bellezza di Taormina e la maestosità dell’Etna. In Sicilia c’è molto orgoglio, c’è ancora il senso della famiglia e dello stare insieme. La percezione che Hollywood ha della Sicilia è totalmente differente dalla realtà. Nel cinema ancora resiste il falso mito del Padrino. Invece chi viaggia sa che non è così, che c’è tanta passione e c’è tanto amore per il prossimo in Sicilia. Ho visto quello che accade a Lampedusa con i migranti».

Già iscritto nella storia come eccelso chitarrista, Santana stila una sua classifica personale dei migliori colleghi. Jimi Hendrix? «È paragonabile a Leonardo da Vinci». Eric Clapton? «È come Michelangelo: lo ascolto e sento gli angeli volare». The Edge degli U2? «Il suo tocco ha un buon colore e crea trame affascinanti, ma come solista lascia un po’ a desiderare». Keith Richards dei Rolling Stones? «È un mostro sui riff. I suoi sono personalissimi e sono frutto di una grande visione musicale. Lui, Jimmy Page, Mark Knopfler, Jeff Beck, Pete Townshend degli Who hanno il merito di aver portato immaginazione alla musica». E Pat Metheny? «Un grande chitarrista jazz, ed è anche mio amico». Ma i migliori in assoluto, secondo Santana, sono «Segovia, Manita de Plata, che è stato il primo ad influenzarmi, poi Jimi Hendrix, Charlie Christian, Django Reinhard, John McLauglin e B.B. King che ritengo sia il Frank Sinatra del blues».

Il film raccoglie nuove interviste a Santana e alla sua famiglia, filmati d’archivio mai visti prima, tra cui video casalinghi registrati dallo stesso artista, filmati di concerti, scene di backstage, interviste con luminari dell’industria musicale e collaboratori, tra cui Clive Davis e Rob Thomas.

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