– Catanese, fu la prima pianista e cantante swing in Italia, suonò con grandi come Lionel Hampton e Dizzy Gillespie e fu corteggiata da Broadway. Quest’anno cadevano ben due anniversari, nessuno l’ha ricordata
– Se si è cominciato in ritardo a celebrare Rosa Balistreri, la musicista etnea sembra essere caduta nel dimenticatoio come tante altre personalità femminili di talento e coraggio vissute in Sicilia
Alzi la mano chi ha mai sentito parlare della palermitana Amelia Pinto. Oppure chi ricorda l’agrigentina Lina Termini o la catanese Dora Musumeci. Nel tempo in cui hanno vissuto, queste donne hanno rotto gli schemi e conquistato la notorietà. Eppure, di loro, come di tante altre personalità femminili di talento e coraggio, la storia – scritta da uomini – non parla o non parla abbastanza.
La scrittrice Marinella Fiume, nel suo Siciliane – dizionario biografico (E. Romeo 2006) ne ha contate oltre trecento di siciliane così. Più recentemente, Gabriella Grasso nel suo album Le sognatrici ne ha ricordato alcune, Mariannina Coffa, Franca Viola, Graziosa Casella, Rosa Balistreri. Quest’ultima torna al centro delle cronache grazie al film L’amore che ho del regista Paolo Licata, presentato nei giorni scorsi a Torino.
Ma se ad ogni lustro, qualcuno tenta di rendere giustizia alla “cantatrice del Sud”, nessuno ricorda Dora Musumeci. Se Rosa Balistreri è stata la prima cantautrice italiana, la seconda è stata la prima pianista e cantante jazz italiana. La musicista catanese sembra essere caduta nel dimenticatoio, tant’è che sono trascorsi in silenzio ben due anniversari che cadevano quest’anno: i novant’anni dalla sua nascita ed i vent’anni dalla sua scomparsa. Dora Musumeci, infatti, era nata nel 1934 e morta il 10 ottobre 2004.
Frangetta corta, un vestito scollato e in basso la sua firma. Dora Musumeci sorride da una foto d’epoca autografata. I più non lo sanno ma questa donna da molti fu considerata la “regina dello swing”, tanto da essere corteggiata da Broadway. In un mondo fatto di soli uomini, lei è riuscita a ritagliarsi un posto di non poco conto suonando anche insieme a grandi nomi come Lionel Hampton e Dizzy Gillespie.
La musica la piccola Giulia Isidora Musumeci l’aveva respirata sin dai primi vagiti: il padre, Totò, era violino di fila al Teatro Bellini, il fratello Tito suonava il contrabbasso, la nonna era una eccellente pianista per diletto. Insomma, il ritmo Giulia Isidora lo aveva nel sangue. Enfant prodige, già a 6/7 anni si esibiva, suonando il piano in una orchestrina con la quale effettuerà nel Dopoguerra un tour in Tripolitania. La chiamavano perché lei era capace di leggere e suonare immediatamente tutti i pezzi che le proponevano. A 9 anni chiese al padre di mandarle a ritirare direttamente dagli States gli spartiti di George Gershwin, che da quel momento sarà il suo punto di riferimento. Attraverso l’autore di Porgy & Bess scoprirà il jazz e se ne innamorerà.
Forse insegue e sogna Broadway quando, subito dopo aver conseguito a 18 anni il diploma di pianista al San Pietro a Majella di Napoli, sceglie il nome di Dora e presta il suo piano alla rivista. Ed è mentre accompagna ballerini, comici e soubrette, che si sparge la voce di questa favolosa pianista che suona la musica degli afroamericani. “Musica Jazz” le dedica un articolo monografico, lei comincia a girare per l’Italia esibendosi con i grandi della musica, soprattutto jazz, come Dizzy Gillespie e Lionel Hampton. In questo stesso periodo, forma la sua prima band e incide le sue prime opere, che la porteranno in tour in Spagna, Francia, Portogallo, Germania, Belgio e Svizzera.
«Dora è stata la prima grande pianista jazz, un talento straordinario: per lei la musica era un elemento naturale», ricordava Roby Matano, scomparso l’anno scorso, musicista e cantante de I Campioni, che per due anni lavorò con la musicista etnea. «Fu suo padre a chiedermi di entrare nel complesso di Dora come cantante/bassista. Con lei si creò subito un’intesa artistica perfetta e una grande fraterna amicizia. Fu un periodo di tournée in tutta Italia: ricordo, per esempio, il locale L’Oleander a Ischia dove, tra i grandi personaggi che lo frequentavano (attori, giornalisti, ecc.), c’era anche Alfred Hitchcock, anche lui in vacanza a Ischia: a lui piaceva molto la canzone napoletana, in particolare ‘O Marenariello. Il mio rapporto con Dora si interruppe a Viareggio, mentre eravamo al Principe di Piemonte per il veglione di Carnevale, ospite d’onore Gina Lollobrigida… mi arrivò la notizia che dovevo partire per il servizio militare».
Nel 1956 Dora vince il Festival del jazz di Modena e pubblica per la Cetra il suo primo album: La regina dello swing. Fu registrato a Torino, a casa di Gorni Kramer che suonava il contrabbasso, mentre Gil Cuppini stava alla batteria. Negli anni Sessanta arriva a Roma e porta il jazz nel “tempio del beat”, al Piper club, esibendosi con Romano Mussolini e Lionel Hampton. «Ed ora vi lascio con questa meravigliosa pianista», la presentò una sera Nunzio Rotondo, con il quale suonava, lasciandola sola con la ritmica. Fu un successone, tanto che Arrigo Polillo scrisse: «Che l’avvenire del jazz sia nelle mani femminili?».
Seguirono tantissimi concerti, radio, televisione, Dora ebbe parte attiva nel mondo del cinema, registrando alcuni brani per colonne sonore assieme a importanti compositori, tra cui il maestro Ennio Morricone, Romano Mussolini e Giovanni Tommaso. Con il compianto autore di C’era una volta il West, incise il 45 giri Caffè e camomilla, sulla cui copertina era presentata con queste parole. «Ragazza dal viso aperto e dagli occhi luminosi nei quali si riflettono i colori della Sicilia. Pianista ben preparata e appassionata di jazz: qualcuno sentendola cantare e accompagnarsi con tanta carica di swing, l’ha definita la Nelly Lutcher italiana. Non c’è dubbio che Dora Musumeci sia su un livello artistico molto elevato, anche perché sa esprimere con particolare eleganza la sua natura di donna romantica e di ragazza moderna. Un contrasto messo in evidenza da Caffè e camomilla». In quegli stessi anni prese parte al festival di Comblain-la-Tour, dove suona con Cannonball Adderley.
La piccola Dora diventa la “first lady” italiana del jazz che le donne le voleva al massimo cantanti, muse, ma non musiciste. Dora è una pioniera: pelle bruna, anelli d’oro alle orecchie, treccione nero sul prendisole a righe “alla marinara”, lei sta in mezzo a Intra, Gaslini, Cerri, che di nome fanno Enrico, Giorgio, Franco, mentre il suo termina per “a”, Dora come Donna. «Ai pianisti maschietti il mio successo non fece tanto piacere e cercarono di mettermi, in tutti i modi, i bastoni fra le ruote», accusò in una intervista a Gerlando Gatto, pubblicata nel libro L’altra metà del jazz, ricordando uno specifico episodio: «Fui invitata a un festival a Torino: ero una sorta di organizzatrice di regina del festival e feci venire Carlo Loffredo, Romano Mussolini, ma tutti questi erano distaccati, quasi incattiviti, probabilmente pensavano che mi stessi impadronendo della situazione: prima erano loro che chiamavano me, adesso ero stata io a chiamare loro e questo dava fastidio».
Delusa dal mondo misogino del jazz, Dora respinge le avances che le arrivano da Broadway e negli anni Settanta abdica al trono di “regina dello swing” per dedicarsi alla musica classica, suo primo amore, soprattutto a quella di Debussy, Bach, Rachmaninoff. Compose musiche per spettacoli radiofonici, tra cui nel 1972 La scuola dei buffoni di Michel de Ghelderode, per la regia di Romano Bernardi. Collabora con il Teatro Stabile di Catania (ben venti produzioni) ed è spesso protagonista di recital al Bellini, nel frattempo insegna pianoforte al Conservatorio Francesco Cilea di Reggio Calabria. Nel 1994 venne nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica, come eccellenza italiana nel mondo. Dieci anni dopo muore, uccisa da un pirata della strada nei pressi del Corso Italia, dopo un lungo periodo di coma. Dimenticata dal jazz e dalla sua terra.