– Ogni domenica, segnalisonori dà uno sguardo approfondito a un album significativo del passato. Oggi rivisitiamo un’opera che segna un momento di incontro tra la canzone d’autore e la musica popolare, fra la tradizione e l’innovazione
Lucio Dalla era già un affermato cantautore e musicista negli anni Settanta quando si trovò ad affrontare una fase evolutiva della sua carriera. Dopo i successi di Il giorno che verrà (1976) e Come è profondo il mare (1977), che avevano consolidato la sua fama, il 1980 segna un punto di rottura e di rinnovamento. Dalla non è solo un album, ma una vera e propria reinvenzione stilistica e artistica. La sua pubblicazione segna un momento di incontro tra la canzone d’autore e la musica popolare, tra la tradizione e l’innovazione. Ed è anche uno degli album più personali e sofferti dell’autore.
La genesi dell’album è legata a un lavoro di ricerca sonora che Dalla e dei suoi collaboratori portarono avanti con grande attenzione. In particolare, ebbe un ruolo importante Alessandro Colombini, storico direttore artistico della Ricordi prima, fondatore della Numero Uno con Mogol e Battisti poi. Vero e proprio uomo del cantautorato italiano, Colombini ha la capacità di capire il modo in cui Dalla rifiuta programmaticamente proprio l’etichetta di cantautore – sentendosi naturalmente più affine a quella di musicista – e il modo in cui, in una certa misura, quell’essere cantautore diventa invece un fatto centrale, capace con questo artista di smarcare la definizione dalla polverosa ortodossia che la avvolge.
Il contesto storico e sociale
Nel 1980, l’Italia stava attraversando un periodo storico molto turbolento. Gli anni di piombo, segnati da tensioni politiche, sociali e terroristiche, stavano iniziando a entrare nel loro periodo di decadenza, ma il clima di incertezza e instabilità non era ancora passato. La musica, come spesso accade in momenti di crisi, diventava un mezzo di riflessione e di espressione, e l’album Dalla riesce perfettamente a cogliere lo spirito del tempo, con il suo approccio profondo e al tempo stesso leggero verso temi esistenziali e sociali.
Sin dall’inizio, con Balla balla ballerino, nella quale c’è una strofa sibillina: “Balla il mistero / di questo mondo che brucia in fretta quello che ieri era vero / Dammi retta, non sarà vero domani / Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte / Per la mia commozione c’è una ragazza al finestrino / Gli occhi verdi che sembrano di vetro / Corri e ferma quel treno, fallo tornare indietro”. Lucio Dalla sembra pregare il ballerino di fermare quel treno e lo implora con tono rassegnato, perché sa già come andrà a finire. Il riferimento è alla strage alla stazione centrale di Bologna dell’agosto 1980, nella quale persero la vita 85 persone. Balla balla ballerino uscì il mese dopo.
Poco dopo arriva La sera dei miracoli, la canzone che il cantautore ha dedicato a Roma, i cui versi fotografano un momento particolare della città all’inizio degli anni Ottanta, quando con l’Estate Romana si chiudeva la stagione degli anni di piombo (quelli vissuti “con i sacchetti di sabbia vicino alla finestra” che Dalla aveva cantato in Caro amico ti scrivo) e cominciava un nuovo decennio carico di aspettative e novità.
Un disco d’amore
L’ album non ha una linea sonora né tematica univoca, ma si distingue per la sua varietà e per la ricerca di nuove sonorità. È anche un disco d’amore che sull’amore ragiona e lo fa qui e là nei modi più e meno smaccati: in Cara (originariamente Dialettica dell’immaginario) il testo è del filosofo bolognese Stefano Bonaga, suo amico d’infanzia. La canzone racconta dell’incontro tra un uomo anziano e una ragazza molto più giovane di lui, dalla quale l’uomo è inizialmente attratto e poi, sempre più, innamorato. Le intenzioni iniziali dell’uomo (“Ma per uno come me, poveretto, che voleva prenderti per mano / E cascare dentro un letto”) non si traducono, però, in azione. Egli finisce per essere vittima del suo stesso innamoramento (“Almeno non ti avessi incontrato / Io che qui sto morendo e tu che mangi il gelato”) e finisce per rivendicare, a beneficio più che altro consolatorio, la nobiltà del suo comportamento (“Ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare”).
In Meri Luis, che per Dalla era la sua canzone più riuscita, la più sincera, trasparente, canta che Meri Luis “finalmente ha deciso che l’amore è bello / ha abbassato gli occhi e si è lasciata andare”, ma che pure domanda, al cielo: “Adesso, mio dio, dimmi cosa devo fare / se devo farla a pezzi questa mia vita / oppure sedermi e guardarla passare”.
L’amore per Dalla ha a che fare, in modo spiccato, con un conflitto, è un conflitto con la propria identità, con l’amare donne, uomini, un fatto che forse non è riducibile a una semplice questione di eterosessualità o omosessualità, si tratta piuttosto di qualità, di fortuna, di gioco: dell’amore che va o che non funziona, di un mondo relazionale amoroso felice o destinato a non trovare pace, al tormento, all’insoddisfazione. Il conflitto con il proprio sé amoroso e la malinconia derivata da tale conflitto, sono il lato più buio di Lucio, che qui emerge: è un disco dove le canzoni non sono mai felici.
La sintesi dell’istanza amorosa che si apre e di questa malinconia profonda che sembra prendere qui i versi dei testi e legarli alla stessa identica malinconia proposta dalle frasi sul pentagramma – che si esprime dunque in assoli, sali e scendi continui, esplosioni e rientri – trova il suo massimo compimento nel pezzo che chiude il disco, diventato uno dei brani più famosi di Dalla: Futura. Lucio Dalla racconta di avere scritto la canzone su un taccuino una notte del 1979 a Berlino quando, dopo un suo concerto, si fece accompagnare in taxi a Checkpoint Charlie. Arrivato nella piazza, racconta di essersi seduto su una panchina per riflettere, fumando una sigaretta. Poco dopo il suo arrivo vide scendere da un taxi Phil Collins, anche lui a Berlino per un concerto dei Genesis. Dalla avrebbe desiderato salutare il cantante ma si trattenne per non disturbarlo in un momento di riflessione analogo al suo.
La canzone raccoglie le paure, i dubbi, le speranze e i sogni di due innamorati della Berlino divisa dal muro in piena Guerra Fredda. Il cantautore immagina i dialoghi tra gli amanti in una città divisa e ferita dalle tensioni politiche, un luogo in cui è estremamente difficile pensare il futuro, in primo luogo per sé stessi, a maggior ragione per un figlio. Ed è proprio sull’idea di un figlio che indugiano le fantasie e le speranze dei protagonisti della canzone. Quale potrebbe essere il suo nome? Quale il suo futuro? Non si conoscono le risposte, ma la speranza che viva in un mondo migliore di quello presente è esplicita. E se è una femmina, cita la canzone, si chiamerà Futura.
L’eredità di “Dalla”
L’album ha avuto un enorme impatto sulla musica italiana degli anni Ottanta e oltre. Non solo è stato un successo commerciale (è uno dei dischi più venduti dell’artista), ma ha anche segnato un punto di svolta nella carriera di Lucio Dalla, che da quel momento diventa uno dei principali protagonisti della scena musicale italiana. La sua capacità di coniugare melodie indimenticabili con testi poetici e riflessivi lo consacra come uno degli artisti più importanti della sua generazione.
Oggi, a più di quarant’anni di distanza dalla sua uscita, Dalla continua a essere un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono capire la musica italiana di quel decennio, ma anche per chi cerca un’arte che, pur nell’evoluzione e nella sperimentazione, rimane sempre saldamente radicata nella tradizione. Lucio Dalla ha saputo mescolare con maestria il passato e il futuro, l’intimismo e l’universale, creando un’opera che resta viva, capace di emozionare ancora oggi chi la ascolta.