Disco

Max De Aloe, l’armonica al centro della musica

– Da Puccini ai Nirvana, da Bizet a Syd Barrett, la “cromatica” diventa protagonista con il musicista lombardo, considerato uno dei più importanti armonicisti del mondo. Il prossimo 17 maggio esce l’album “Melodic Monk”
– «Del jazzista americano mi ha affascinato di più la parte compositiva, rispetto a quella pianistica. Sono composizioni più legate all’aspetto melodico ed a quello armonico, spesso sottovalutati rispetto a quello ritmico, dissonante»

Il Max De Aloe Quartet è un gruppo stabile da circa diciotto anni con una ventina di album all’attivo e centinaia di concerti dalla natìa Lombardia sino a Hong Kong, senza contare una lunga serie di premi. Ma, soprattutto, a sorprendere è il vastissimo territorio nel quale i quattro musicisti spaziano in lungo e largo. Che comprende Bizet, Toots Thielemans, John Coltrane, Charlie Parker, Thelonious Monk, Debussy, la letteratura giapponese, le madri di Plaza de Mayo, Nanuk l’eschimese, Puccini, Verdi, Federico Buffa, Björk, Schopenauer, Eugenio Montale, Emily Dickinson, Nirvana, Syd Barrett, Charles Aznavour e potremmo continuare ancora.

Non solo. Leader del quartetto è Max De Aloe, considerato dalla stampa specializzata internazionale tra i più attivi armonicisti jazz in Europa con un curriculum di prestigiose collaborazioni in sala di registrazione e dal vivo: il suo metodo didattico Method for Chromatic Harmonica, con presentazione, tra i tanti, di Toots Thielemans, ha fatto il giro del mondo. È autore anche del libro L’armonica che respira – di jazz, pugili e ghiaccioli, nel quale esordisce: «Uno che suona l’armonica come proprio strumento già si mette ai margini. Ai margini di tutto». Qualcuno si chiederà: e Bob Dylan? Ma l’armonica di De Aloe è ben diversa da quella dell’autore di Blowin’ in the Wind. L’americano usa la diatonica, l’italiano la cromatica, che fa parte della famiglia degli strumenti cosiddetti ad ancia libera che comprende anche la fisarmonica, il bandoneon, la concertina, l’organetto e l’armonium. 

Eppure, nonostante la marginalità della quale scrive e la difficoltà nell’approccio allo strumento, il musicista di Busto Arsizio ha messo l’armonica cromatica al centro di tutto: lirica, rock, jazz, folk, classica.

«L’armonica è al centro della mia vita», commenta. «E poiché nella musica a me piacciono tante cose diverse, ho cercato sempre di usare il mio strumento per fare la musica che volevo. Ho cercato di non mettermi dei confini. Però, ovviamente, l’armonica cromatica continua a essere considerata, purtroppo, uno strumento minore. Io, nella mia vita, non lo considero tale e ho sempre cercato di fare tutto il possibile per renderlo protagonista».

IL QUARTETTO: Max De Aloe, armonica, Roberto Olzer al piano, Marco Mistrangelo suona il contrabbasso e Nicola Stranieri la batteria

Il compianto David Sanborn, eclettico sassofonista, era solito ripetere: «Lirica, country, musica commerciale, se ti piace è buona. Se ha un significato usala». È anche la sua filosofia.

La copertina dell’album

«Ma sì, assolutamente. Fa parte della mia natura, mi piace accoccolarmi nelle cose che amo. Non ho degli steccati, sono uno che continua a lasciarsi affascinare da ciò che vedo, ascolto o leggo. Una delle cose più belle per me è fare una cena con una persona che non conosco e che mi racconta qualcosa di nuovo da cui posso imparare cose nuove. Il jazz è stata una occasione di vita e di insegnamento, mi ha fatto conoscere tante persone. Ho cercato sempre di incontrare persone più brave, più capaci, per imparare, perché non c’è nulla di meglio di migliorare stando con persone che hanno da raccontarti qualcosa. È la mia indole. Il jazz è poi la matrice dalla quale parte tutto. Mi ha dato anche la possibilità strumentale e culturale per suonare generi diversi: è stato un passepartout importante».

Sempre nel libro “L’armonica che respira”, lei scrive: «Suonare il jazz è navigare su una rotta che può anche repentinamente variare se si vede una seducente insenatura dove fermarsi e fare il bagno». In questo caso, per l’album Melodic Monk che uscirà il prossimo 17 maggio, ritorna su una spiaggia già frequentata. Monk lo aveva già visitato nel disco Borderline del 2014, dal quale provengono i due brani In Walked BudRuby my dear.

«Sì, perché Borderline affrontava l’idea di musicisti che erano un po’ mentalmente borderline. Di Monk mi ha affascinato di più la parte compositiva, rispetto a quella pianistica, seppur fosse un grande pianista che ha contribuito a creare una scuola. Non è tra i miei pianisti preferiti, ma è sicuramente uno dei compositori che amo. È anche la volontà di questo disco, che non vuole ispirarsi al pianismo, allo stile jazzistico monkiano, ma è semplicemente un lavoro che parte dalle sue composizioni e tenta di essere suonato con il nostro stile, con il nostro approccio».

Quindi è questo il criterio di scelta delle canzoni, che vanno da ‘Round Midnight e Ugly Beauty alla più ritmica e divertente I Mean You, o è legato al titolo del disco, ovvero la ricerca melodica.

«Sono composizioni prevalentemente più legate all’aspetto melodico ed a quello armonico. L’aspetto melodico è stato sottovalutato rispetto a quello ritmico, dissonante, rivoluzionario di Monk. Invece, lui aveva un grande lirismo, che a volte non gli interessava mettere in luce mentre suonava, però in realtà c’è. Ed è questo che mi affascina di lui, anche il modo di esporre queste melodie in un certo modo. Non a caso, il pianista che suona nel quartetto (Roberto Olzer, mentre Marco Mistrangelo suona il contrabbasso e Nicola Stranieri la batteria, ndr) è forse il pianista più lontano da Monk che c’è nel jazz italiano, proprio come stile. Roberto arriva da un mondo diverso, con gusti differenti, ma era proprio questo che mi intrigava: fare Monk partendo da un approccio stilistico diverso. Senza nessuna velleità di riscrivere o creare qualcosa di nuovo». 

Ho fatto un raffronto fra la vostra versione di In Walked Bud e quella registrata da Toots Thielemans, ed ho notato che la vostra lettura, oltre a essere leggermente più veloce, è più moderna nel groove e tende al funky nella sezione ritmica, pur nel rispetto della stesura originale.

«Toots, ovviamente, è stato un mio mito, oltre a una persona meravigliosa dal punto di vista caratteriale, ma ho sempre evitato di fare il verso a Toots, di scegliere lo stesso repertorio, gli stessi brani. A In Walked Bud ci siamo arrivati per strade diverse. Sicuramente il suo brano non è stato un riferimento. In effetti, è diverso, forse anche come tonalità. Lavorare a questo disco è stato un bellissimo gioco musicale che spero piacerà al pubblico, così come ha incantato noi».

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