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Ivano Fossati dal palco alla cattedra

– Il cantautore che ha scelto di ritirarsi dalle scene condurrà un corso universitario sulla musica pop
– «Stiamo attraversando un momento di cambiamento, dobbiamo essere pronti a quello che arriva»
– «Genova ha avuto una produzione musicale formidabile, partendo da Natalino Otto negli anni Quaranta e arrivando ai rapper di oggi. È una delle città più musicali d’Italia, forse d’Europa»

Lo scorso marzo ha ricevuto la laurea honoris causa in Letterature Moderne e Spettacolo all’Università di Genova e oggi Ivano Fossati è salito sulla cattedra per presentare il corso “Musica Pop: senso critico, omologazione e industria” che lo riporta nell’ateneo ligure. 

Aula magna gremita, molte persone sedute per terra e tante che hanno anche affollato l’ingresso per ascoltare le parole del cantautore che nel 2011, allo scoccare dei sessant’anni, ha deciso di mettersi da parte. Riappare per mettere a disposizione delle nuove generazioni la sua quarantennale esperienza.

Ivano Fossati il giorno in cui ha ricevuto la laurea honoris causa in Letterature Moderne e Spettacolo

Per il cantautore e compositore genovese questa è una sfida molto coinvolgente ed eccitante. «Mi aspetto molto da questa esperienza perché ricordo i due anni che ho passato in università facendo i laboratori», spiega. «Li ho terminati dicendo: vado via più ricco degli studenti. Ero assolutamente convinto di aver avuto più io da loro che il contrario». 

Parlando dell’attuale panorama musicale, Fossati avverte il penso dei cambiamenti che stanno creando un gap generazionale. «Se c’è un momento in cui il cambiamento è in atto è proprio questo», commenta. «I cambiamenti ci vogliono, ovviamente la musica stessa è materiale duttile, un materiale che si evolve in continuazione per cui non possiamo aspettarci che rimanga uguale a sé stessa per tanto tempo, non lo fa, non è così, non può funzionare in questo modo».

Lo stesso cantautore, quando annunciò il suo ritiro dalle scene musicali, ammise che i tempi stavano cambiando e che gli artisti che hanno vissuto stagioni intramontabili tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta si ritrovavano in un panorama musicale totalmente diverso, come d’altronde loro stessi. Per questi motivi, Ivano Fossati decise di rimodulare la sua vita «invece di rimanere incagliato nell’immagine di cantautore». In questo cambio di direzione rientra l’esperienza dell’insegnamento.

«Dobbiamo essere pronti a quello che arriva», continua Fossati. «Negli anni Sessanta le persone che avevano la mia età oggi ascoltavano i gruppi beat, rock e dicevano che non era musica, la definivano “rumore”, e questo è un errore che si fa spesso nei confronti di ciò che è nuovo. Ciò che è nuovo invece va abbracciato anche quando ci fa un po’ male, anche quando sentiamo di non appartenergli. Dobbiamo provare a capirlo».

Negli anni Sessanta le persone che avevano la mia età oggi ascoltavano i gruppi beat, rock e dicevano che non era musica, la definivano “rumore”, e questo è un errore che si fa spesso nei confronti di ciò che è nuovo. Ciò che è nuovo invece va abbracciato anche quando ci fa un po’ male, anche quando sentiamo di non appartenergli. Dobbiamo provare a capirlo

Ivano Fossati

C’è, tuttavia, un po’ di delusione da parte dell’autore di La canzone popolare per la poca attenzione nei confronti della scuola musicale genovese. «La musica leggera e leggerissima genovese è un po’ dimenticata», è l’amara constatazione. «Eppure, Genova ha avuto una produzione musicale formidabile, partendo da Natalino Otto negli anni Quaranta e arrivando ai rapper di oggi. La nostra è una delle città più musicali d’Italia, forse d’Europa», mettendo così la città della Lanterna alla stregua della repubblica marinara rivale di Napoli.

«Genova è una città che ha sempre avuto interessi molto profondi nella musica», sottolinea ancora. «Prima agli studenti accennavo della passione per il blues che dominava la città negli anni Settanta, parallelamente ai cantautori. Abbiamo avuto musicisti formidabili e quindi abbiamo una tradizione che va oltre i cantautori e che è molto più vasta e di cui credo la città dovrebbe tenere conto». 

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