Disco

Coanda: leghiamo i Sud del mondo

– Il trio formato dai musicisti baresi Marcello Colaninno e Toni Dedda e dal poeta napoletano Cosimo Lamanna presenta l’album “Le vite altrove”, alchimia di musica e poesia
– Una sorta di ritorno al futuro, alla ricerca della canzone d’autore perduta, tra suoni acustici ed elettronica, strumenti suonati e computer programming
– Più che un terzetto, sembra un cenacolo di artisti con la partecipazione delle poetesse Mara Venuto e Marisa Martinez Persico

L’effetto Coandă richiama un noto effetto della fisica, in base al quale i fluidi, a contatto con una superficie curva, tendono a seguirne il profilo (fenomeno osservabile nel volo degli aerei e nel getto d’aria dell’asciugacapelli). Sebbene, la scelta del nome Coanda sia stata del tutto casuale (è un acronimo formato dalle lettere iniziali, centrali e finali dei cognomi dei componenti del trio), tuttavia, nell’alchimia artistica dei musicisti baresi Marcello Colaninno e Toni Dedda e del poeta napoletano, barese di adozione e oggi residente a Roma, Cosimo Lamanna, la musica aderisce alla superficie della parola scritta, dando vita a una sintesi originale e interessante.

La copertina dell’album

Ascoltando il loro lavoro, intitolato Le vite altrove, sembra un ritorno al futuro, di almeno cinquant’anni, andando a cadere nell’epoca d’oro della canzone d’autore, quella di De André, De Gregori, Fossati, Bertoli per intenderci, quando poesia e musica camminavano in parallelo e si rispettava la forma canzone. D’altronde Marcello Colaninno e Toni Dedda provengono da un’esperienza comune, quella dei Funambolici Vargas, gruppo che, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni 2000, ha partecipato a un Premio Tenco e pubblicato un disco prodotto da Italo “Lilli” Greco, padre della moderna canzone d’autore (De Gregori, Venditti, Conte, Avion Travel). 

«Quella dei cantautori è stata e continua ad essere una lezione fondamentale per chi come noi compone musica originale, perché maestri come Conte, Dalla, De Gregori, Fossati hanno dato alla forma canzone una straordinaria dignità artistica e ne hanno in qualche modo fissato i canoni espressivi», spiega Colaninno. «L’esperienza dei cantautori rientra inevitabilmente nelle nostre influenze musicali, perché noi abbiamo cominciato ad ascoltare e poi a fare musica nell’epoca d’oro del cantautorato italiano. Però nel disco si ritrovano influenze e generi musicali differenti, dal rock (La vita che volevi) alla ritmica etnica (Dalla tua notte alla mia), dalla ballata (Le vite altrove) a sperimentazioni più originali (Incabloc). Non cerchiamo di seguire un genere in particolare, ma ogni volta diamo ai testi la forma più adatta per l’interpretazione vocale e la resa musicale. È una precisa scelta stilistica, come quella degli arrangiamenti, che cercano di realizzare una sintesi tra suoni acustici ed elettronica, strumenti suonati e computer programming».

I Coanda sono formati dai pugliesi Marcello Colaninno e Toni Dedda e dal poeta napoletano Cosimo Lamanna

Marcello e Toni non mettono in musica solo le poesie, ma anche il poeta, inducendo Cosimo Lamanna a scrivere testi per canzoni e a partecipare in prima persona alla performance artistica. Piuttosto che dare vita a un trio, sembrano formare un cenacolo di artisti aperto. Tant’è che in Le vite altrove troviamo altre voci, come quelle della tarantina Mara Venuto, poetessa e autrice di testi teatrali, e di Marisa Martinez Persico, poetessa argentina, tra le più importanti autrici della scena ispano-americana. 

«È nato tutto da un incontro per la presentazione dei libri di poesie di Cosimo, Mara e Marisa in una splendida masseria della Valle d’Itria in Puglia», racconta sempre Colaninno. «La lettura dei versi era accompagnata da un nostro commento sonoro. Da queste prime sonorizzazioni sono nate poi vere e proprie canzoni, con testi tratti e riadattati dalle raccolte poetiche. Alla fine, Mara e Marisa hanno accolto con entusiasmo l’invito a collaborare alla realizzazione del disco, donandoci la loro voce e le loro parole».

Marisa Martinez Persico ci ha insegnato un proverbio argentino che recita: “I messicani discendono dagli aztechi, i peruviani dagli incas. Noi argentini dalle navi”. Insomma, siamo tutti figli di viaggi e di migranti, discendiamo dallo stesso racconto, proveniamo da antenati e culture comuni

Marcello Colaninno, Toni Dedda e Cosimo Lamanna (I Coanda)

«Napoli, Buenos Aires, Taranto, Bari non sono città così lontane: i Sud del mondo sono legati da un filo rosso, da una comune sensibilità artistica, da un sentimento di vicinanza che speriamo si percepisca anche nel nostro disco», concordano i tre. «Marisa ci ha insegnato un proverbio argentino che recita: “I messicani discendono dagli aztechi, i peruviani dagli incas. Noi argentini dalle navi”. Insomma, siamo tutti figli di viaggi e di migranti, discendiamo dallo stesso racconto, proveniamo da antenati e culture comuni».

Nella title-track Le vite altrove, quello che si ascolta all’inizio è lo squillo di un telefono? È un riferimento alle nostre vite trascorse con lo sguardo fisso sullo smartphone, diventato unico mezzo di comunicazione?

«Le vite altrove nasce dall’idea che essere altrove è l’unico modo per potersi incontrare, raccontare le proprie esistenze e le diverse esperienze di ognuno. Nella società della comunicazione veloce, si assiste a un paradosso: stare in casa davanti allo schermo di un computer, o per strada con gli occhi fissi sullo smartphone può essere l’esperienza meno reale, la più “disconnessa” dalla vita vera. Per incontrare la vita bisogna essere altrove, uscire, incontrarsi e guardarsi negli occhi. All’inizio del brano abbiamo deciso di inserire lo squillo di un telefono perché la comunicazione rapida, la tecnologia sono diventate rumore di fondo della modernità. Una continua interferenza che impedisce di stabilire connessioni vere, di mettere in contatto idee e sentimenti. Ma da questo sottofondo emerge ancora forte la potenza della parola, la ricerca di un senso, la voglia di comunicare». 

Fra le vite altrove, voi inserite quelle degli abitanti di Taranto (Immaginare un amore) e dei migranti, degli esuli (Talea).

«Nel nostro disco non ci sono molti riferimenti alla “cronaca”, piuttosto c’è molta “contemporaneità”: lo spaesamento, l’incomunicabilità, i piccoli dolori personali, l’eterna ricerca della felicità quotidiana. È inevitabile poi che questi sentimenti abbiano anche un risvolto “sociale”. Talea, ad esempio, è un testo che parla di sradicamento, della difficoltà di far rifiorire altrove la propria vita, e quindi allude anche alle condizioni degli esuli e dei migranti. Immaginare un amore, invece, è un atto di amore verso la città di Taranto e i suoi abitanti, e cerca di raccontare in forma poetica il dramma di esistenze vilipese, incapaci di immaginare un futuro, di concepire persino un amore. Attraverso la nostra musica abbiamo cercato di trasformare il risentimento di questa gente in un sentimento, speriamo condiviso, di vicinanza e di rispetto». 

In La vita che volevi e Canzone nuda, invece, affrontate le paure e i dubbi che accompagnano ciascuno di noi.

«Sono due canzoni che affrontano temi individuali, ma per ciò stesso universali, comuni a tutti. Sono brani che parlano di dubbi, paure, ossessioni della contemporaneità con le quali tutti ci misuriamo quotidianamente. Se si ascolta bene, hanno in comune una struttura di fondo: nelle strofe si dà spazio a momenti riflessivi, introspettivi, mentre i ritornelli si aprono sempre alla speranza, alla ricerca di una felicità possibile». 

Nell’era dell’immagine, di YouTube (che avete utilizzato anche voi con un fumetto), sembrate ribadire la forza della parola.

«La musica di Immaginare un amore è accompagnata da un corto animato, realizzato dal fumettista Leocifero su sceneggiatura del giornalista Stefano Maria Bianchi, entrambi tarantini. Il corto racconta la storia di due sorelle che, in modo differente, provano a costruire un futuro per sé e per i propri cari, sullo sfondo di una città condannata a sgretolarsi e ad essere travolta dalla corsa cieca di un progresso ingannevole. Le immagini e i colori di Leocifero, la forza della storia di Stefano, fanno da contrappunto poetico e da cassa di risonanza per le parole. Le parole hanno una forza straordinaria, ma la musica e il disegno sono linguaggi universali, immediati e di forte impatto emotivo».

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