Disco

Quando Dylan iniziò a decostruire il mito

– Il 17 novembre esce“Bob Dylan – The Complete Budokan”, cofanetto deluxe che celebra il 45esimo anniversario dei primi concerti in Giappone durante il tour mondiale del 1978 con «l’orchestra» Rolling Thunder Revue
– È uno storico documento sugli inizi di quella «reinvenzione irrequieta» che continua senza sosta fino ai giorni d’oggi nelle esibizioni sul palco. «Non guardare indietro è rimasto un principio guida mentre forgiava nuovi percorsi motivato esclusivamente da una musa impetuosa», scrive Edna Gundersen
– I musicisti che lo accompagnano sono di altissimo livello e Bob lascia che questo risplenda, tagliando i versi delle sue canzoni e sostituendoli con parti strumentali. In perfetta forma, si mostra anche di buon umore

Nel 1978 furono registrate due notti complete di musica quando Bob Dylan suonò al Budokan a Tokyo.Quello che fu pubblicato originariamente tra il 1978 e il 1979 come doppio album dal vivo, si trasforma oggi in un’indimenticabile registrazione di due notti nella vita del più grande cantautore del mondo con la pubblicazione il 17 novembre di Bob Dylan – The Complete Budokan, cofanetto deluxe che celebra il 45esimo anniversario dei primi concerti di Bob Dylan in Giappone durante il tour mondiale del 1978.

Dal 20 febbraio al 4 marzo 1978, con tre serate a Osaka nel mezzo, Bob Dylan e la sua band suonarono otto spettacoli alla Nippon Budokan Hall di Tokyo, all’inizio di un tour mondiale che durò più di cento notti. Come afferma la critica musicale Edna Gundersen nel suo elegante saggio di copertina per The Complete Budokan, il «tour del 1978, un blockbuster che attirò 2 milioni di fan a 114 spettacoli, fu un punto di svolta cruciale. Non solo ha migliorato la posizione commerciale di Dylan, ma ha consolidato il suo status di figura di spicco nella musica rock e nella cultura giovanile, impermeabile alle mutevoli tendenze».

La copertina dell’album ed il quadro “Suonatore di liuto” del Caravaggio

Gundersen, descrivendo il nuovo ritratto in copertina, paragona Dylan e la sua chitarra al “Suonatore di liuto” del Caravaggio, sostenuto da rigogliosi rami di ciliegio in piena fioritura. «È un mago delle allitterazioni e delle svolte artistiche», scrive, notando gli «arrangiamenti avventurosi», le «esibizioni provocatorie» e la «reinvenzione irrequieta». Quella reinvenzione irrequieta continua senza sosta fino ai giorni d’oggi nelle esibizioni sul palco di Dylan. Gundersen conosce quel «processo creativo nomade» e lo spiega così: «Le sue sfacciate revisioni di brani familiari? Solo un primo indizio della tendenza di Dylan a confondere le aspettative e a decostruire il suo mito. Non guardare indietro è rimasto un principio guida mentre forgiava nuovi percorsi motivato esclusivamente da una musa impetuosa».

Il doppio album Bob Dylan At Budokan, che comprendeva le esibizioni delle notti del 28 febbraio e del primo marzo, fu pubblicato nel 1978 in Giappone e in tutto il mondo nel 1979. The Complete Budokan si ispira a questi due spettacoli, ogni traccia è stata meticolosamente rimasterizzata e ripulita da Akihito Yoshikawa, Yuta Yoneyama e Tom Suzuki. Che questo album sia stato creato da nastri analogici conservati e dimenticati fino al 2007, e «appiccicosi di umidità», nelle parole di Gundersen, è quasi miracoloso.

Il 1977 non fu stato un anno gentile per Dylan. Lui e sua moglie Sara stavano divorziando e Dylan aveva trascorso gran parte dell’anno in isolamento, lavorando su Renaldo & Clara e scrivendo le canzoni per Street-Legal (1978). Di nuovo in viaggio per la prima volta da quando la Rolling Thunder Revue aveva abbassato il sipario per l’ultima volta, su Complete Budokan, Dylan si mostra brillante e decisamente allegro, godendosi nel suonare una lunga lista dei suoi più grandi successi che abbracciavano, allora, una carriera discografica di sedici anni. Lui e la band eseguono brani da The Freewheelin’ Bob Dylan (1963) fino all’imminente Street-Legal, la maggior parte dei quali tra i suoi più noti. Ogni sera aggiunge una cover. La prima serata è Reposession Blues, della leggenda di Memphis Roland Janes, che Dylan e la band erano soliti suonare durante le prove ai Rundown Studios di Santa Monica l’anno prima. La seconda è Love Her With A Feeling, del grande bluesman di Chicago Tampa Red, la cui She’s Love Crazy veniva cantava regolarmente da Dylan in tournée.

Le presentazioni della band di Dylan sono geniali e divertenti, proprio come lo sono oggi – dopo alcuni anni di taciturnità – nel suo tour Rough and Rowdy Ways. Non è una band: chiama «l’orchestra» i musicisti che suonano violini, dobro, mandolino, sassofono, flauto e varie chitarre. Per quanto riguarda i cantanti di supporto, dice innanzitutto di averli incontrati «a una convention di disc jockey» e li presenta come «la mia fidanzata, Helena Springs. Sulla destra c’è mia ex moglie Debi Dye, e al centro c’è una giovane donna che farà molta strada in questo business, Joann Harris». La sera successiva le presenta come «tre giovani e bellissime donne… che ho sentito per la prima volta… cantare in un grande magazzino».

La band suona davvero come un’orchestra. Dylan in queste canzoni non vuole enfatizzare sé stesso, la sua voce o uno strumento, ma tutti gli strumenti disponibili sul palco. Rimuove interi versi, i suoi versi, e lascia che siano gli strumenti a parlare. I musicisti sono di altissimo livello e Dylan lascia che questo risplenda. David Mansfield, che aveva appena compiuto 19 anni quando Dylan lo invitò a unirsi alla Rolling Thunder Revue nell’autunno del 1975, è la meraviglia di questo album. Il ragazzo, che era stato soprannominato “The Innocent” nella band, brilla nell’apertura strumentale di entrambe le serate: A Hard Rain’s A-Gonna Fall. È uno strumentale agile e scattante con un sassofono ululante e tastiere boogie-woogie, una chitarra elettrica ringhiante, e poi il canto di Mansfield, il filo del violino oscillante, che si scambia di posto dove una volta c’era la voce di Dylan. La canzone si trasforma in un confronto verso la fine, stranamente allegro per Hard Rain. E il pubblico esulta.

Dalla prima canzone all’ultima, Dylan ha riorganizzato tutto e ti chiede di seguirlo, accettando le melodie cambiate e persino le nuove parole. Cos’è originale, sembra chiedersi Dylan, in una provocazione modernista? È suo e ora lo sta facendo nuovo. All I Really Wanna Do ora ha un inizio clap-stomp: «Ora, non scatenatevi troppo», avverte Dylan, rivolto al pubblico della prima serata. La canzone rimbalza, saltella e suona per tutto il mondo, per poi miracolosamente indossare i panni originali di folk song, con un duro arrangiamento in quattro battute uscito direttamente dal cuore del rock and roll degli anni Sessanta. La voce di Dylan è un po’ incerta, come se non fosse sicura che tutte queste novità incontrassero i gusti del pubblico. Avverrà nella seconda notte, quando la sua voce è più dura, più forte e migliore.

«Ehi, come si chiama questa?», grida Dylan la prima sera all’inizio di All Along the Watchtower. Sembra uno scherzo e non lo è: alcuni dei nuovi arrangiamenti rendono l’incipit di una canzone quasi irriconoscibile, finché non si prosegue nel testo. La notte successiva, identifica la canzone come proveniente «dal deserto del Mojave». In Ballad of A Thin Man, i versi che caratterizzano i libri di F. Scott Fitzgerald vengono sostituiti da brani strumentali. Il sassofono è grandioso, ma si avverte la perdita delle parole. Blowin In the Wind è incredibilmente lenta, costante, dondola come una dolce barca che torna a casa. Una selvaggia Don’t Think Twice diventa un reggae bop. Chi non ama i Wailers? Bob li adora.

Forever Young è semplicemente adorabile, entrambe le sere. Il corno lo ravviva letteralmente, con i coristi che trasportano il ritornello ripetuto nella stratosfera. Girl From the North Country si muove e si intreccia, parlata dolcemente più che cantata, le tastiere completano e seguono la voce di Dylan. Sembra quasi un glockenspiel in accompagnamento, il tipo di suono che Garth Hudson è ancora specializzato nel ricavare da tastiere di ogni tipo. Una piccola e sfuggente I Don’t Believe You / She Acts Like We Never Have Met è toccante, con una linea di mandolino gentile e leggera di Mansfield. I Shall Be Released ha un’atmosfera terribilmente lounge anni Settanta che all’inizio sconcerta. Nella relativamente nuova Going, Going, Gone (1974) Dylan scherza, anche dopo aver già cantato la prima riga, e poi cambia subito il testo.

Dylan e l’orchestra hanno suonato ben 28 canzoni entrambe le sere. Non vacilla né fallisce mai come bandleader e, per quanto riguarda la sua voce, non ha mai suonato meglio. Gundersen lo spiega perfettamente: «Canta con brio e urgenza, la sua voce chiara e melodica e il suo fraseggio impeccabile come sempre».

Il box The Complete Budokan 1978 include le registrazioni live complete alla Nippon Budokan Hall di Tokyo in 4 CD con 58 brani, di cui 36 performance inedite, riproduzioni di cimeli unici, come biglietti dei concerti, 2 poster, due annunci stampati fedeli all’originale, una copia del libretto originale di “Bob Dylan At Budokan”, un libro fotografico a colori di 60 pagine con foto inedite di Dylan sul palco e dietro le quinte, all’aeroporto, delle conferenze stampa e altro ancora, e note di copertina esclusive.  Sempre dal 17 novembre le 58 tracce saranno disponibili in digitale e uscirà Bob Dylan – Another Budokan 1978, unedizione in 2 LP con gli highlights del cofanetto, contenente 16 brani inediti selezionati.

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