Disco

Maluf System, la musica migrante

– Dall’Andalusia al Nord Africa fino a Napoli: è il viaggio sonoro del tunisino Marzouk Mejri  in coppia con il ricercatore partenopeo Salvatore Morra
– Nell’album “Eddiwen” (Liburia records), il duo rielabora il tradizionale ritmo maluf, sviluppandone una prospettiva attuale e creando un vero e proprio approccio post-revival 

Ma’luf o malouf, oppure mālūf. Italianizzato diventa maluf. Letteralmente significa familiare o consueto e contiene le tracce uditive della musica portata in Nord Africa, e in Tunisia in particolare, dai profughi musulmani ed ebrei in fuga dalla reconquista cristiana della Spagna tra il X e il XVII secolo. Ha rapidamente acquisito valenza popolare da trasformarsi nella musica tunisina per eccellenza, soppiantando tutte le altre forme e diventando, nel corso dei secoli, il genere più diffuso nel Paese, emblema dell’identità nazionale tunisina. 

Maluf System è il nome del duo formato dal tunisino Marzouk Mejri (voce, ney, darbuka, tabl al baladi e bendir) e dal napoletano Salvatore Morra (oud orientale ed oud tunisino) che martedì 27 febbraio pubblicano l’album Eddiwen per Liburia records, etichetta specializzata nelle musiche tradizionali e nelle contaminazioni. 

La copertina dell’album

Marzouk è nato nel 1966 a Tebourba, in Tunisia. Ha iniziato a suonare la darbuka con il padre, percussionista nella banda di Bourghiba in anni a ridosso dell’indipendenza nazionale. Fu proprio la banda di suo padre a riportare in vita il maluf. Maghrebino nel ritmo, parla soprattutto di amore e nostalgia, utilizzando un linguaggio che fonde l’arabo classico con contaminazioni turche, spagnole e mediorientali.

Nel 1994 fu costretto a lasciare il suo Paese e a trasferirsi a Napoli, dove arrivò con un diploma di scuola di musica e un visto di dieci giorni in tasca. «Ero appena arrivato a Napoli, quando vidi un manifesto in lingua francese – “Sans frontières, sans patron” – che pubblicizzava una manifestazione a favore della regolarizzazione dei migranti. Sotto era stampato il nome di un gruppo marocchino che avrebbe dovuto suonare. Sono andato a vedere di cosa si trattava e quello è stato il mio primo incontro con la musica in Italia. Ho partecipato all’evento e mi sono presentato agli organizzatori. Ho pensato: “Questo è il mio mondo, non me ne vado”».

Marzouk Mejri (voce, ney, darbuka, tabl al baladi e bendir) e Salvatore Morra (oud orientale ed oud tunisino)

E, fedele alla parola data, da allora Mejri vive a Napoli. La legge Martelli, allora in vigore, gli consentì di ottenere il permesso di soggiorno e successivamente di sposare la madre dei suoi due figli. Inizia a collaborare con musicisti come Daniele Sepe, James Senese, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Beppe Barra, Enzo Avitabile e 99 Posse. «Sono rimasto a causa della musica», riprende Mejri. «Fortunatamente, quando sono arrivato a Napoli, la città era estremamente accogliente e culturalmente aperta. Ma ora, quando guardo chi migra, come ho fatto io, vedo che i problemi sorgono lì dove la cultura non può arrivare. Se lavori nei campi, in campagna, nell’edilizia, non incontrerai la mia stessa apertura mentale».

A Napoli, Marzouk Mejri ha formato una band, la Fanfara Station, è diventato il capo del presidio Slow Food di Tebourba, che aiuta a sostenere un cous cous lavorato a mano e fatto con chicchi di grano antico berbero, e nel 2017 è stato protagonista di un documentario Rai intitolato Life of Marzouk, incentrato sulla sua vita familiare. E, all’ombra del Vesuvio, ha incontrato Salvatore Morra, chitarrista ed etnomusicologo, esploratore della musica modale dei mondi arabo-islamici e delle intersezioni con i suoni contemporanei. 

Da questo incontro è nato l’album Eddiwen, una sorta di antologia del repertorio maluf, esplorandone a fondo la rinascita nei contesti migratori, con i cambiamenti e le nuove modalità di fruizione che la contemporaneità comporta. Brani strumentali, field recordings e brani vocali – cantati in arabo classico e forme di dialetto tunisino – formano il complesso mosaico di Eddiwen, che vede la presenza dei diversi strumenti della tradizione a partire dall’oud tunisino – di cui Morra è tra i massimi esponenti europei – il flauto ney, zukra darbouka, ed altre percussioni.

Le dieci tracce alternano diverse tematiche come la nostalgia, l’amore e la felicità e toccano i diversi aspetti della cultura e della tradizione tunisina: dalle radici afro berbere alle forme classiche legate alla nuba andalusa, fino alla spiritualità sufi. Il tutto elaborato dal duo con nuova linfa, sviluppandone una prospettiva attuale e creando un vero e proprio approccio post-revival del maluf. 

I tipici ritmi sulla darbuka, profondi, evidenziano una delle caratteristiche principali del maluf: il suo ritmo rustico, terroso e pesante. Tuttavia, la rielaborazione della tradizione risiede in altre qualità. Marzouk cerca di collegare ciò che descrive come «due diversi stili di performance e musica di maluf», uno orientato verso il passato, il suo risveglio e un senso di autenticità incorporato nella tradizione, l’altro verso una tradizione di rinnovamento e trasformazione.

Nel complesso mondo del Mediterraneo, fatto di intrecci e continui scambi, il progetto di Maluf System si pone come grande punto d’osservazione attuale sul mondo musicale della Tunisia e del Nord Africa. «È legato al fenomeno dell’immigrazione, ed in modo specifico all’Italia», spiega Marzouk. «Perché in Francia i musicisti tunisini suonano questo repertorio in modo ancora più filologico dei tunisini in Tunisia. Maluf System così com’è sarebbe potuto nascere solo in contesti migratori».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *