Interviste

Pippo Pollina, canzoni “Nell’attimo” fuggente

– Dopo quaranta date nella Mitteleuropa, il cantautore siciliano dal 20 marzo sarà in tour nel nostro Paese per presentare il suo nuovo lavoro discografico con uno spettacolo “a tu per tour”, molto intimo e personale
– Nel nuovo album, brani suonati quasi da solo con pianoforte e chitarra, con eleganza e raffinatezza. «Forse la scrittura in solitaria del libro mi ha influenzato»
– Il disco non finirà sulle piattaforme di streaming: «Squalifica l’arte». «La situazione della musica riflette quella della nostra vita in generale: si è abbassata moltissimo la qualità rispetto alla quantità»

Agli inizi dello scorso dicembre, ci eravamo incontrati con Pippo Pollina di passaggio in Sicilia nelle insolite vesti di scrittore per presentare il suo libro L’altro, uno spaccato su mondi lontani e diversi, da Palermo alla Germania, sui quali incombe o è presente da sempre il flagello della mafia. Mi aveva annunciato presto novità anche dal punto di vista discografico, e il cantautore palermitano “adottato” dalla Mitteleuropa (vive in Svizzera) non si è fatto attendere. Nell’attimo è il titolo del nuovo album, il venticinquesimo in quarant’anni di carriera. 

Doveva essere un “best of”, «una rivisitazione delle mie canzoni», ma Pollina si è lasciato prendere dagli “astratti furori” e “nell’attimo” di due settimane ha scritto otto nuove composizioni, finite nel disco. Nell’attimo è anche il titolo del tour che, dopo le oltre quaranta date europee (lo raggiungiamo mentre è in viaggio verso l’Austria), arriva in Italia con una prima tranche di otto tappe in marzo e aprile, per poi riprendere in autunno.

Pippo Pollina (foto di Jonathan Labusch)

A tu per tour è il sottotitolo dello spettacolo che il neosessantenne Pollina presenta sul palco. A indicare e rispecchiare l’atmosfera casalinga, intima, acustica e analogica dell’album, suonato quasi da solo, alternandosi fra chitarra e piano, con alcune misurate incursioni di altri musicisti. Con canzoni nate “nel solco delle occhiaie, nelle curve del sonno perdute, in certe rughe del tuo cuore, quando all’alba tace e muore il sogno in noi… È nell’attimo che vivo, in attesa di una danza oscura, di una finestra aperta al mare, della poesia di un rimatore”. Canzoni nell’attimo fuggente.

C’è un legame fra questo nuovo lavoro e il libro che hai scritto? Entrambi sono due opere molto personali, quasi autobiografiche.

«Non so se ci sia un legame… O forse sì, nel senso che il libro è stato scritto in solitaria. Quando scrivi un libro non c’è confronto con altri musicisti, con un produttore, arrangiatore, tecnico di studio… Sei da solo, seduto alla scrivania, passi mesi e mesi a rimuginare le cose che vuoi raccontare e come le vuoi descrivere. E, forse, questa esperienza mi ha indirizzato verso le atmosfere solitarie che hanno caratterizzato la nascita del disco. Un album di riflessioni, suonato quasi da solo, con pochissimi inserti di altri musicisti. Ecco, se c’è un legame è questo». 

Nell’album, però, ci sono tracce che riconducono al tuo passato, alla tua vita. C’è qualcosa di autobiografico. Perché, ad esempio, scegli di cominciare con Aspettando che sia mattino, la tua prima canzone incisa nel 1986? Sembra che tu voglia riprendere il filo di un discorso.

«No, comincio con quel brano perché l’idea iniziale era quella di fare un disco in solitaria con canzoni vecchie, reinterpretate dopo tanti anni. Poi è successo che un mese prima di andare in sala di registrazione ho cominciato a scrivere canzoni nuove, ne sono venute fuori una dopo l’altra. Questo mi ha fatto riflettere. Così ho chiamato la casa discografica e ho detto: “Il concetto rimane lo stesso, un disco in solitaria, però non di canzoni vecchie”. Ne ho mantenuta solo una, quella alla quale hai fatto riferimento».

Pippo Pollina nato a Palermo nel 1963, dalla fine degli anni Ottanta risiede in Svizzera (foto di Jonathan Labusch)

Il brano successivo, Se poi, potrebbe essere il tuo manifesto. Tu canti: “Sono libero come un veliero… Nel cielo senza nome né tempo e bandiere”. La tua dichiarazione di libertà e indipendenza.

«Senza dubbio è un mio manifesto. Mi ci rivedo molto in queste tracce. È un riferimento culturale forte a livello di radici e, allo stesso tempo, anche di libertà. Le radici e le ali: entrambi gli elementi fanno parte della mia vita».

Invece, in I lupi cantare sulle colline, canti: “…In fondo io c’avevo creduto / e al posto della carità / la forza bruta di un acuto / la rivolta la libertà”. Non credi più che possa esserci un cambiamento?

«Quel tipo di cambiamento come lo avevamo pensato noi certamente no. Perché era figlio di una ideologia, che peraltro in Italia è stata vissuta in modo diverso. Ho visto recentemente una bellissima trasmissione su Enrico Berlinguer, mi sembra su LA7, e ripercorrere quegli anni, dai Settanta alla metà degli Ottanta, fino alla morte di Berlinguer, mi ha catapultato in quella atmosfera nella quale ci appigliavamo a delle idee per dare una prospettiva politica alla nostra vita, che fosse in corrispondenza con la nostra coscienza. Ecco, tutto quel periodo adesso non c’è più, sono diversi decenni che è finito. Non perché è finito il comunismo sovietico, perché quello non c’entrava granché con la costruzione di una società socialista, ma perché è cambiato il mondo. Adesso, tuttavia, credo che si possano creare i presupposti per una nuova generazione nella quale la coscienza collettiva ritorna a essere protagonista. Forse per la mobilitazione sui problemi legati al clima. Ma anche i recenti conflitti, che stanno influenzando le sorti della nostra economia, ci fanno riflettere, ci fanno prendere una posizione più radicale rispetto ai temi più importanti della vita e, quindi, potrebbe esserci un cambiamento. Almeno, io lo spero».

Nel disco ci sono due brani strumentali: perché la parola oggi ha perso la sua forza o, più semplicemente, per scelta artistica?

«Mi è piaciuto. Sono due pezzi nei quali mi esprimo soltanto con i miei due strumenti: il pianoforte e la chitarra classica. Mi piaceva l’idea di inserire per una volta, visto che si tratta di un disco quasi in solitaria, due strumentali in cui emergo anche come pensatore di musica e non soltanto come autore di canzoni».

Il disco appare come una produzione artigianale di gran classe. Raffinata ed elegante. Analogica. Come si facevano un tempo i 33 giri, pensando all’ascolto in poltrona, piuttosto che al telefonino. Come il precedente, anche questo non finirà sulle piattaforme di streaming?

«Come allora, anche questa volta mi sono rifiutato di metterlo sulle famigerate piattaforme digitali. Non si trova su Spotify e simili, perché sono contrario. Ideologicamente trovo grave che i musicisti si prestino a questa operazione di bassa lega, che squalifica l’arte sotto ogni punto di vista».

Qual è la situazione della musica oggi? Non c’è un eccesso di offerta, con una qualità molto scarsa?

«La situazione riflette quella della nostra vita in generale: si è abbassata moltissimo la qualità rispetto alla quantità, c’è una presenza della musica quasi insopportabile, ovunque. Se tu entri in un negozio c’è musica di sottofondo, vai al bar e c’è musica di sottofondo, vai in aeroporto e c’è musica di sottofondo. È come se tu dovessi mangiare continuamente e poi non hai più alcun piacere a gustare il cibo. È una situazione che sta deprimendo il significato stesso della musica. Anche perché poi questo tipo di ascolto in streaming, con gli mp3, comprime le frequenze e priva la musica dello spettro che soltanto l’alta fedeltà e la stereofonia riuscivano a dare. Quando eravamo ragazzi noi come facevamo? Spendevamo i nostri soldini per comprarci lo stereo, facevamo a gara a chi aveva la piastra o le casse migliori, facevamo la fila per comprare il disco che stava per arrivare, la sera con gli amici ci si sedeva nel salottino per ascoltare le canzoni, si leggevano i testi. C’era tutto un mondo assiepato sotto questo bosco meraviglioso che era la musica. Adesso tutto questo è finito. Poco ci manca che il telefonino ci farà anche un buon caffè».

C’è poca coscienza del ruolo che il nostro Paese gioca nel mondo. Le persone che dovrebbero avere determinate responsabilità si fanno gli affari propri e guardano la cosa pubblica come se fosse una cosa privata. Questo quasi da sempre, intendiamoci: è una componente tipica del politico italiano. Il Paese risente di questa conduzione malata, a prescindere dall’orientamento politico della compagine di governo, sia a livello nazionale che locale: è una questione di mentalità

Pippo Pollina

E come vedi la situazione italiana osservandola dalla neutrale Svizzera?

«Siamo una grande comunità di persone un po’ confuse. C’è poca coscienza del ruolo che il nostro Paese gioca nel mondo. Le persone che dovrebbero avere determinate responsabilità si fanno gli affari propri e guardano la cosa pubblica come se fosse una cosa privata. Questo quasi da sempre, intendiamoci: è una componente tipica del politico italiano. Il Paese risente di questa conduzione malata, a prescindere dall’orientamento politico della compagine di governo, sia a livello nazionale che locale: è una questione di mentalità. Secondo me, può soltanto migliorare, perché si è raggiunto il punto di quasi non ritorno. Poi c’è una recrudescenza della violenza che è molto preoccupante, proprio perché le istituzioni si sono dileguate, non hanno più educato la nostra società, l’hanno spogliata di certi principi che stanno alla base della nostra convivenza. C’è la microcriminalità che è di nuovo molto forte, la grande criminalità che fa affari in modo invisibile, c’è tanta corruzione. Tutto questo non fa che rendere più difficile una società già malata e il suo funzionamento s’inceppa continuamente. E questo, penso, che lo possiate notare più voi che affrontate queste difficoltà nel quotidiano».

Nell’attimo è un tuffo nella migliore canzone d’autore italiana, quella di Luigi Tenco, Gino Paoli e Lucio Dalla, ma soprattutto di Pippo Pollina, autore che scrive ancora con penna e calamaio, mettendoci la faccia e il cuore. È un disco d’altri tempi, che ti restituisce il calore del focolare. Lo potrete ascoltare dalla voce dell’autore mercoledì 20 marzo al Teatro Agricantus di Palermo, il 22 al Teatro Sociale di Canicattì (AG), il 23 alla Sala polifunzionale S. Agostino – Parrocchia S. Rita di Crotone, il 24 alla Sala Polifunzionale di Cutrofiano (LE). In aprile, il 12 al Folk Club di Torino; il 13 al Teatro San Marco di Trento; il 14 al Teatro delle Energie di Grottammare (AP); il 19 al Teatro Oratorio Boccaleone di Bergamo. Il tour italiano riprenderà poi in autunno con le date di Milano, Roma, Bologna, ecc.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *