Interviste

NICOLÒ CARNESI via dal fast-food per entrare nell’Olimpo

– Il cantautore siciliano pubblica “Ananke”, concept album in cui mette al centro il Mito e sperimenta nuove sonorità con l’uso dell’elettronica, di vecchi dischi e chitarre. Fra i miti greci, altri più moderni, come Cure, Beatles, Pink Floyd e Battiato
– Un lavoro fatto in casa, in piena libertà, che esce fuori da qualsiasi etichetta. «Avevo voglia di fare una cosa completamente diversa da quello che va in voga oggi». «In ogni momento storico, qualcuno utilizza i miti per raccontare il proprio mondo»
– Nel brano iniziale di 8 minuti, “Prometeo”, utilizza l’autotune per intonare canti di balene. «Il progetto è stato così divertente che non ho pensato che potesse essere anacronistico, non commerciabile. Ma chi se ne frega! C’è così tanta musica di quel tipo»

La mattina, appena sveglio, cominciava a leggere libri sulla mitologia, sulla cultura greca, la filosofia greca «che mi hanno sempre affascinato», racconta Nicolò Carnesi. «Ma anche poesie, ascoltavo podcast, mi ha aiutato molto la divulgazione di De Crescenzo che trovo eccezionale perché riesce a unire la leggerezza e l’ironia con un grande contenuto, una capacità superlativa di raccontare quelle storie». 

Poi usciva, rinchiudendosi in un piccolo negozio di dischi, riuscito a sopravvivere all’ecatombe grazie a vecchi vinili, roba usata, «venduta a prezzi stracciati», continua il cantautore palermitano con base a Bologna. «Compravo dischi a un euro».

Con pacchetti di dieci/quindici vinili sotto braccio rientrava a casa. Correva subito a metterli sul giradischi. Li ascoltava, riascoltava, carpendo suggestioni, idee, campionandoli, mettendosi così all’opera come produttore e musicista: «Cominciavo a suonare, sperimentare: registravo, cancellavo, recuperavo». Fino a ora di cena, quando si dedicava allo studio, «magari mentre cucinavo: seguivo corsi e masterclass che spiegavano come equalizzare meglio questa cosa, come trovare una maniera alternativa per fare un determinato suono di chitarra». A notte fonde, si metteva sotto le coperte e riprendeva a leggere i classici della letteratura greca. 

Nicolò Carnesi (foto di Marianna Fornaro)

A tutto questo ha aggiunto «il mio gusto personale», che significa la passione per miti moderni come i Cure, Franco Battiato, Pink Floyd e Beatles, e, perché no, anche reminiscenze del “vecchio” Carnesi. Già, perché Ananke, titolo del nuovo album dell’artista siciliano, segna una svolta rispetto ai suoi precedenti lavori. Sembra quasi che tre anni fa, con l’edizione speciale del suo album d’esordio Gli eroi non escono il sabato, abbia voluto chiudere un capitolo.

«Sicuramente ha chiuso un cerchio… Dieci anni di carriera potrebbero sembrare pochi, ma i Beatles, ad esempio, sono durati anche meno, e hanno fatto, a differenza mia, i più grandi capolavori della storia della musica. Erano anche altri tempi, si produceva di più e in maniera diversa. Non che oggi si produca poco, però è come se fossimo in un fast-food, prodotti di consumo a breve durata. Allora era tutto nuovo, c’erano più prospettive, arrivavano strumenti nuovi. Oggi l’unica novità è l’intelligenza artificiale che non so dove ci porterà».

La copertina dell’album

E, allora, Nicolò Carnesi va controcorrente e ritorna al futuro. S’immerge nella mitologia, sin dal titolo dell’album: Ananke, figura della mitologia greca, dea del Destino e della Necessità, che rappresenta la forza che sovrasta la volontà. E registra un concept album, termine ormai in disuso, fra memoria e innovazione, sintetizzatori e chitarre, notturno e sognante, enigmatico, surrealista e distopico, per gran parte strumentale, in cui fa tutto da solo. «Scrittura, registrazione, missaggio, persino l’artwork», sottolinea. 

Per uscire dal fast-food della musica, per sentirsi libero di creare. «Avevo voglia di fare una cosa completamente diversa da quello che va in voga in questo momento storico», spiega. «Forse è un album per certi versi anacronistico: raccontare il Mito attraverso un concept album è una cosa abbastanza passata, ma non per questo non può essere adattabile anche all’epoca che viviamo, proprio perché crea un’alternativa. Penso che ci sia bisogno di alternative, che probabilmente non arriveranno mai al grande pubblico, ma penso che il futuro degli artisti debba trovare la strada della nicchia, trovare uno zoccolo duro di affezionati che ti seguono proprio perché rappresenti qualcosa di diverso dallo standard: è un aiuto reciproco, quello che su internet chiamano Patreon (è una piattaforma online che permette agli artisti di ricevere direttamente le donazioni dai propri fan definiti patrons-benefattori, ndr). Questo ti permette soprattutto di avere libertà artistica, di non essere costretto a fare canzoni che seguono gli algoritmi dalla durata precisa altrimenti non entrano nelle playlist. Non ho seguito una struttura predefinita, perché sentivo il bisogno di lasciarmi andare, di trovare un linguaggio che fosse davvero mio. Un viaggio personale attraverso storie che esistono da millenni e che, ancora oggi, continuano a interrogarmi. L’idea era proprio quella di fare un disco libero. È un’opera che mi rappresenta al 100% nel bene e nel male, con i suoi pregi e difetti, alla quale ho dedicato tutto me stesso».

Nicolò Carnesi (foto di Marianna Fornaro)
  • Ananke, Prometeo, Zeus, Orfeo, Narciso, chiami a raccolta tutto l’Olimpo.

«Ho raccolto solo una piccola parte di quelle che sono suggestioni o miti. Ho scelto le versioni forse più consuete e ho scritto sopra le musiche. In realtà le due cose si sono ispirate a vicenda, perché inizialmente lavoravo, ma forse è meglio dire mi rilassavo a suonare, stavo ore a creare suite, poi a un certo punto mi sono chiesto: “Perché non le registro?”. Parallelamente, stavo leggendo libri sulla mitologia. Così mi è venuta l’idea di provare ad accostare parte di quelle storie alle canzoni che stavano nascendo. E da lì ho cominciato a lavorarci con coscienza e consapevolezza».

  • La figura mitologica diventa spunto per creare parallelismi fra queste storie legate al mondo antico e i giorni di oggi.

«Non lo faccio in maniera diretta, è conseguenziale. Sono storie archetipe di caratteristiche umane, vizi, pregi, dolori: il parallelismo vien da sé. Nella storia sono stati utilizzati per raccontare il proprio tempo, alcune fasi della nostra vita, materie scientifiche. Mi viene in mente la psicologia: Freud ha preso tantissimo da quegli archetipi per spiegare le sue teorie. Se si legge Prometeo, questa divinità che cerca di andare contro il potere, riportando il fuoco all’umanità, fuoco che rappresenta la tecnica, la coscienza, la consapevolezza. Però l’altra divinità che regnava, Zeus, si accorge di quanto questa coscienza possa essere rischiosa per se stesso, perché questi dei hanno anche lati quasi umani e Zeus sembra un dittatore moderno. La punizione è il Vaso di Pandora che sprigiona tutti i mali possibili e l’umanità si ritrova con una sola nota positiva che è la speranza, ma con la possibilità di passare dal fuoco alla bomba atomica. Il mito di Prometeo tutt’oggi è modernissimo, se aggiungi alcune parole-chiave della nostra contemporaneità diventa semplice capire che quelle storie non differiscono molto dalle dinamiche contemporanee.  In ogni momento storico, qualcuno utilizza i miti per raccontare il proprio mondo».

  • In chiusura del brano, canti: “Sarò mai libero?”. È Prometeo che parla, sei tu o è l’umanità?

«Può essere il mio grido, come quello dell’umanità o di Prometeo stesso che è in rappresentanza dell’umanità. È un grido collettivo. Io, però, non ho ancora ben capito cosa sia la libertà, in quali mondi si trovi di preciso: è un concetto così astratto, così legato anche alla nostra percezione del mondo, alla nostra consapevolezza di esso, che è veramente complicato individuare quali siano i suoi confini. Allo stesso tempo è liberatorio cercarla. Comunque, è una libertà sempre relativa, perché devi fare i conti con l’altra parte del mondo che non è quella che sei tu, ma è una mediazione fra la tua libertà e quella degli altri. La libertà è stare ben con gli altri non stando troppo male tu».

Nicolò Carnesi (foto di Marianna Fornaro)
  • Prometeo apre l’album. Cominciare con un brano di oltre 8 minuti è una sfida.

«Volevo portare rispetto a questo mito, che è uno dei miei preferiti e volevo raccontarlo al meglio delle mie possibilità. Poi ho sempre amato i dischi che avevano canzoni lunghe. Questa è anche un’idea cinematografica, da romanzo della musica: la musica può anche raccontare oltre a essere fonte di emozione. Questo è un disco che non passerà in radio, che avrà una nicchia di pubblico, e quindi perché non fare tutto quello che mi diverte e che mi possa servire meglio a raccontare quella storia? Fra quei dischi che compravo nel negozietto vicino a casa mia, ne trovai uno di canti di balene. L’ho usato in Prometeo: volevo che il brano fosse una canzone organica, che rappresentasse la tecnica umana – ci sono gli elicotteri, astronavi che si percepiscono in alcuni punti della canzone – ma anche qualcosa di primordiale. E quando penso al primordiale, mi viene in mente l’oceano, e mi piaceva l’idea che con lui, nella parte centrale, cantassero anche delle balene che ho intonato con l’autotune. Questo dimostra il fatto che è uno strumento creativo e che, se usato bene, può essere molto fico. Il progetto è stato così divertente e appagante che non ho pensato che potesse essere anacronistico, non capito, non commerciabile. Ma chi se ne frega! Tanto c’è così tanta musica di quel tipo, di cui io mi sono proprio stufato, di queste canzoni da 2 minuti e 40, che riempiono le playlist di tutte le piattaforme streaming, che mi sono detto: “A questo punto faccio qualcosa che ascolterei io”».

  • Anche in Amore e psiche usi l’autotune?

«Qui utilizzo una tecnica mista. Sono partito da un vecchio pezzo che era nato leggendo la favola di Amore e Psiche: si chiama Motel San Pietro, è una canzone che non è mai entrata in un album, ma è una delle mie preferite della mia storia musicale. Sono partito da quell’arpeggio che mi sembrava perfetto per raccontare la favola. E quindi ho campionato da me stesso, da una vecchia canzone, la mia voce che ai tempi era stata fatta con vocoder e autotune, una tecnica che mi era piaciuta nel disco di Bon Iver 22, A Million, e poi l’ho passata ad altre macchine che la deformano, la fanno diventare quasi un synth, perché questa voce si spezza nella notte, nell’oscurità in cui questi personaggi si amano senza vedersi e diventa pura astrazione, pensiero, ideale. D’altronde, Amore e Psiche rappresenta l’idea di un amore ideale che non può essere visto perché in quanto ideale non è materiale».

  • Sin dalle prime note è un disco sognante, onirico. In alcuni momenti si avvertono richiami ai Cure.

«La band dei Cure è stata importante per me. Io ho comprato la chitarra elettrica perché volevo suonare Plainsong, il pezzo che apre Disintegration. Ma all’interno del disco ci sono tante citazioni, dai Pink Floyd all’ultimo pezzo di Sgt Pepper’s dei Beatles quando chiudo la prima parte di Prometeo. Il mio modo di suonare la chitarra si avvicina spesso ai Cure, al dream pop, al dark wave. Le citazioni dei Cure più evidenti sono in Amore e Psiche e Motel Olimpo».

  • Motel Olimpo sembra più in sintonia con il primo Carnesi.

«Vero, a parte l’inizio da dj con tanti campionamenti che s’intersecano, poi c’è l’inciso che ripeto due volte e che riporta molto ai miei ultimi lavori. Lì, nel modo in cui armonizzo la voce, c’è anche un omaggio a Battiato: lui in Italia, oltre a essere stato un grande cantautore, si è dedicato molto al passato, a mettere in musica queste storie. Per esempio, in Caffé de la Paix, che è uno dei miei dischi preferiti, racconta benissimo la caduta di Atlantide. Ricordo quando ascoltai da bambino quel pezzo, rimasi folgorato! Perché riuscivo a immaginarmi perfettamente tutto». 

E Nicolò Carnesi comincia a recitare a memoria il brano di Battiato: «“E gli dei tirarono a sorte / Si divisero il mondo / Zeus la Terra / Ade gli Inferi / Poseidon il continente sommerso / Apparve Atlantide / Immenso isole e montagne / Le statue d’oro d’avorio e oricalco”. C’è tutto, è meglio di una serie tv, ed è tutto in una canzone».

  • Orfeo contiene sonorità anni Settanta, è un sitar lo strumento in chiusura?

«È un sitar campionato da un vecchio disco indiano che ho trovato in quel negozio. Perché l’idea era andare a trovare dischi sconosciuti. La fortuna è stata avere quel bel negozietto vicino a casa». 

  • Fuoco, acqua e cosmo sono temi che si ripetono negli scarni testi.

«Fuoco perché rappresenta la tecnica, il barlume, la coscienza. E la coscienza è tutto per un essere umano, è quello che ci distingue da tutte le altre specie ed è al centro di tutto. È l’esistenza stessa. Solo l’istinto è al di fuori della coscienza. L’acqua perché è dove tutto è nato. Mi ha sempre affascinato l’abisso, l’oceano, proprio perché veniamo da lì. Molte divinità nascono dall’acqua, vedi Afrodite. Il cosmo perché è il tutto, la rappresentazione tangibile dell’esistenza. Non a caso tutta la parte finale con Zeus che s’arrabbia e la battaglia finale: èla mia immagine della cosmogonia, quando nasce la coscienza nasce il cosmo. È lo spazio in cui ci troviamo».

  • Se Eco e Zeus si arrabbia! sono soltanto due brevi intermezzi, Stavamo così bene sdraiati dentro l’uragano è un lungo strumentale a chiusura di un album a mo’ di colonna sonora. 

«Nella mia visione è la lotta finale tra Zeus e Tifone che era l’ultima arma lanciata da Gea, la dea della terra, per difendere il proprio creato. Avevo visto un dipinto che rappresenta Zeus abbracciato a Tifone in questa battaglia in aria che si conclude con la vittoria del re dell’Olimpo che scaraventa Tifone sul monte Etna. Ho provato a mettere un testo per raccontare questa storia, ma sembrava tutto troppo epico. Secondo me andava raccontato con la suggestione e mi piaceva quel titolo. Tuttora, narra la leggenda, Tifone sarebbe ancora imprigionato nel vulcano e si dice che quando si risveglia e s’arrabbia, cercando di liberarsi, l’Etna erutta. Il disco finisce in Sicilia dove tutto è cominciato per me».

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