È stata particolarmente difficile la compilazione della Top20 con i migliori dischi usciti nell’anno che sta per concludersi. Non per quanto riguarda i primi tre posti, mai in discussione, ma per quelli dal terzo in giù. E questo perché, a parte quelli sul podio, tutti gli altri si equivalgono e la differenza è basata su piccoli dettagli. Potremmo dire che dal quarto posto sono tutti ex aequo. Ho cercato di abbracciare tutti i generi, grande assente il jazz ormai omologatosi sullo scontato contemporary. Ovviamente, questa classifica è stilata sulla base dei miei gusti, che possono non essere condivisi. Proseguiamo a svelare la classifica dei migliori album del 2022 dal quindicesimo all’undicesimo posto:
15. “La notti triunfanti” Michela Musolino
L’artista italoamericana pubblica un album di canti natalizi della tradizione del Meridione d’Italia ricco di sorprendenti intrecci con la cultura americana. A contribuire a questo incrocio di musiche e culture è la chitarra di Mario Monterosso, il rocker catanese di Memphis, produttore dell’album. Il rockabilly solletica la tammurriata del Settecento Ninna Nanna di S. Anna; un piano alla Jerry Lee Lewis infiamma Diu vi manna l’ambasciata, uno dei tre brani attinti dal repertorio di Rosa Balistreri (gli altri due sono Sutta un pedi e Nni la notte triunfanti); violini, chitarre country e organi Hammond s’intrufolano tra antiche arie natalizie del Molise (L’uocchie belle di Santa Lucia) o filastrocche di anziane donne di Bagheria (Tiritera); mentre in Quanno nascette Ninno, canto napoletano del 1754, Michela si confronta con Mina, anche lei interprete dell’antenato del più popolare Tu scendi dalle stelle.
14. “Atto I: il faro dei perduti” Cyrano
L’album del cantautore di Motta Sant’Anastasia, all’anagrafe Carlo Festa,è uno di quei lavori in cui la musica torna ad affrontare temi sociali con linguaggi letterari e sonori di grande spessore. Ascoltando l’album Atto I: il faro dei perduti ci sono sincerità e rigore in tutte le otto tracce, nessuna delle quali sotto i quattro minuti, dove certo non manca il déja-vu, ma dove il fiume di musica è arginato da una buona dose di genuina e artigiana passionalità, che non obbedisce a secondi fini di mercato, ma è l’esercizio di una vocazione. Violini e viole si incrociano con elettronica e sintetizzatori. I perdenti, i respinti, i migranti, gli ultimi sono i protagonisti delle canzoni di Cyrano. Persone che tentano di sopravvivere al disastro generale, che lottano e non si rassegnano. Che cercano di andare oltre, come negli straordinari, emozionanti, sei minuti e più dell’iniziale Disastro e divenire.
13. “Ossario” Marsili
Il disco suona essenziale, particolarmente coerente, ed esprime bene nei suoni, nell’approccio, nell’intenzione della scrittura, una ragionevole versione della canzone d’autore adattata ai nostri tempi, nel solco di quell’“it.pop” tracciato da gente come Colapesce, Motta, Brondi. Marsili spara con la sua chitarra cartucce poetiche ispirate dalla letteratura francese e siciliana. Una stagione all’inferno di Arthur Rimbaud, dal quale è nata la canzone finale Arturo, è una delle letture che hanno orientato il lavoro del cantautore di Belpasso. Come il poema del poeta francese, Ossario è il viaggio dentro il mondo di un soggetto smarrito che “guardo allo specchio e vedo tutti i miei errori” (canta in Campane), sperduto nel cielo a bordo di un pallone aerostatico (Mongolfiera, il singolo dal climax anni Sessanta). Un uomo che immaginava nel futuro di viaggiare su astronavi e che invece ascolta il tuono dei cannoni, riscoprendo ataviche paure: “Se il mondo faceva sempre più paura / Se il pieno costava ogni giorno sempre di più / e al bowling non si gioca più”, canta in Rena, descrivendo uno scenario distopico della Plaja catanese, reminiscenza di Questa notte l’amore a Catania di Cesare Basile, il primo che ha creduto in Marsili. Malinconia, nostalgia e disillusione sono le compagne di viaggio di un “sopravvissuto ai fendenti di aureole di santi, vedove nere, professionisti del debito” e che ancora oggi combatte contro gli sgambetti del destino.
12. “I giorni migliori” Cordepazze
Dopo sette anni, è un bel ritorno per la band palermitana anche in alcuni casi si cede a tendenze di mercato. Sonorità indie.pop fra Daniele Silvestri e Thegiornalisti, i testi sono quadretti di vita familiare. Nove tracce che raccontano gioie e dolori, crisi, speranze e la paura di non farcela mista alla voglia di essere all’altezza di una potenza affettiva come quella familiare. Si parla di divismo, notti brave, del trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Testi che confermano la creatività della band che nel 2007 si meritò il Premio De André.
11. “A Light for Attracting Attention” – The Smile
Il debutto di The Smile assomiglia a un dossier dei suoni e dei temi preferiti da Thom Yorke e Jonny Greenwood durante la lunga carriera della loro band più famosa, ma registrare sotto un altro nome ha permesso alla coppia di sfuggire alle aspettative paralizzanti di un nuovo album dei Radiohead. C’è il tradizionale giudizio negativo sulla società contemporanea e ci sono quelle melodie spettrali che sospendono e cadono come neve illuminata sotto un lampione, ma anche una giocosità concettuale, come la beffarda You Will Never Work in Television Again. Venendo da un diverso punto di vista, Yorke e Greenwood trovano una rinnovata urgenza e la afferrano come giovani uomini che non sono mai stati gravati dalla propria fama. Strepitoso il loro concerto al Teatro antico di Taormina.