Disco

Dischi sul piatto: deludono Springsteen e Tiziano Ferro

Operazione nostalgica del Boss senza alcuna originalità. Banale e ripetitivo il cantautore di Latina, salvato dai suoi ospiti. Grande prova di talento del trio Cusmano-Toscano-Zirilli nel rileggere in chiave jazz la storia del pop. Interessante l’incontro fra l’ex R.E.M. Peter Buck e l’ex Auteurs Luke Haines. E poi i nuovi dei Phoenix e di Benjamin Lackner

Bruce Springsteen Only the Strong Survive

Ci sono album di Bruce Springsteen nati dall’ossessione per il perfezionismo, infinite ore di studio e pile di potenziali hit scartate che avrebbero potuto essere lasciate. Ce ne sono altri che arrivano in improvvisi lampi di creatività, ancora fumanti mentre ascolti. E ora c’è Only the Strong Survive, un album di cover che ha realizzato all’inizio del lockdown nel suo studio di casa, dove ha ricreato una selezione delle sue canzoni soul preferite, in gran parte oscure insieme al produttore Ron Aniello e all’ingegnere Rob Lebret.

Prima di affrettarsi a giudicare un altro classico rocker che prende il percorso di Bob Dylan o Rod Stewart di rilettura del Great American Songbook, è importante ricordare che le cover hanno sempre significato qualcosa di diverso per Springsteen. Sia che stesse trasformando un singolo reggae di Jimmy Cliff in un’esplosione di tensione, o che stesse scavando attraverso secoli di musica popolare americana per creare il suo disco più giocoso e vibrante del XXI secolo, ha un modo non solo per raccontarci le sue canzoni preferite, ma anche per mostrarci come quelle canzoni lo fanno sentire. È una qualità che ha permesso a brani come Twist and Shout di stare per decenni accanto, ad esempio, a Santa Claus Is Coming to Town e Jersey Girl come punti fermi delle sue scalette di concerti.

Dall’apertura della title track, tuttavia, è chiaro che Only the Strong Survive è uno sforzo meno creativo. “Ora ricordo il mio primo amore, ovviamente, tutto è andato storto”, annuncia il settantatreenne nel suo caldo crepitio di voce parlante, aggiornando l’originale di Jerry Butler con solo alcune lievi variazioni nella scelta delle parole e una risatina d’attore. Da lì, è quasi nota per nota: le corde e i coristi, la linea di basso che cammina e il coro. È un album in cui prevale la nostalgia.

La cosa più sorprendente di Only the Strong Survive è la selezione di canzoni, che va da classici come Turn Back the Hands of Time di Jimmy e David Ruffin a proposte relativamente moderne come la canzone del 2000 di Dobie Gray Soul Days e gemme di gruppi come i Commodores (Nightshift) del 1985 e i Four Tops (When She Was MY Girl). Per coloro che hanno anche una familiarità casuale con la musica di Springsteen, sarà ovvio il motivo che lo conduce a questo materiale. Gli arrangiamenti condividono la sua predilezione per la grande catarsi e l’elevazione dal basso all’alto, il blues nei versi e il vangelo nel coro. Nei testi, ci sono Chevrolet, backstreets, notti d’estate e amore perduto. Anche solo guardando titoli come What Becomes of the Brokenhearted e Someday We’ll Be Together, le connessioni sono così evidenti e ovvie che deve a malapena regolarle per mettere il suo timbro sulla musica. E, quindi, non lo fa.

Un “Volume 1” sulla copertina avverte che ci sarà un secondo capitolo.

voto: 5

Tiziano Ferro Il mondo è nostro

Parte rabbioso Il Mondo è Nostro, il nuovo album di Tiziano Ferro. Una voce ruvida scuote Il Paradiso dei Bugiardi, brano che apre questo viaggio lungo tredici canzoni e che ospita thasup, Caparezza, Ambra Angiolini, Roberto Vecchioni e Sting. Non sembra neanche lui quando parla di quella sensazione sbagliata di un mondo colmo di belle persone. Neanche troppo velato l’attacco a un mondo del quale fa parte ma nel quale non si riconosce e che è popolato da hater e bugiardi.

Ancora una volta si racconta e proprio come nella copertina del disco si racconta felice e sorridente seduto sul bordo di un precipizio, incauto del pericolo, pronto a lanciarsi nella sua prossima avventura.  

Dal punto di vista musicale nulla di nuovo: melodia e ritmo, Tiziano alterna ballatone strappa lacrime a pezzi pieni di brio ed energia. In La vita è splendida sembra fare il verso a Renato Zero. Fatta eccezione per l’inascoltabile Ambra/Tiziano con Ambra Angiolini, nei brani in coppia si lascia trascinare docilmente nel mondo dell’ospite, a conferma di una mancanza di nuove idee e di carattere. 

voto: 4

Phoenix Alpha Zulu

Sei album e un paio di decenni dopo è lecito chiedersi se la formula fortunata dei Phoenix possa accendere la fiamma di una volta. Nel settimo album in studio, l’euforico synth rock della band francese suona bene come sempre, le canzoni traboccano di rinnovato entusiasmo e di una produzione scintillante. Occasionalmente sconfinano dalle linee del loro stile standard, ma per lo più si attengono alla sceneggiatura: sanno cosa funziona, quindi perché cambiare ora? Sebbene emotivamente distante e strutturalmente prevedibile, Alpha Zulu è un disco divertente e frizzante che troverà senza dubbio una casa sulle piste da ballo illuminate da luci stroboscopiche in tutto il mondo.

voto: 5

Luke Haines & Peter Buck All The Kids Are Super Bummed Out

Quello che probabilmente è iniziato come un divertimento, è emerso dal garage e all’improvviso ha avuto gambe e resistenza per andare avanti in modo imprevedibile e con confini elastici. Così l’ex R.E.M. Peter Buck e l’ex Auteurs Luke Haines firmano un secondo e doppio capitolo nato da riflessioni spesso bizzarre ed eccentriche, come nella traccia d’apertura The British Army On LSD, una variante della storia dei nazisti sulla metanfetamina, l’uso oscuro delle droghe nel Terzo Reich. La musica si muove tra punk, psichedelia e sperimentalismo con sapori etnici nel secondo disco. Diciassette canzoni, a dimostrazione dell’urgenza creativa dei due e di un’attitudine al songwriting, con un pizzico di surreale umorismo britannico.

voto: 7

Benjamin Lackner Las Decade

Con una serie di album in trio alle spalle per altre etichette, il pianista Benjamin Lackner cerca nuovi suoni e concetti inediti per la sua musica e li trova in abbondanza nel suo debutto con la ECM. Espandere il suo solito trio a un quartetto potrebbe non sembrare un passo così grande, ma come sottolinea Lackner lo ha costretto a concentrarsi sulla tromba come voce solista e ha dovuto ripensare al proprio ruolo di accompagnatore. A tal fine, il pianista ha composto otto nuovi brani che affrontano la nuova sfida non solo frontalmente, ma con risultati spettacolari. 

Il quartetto, composto da Manu Katché alla batteria, dal trombettista Mathias Eick e da Jérôme Regard al basso, è stellare. Mathias e Manu condividono una lunga collaborazione con l’etichetta e le loro peculiari firme strumentali sono rintracciabili in questo set di materiale esclusivamente originale: otto pezzi di Benjamin, uno di Jérôme.

L’importante ruolo del quartetto può essere ascoltato nell’apertura Where Do We Go From Here con l’esemplare cembalo di Katché che cattura immediatamente l’attenzione e prosegue sulla riflessiva e contemplativa title track.

La potenza ritmica del bassista Regard e Katché, con i forti pattern di guida creati dal batterista, formano parte integrante della musica, e questo è dimostrato con incredibile flessibilità e controllo su Circular Confidence. E la coppia si aggancia in perfetto stile su Open Minds Lost che presenta anche un corno aperto meravigliosamente potente ed espressivo di Eick.

voto: 7

Claudio Cusmano, Nello Toscano, Enzo Zirilli Remember to remember

“Ricordati di ricordare” è un monito alle nuove generazioni, ed è anche un invito a non dimenticare quei brani e quegli artisti che hanno fatto da colonna sonora alle nostre vite, scrivendo pagine immortali nella storia della musica. Artisti che vanno al di là di ogni confine d’età, genere, cultura, razza. Claudio Cusmano, chitarrista catanese, Nello Toscano, contrabbassista etneo, e il batterista torinese Enzo Zirilli, tutti jazzisti di grande talento, hanno così deciso di aprire l’album dei ricordi e registrare una sorta di amarcord sonoro, nella scia di quanto fa Bruce Springsteen. Un’operazione nostalgia e un omaggio, in questo caso, però, svolto con originalità, con uno stile personale. 

Vengono così riletti in chiave jazz classici rock come Blowin’ in the wind di Bob Dylan, Tom Traubert’s Blues e San Diego Serenade di Tom Waits, Desperado degli Eagles, Have You Ever Seen The Rain? dei Creedence Clearwater Revival, Jessica della Allman Brothers Band, Sorry Seems to Be the Hardest Word di Elton John, Show me the place di Leonard Cohen. Canzoni che hanno segnato l’adolescenza e la formazione dei tre artisti. Con l’aggiunta di due inediti, Let’s Hope for the Best, con la chitarra di Cusmano protagonista, e Pink, omaggio, sin dal titolo, di Nello Toscano al gruppo di The dark side of the moon

Album dall’ascolto rilassante, dai suoni vellutati e soffici, avvolgente e notturno. Un jazz che strizza l’occhio al pop. Realizzato con grande maestria e raffinatezza.

voto: 8

1 Comment

  • Emilio Novembre 13, 2022

    Sei stato molto Severo con Zio Bruce… L’album l’ho ascoltato ed è un gioiellino, certo di Cover, ma suonate con tutta la passione, la maestria che il Boss sa infondere ai suoi migliori album.. A me piacque… Mucho… E mi piace lasciarmi trasportare in queste suggestioni sixteens… Il mio voto è 7 e mezzo..

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