Nuova trasformazione e nuovo disco per Héloïse Letissier, meglio nota come Christine And The Queens. Un album scritto in fretta e furia per elaborare il lutto per la madre ed esorcizzare i suoi demoni
Christine And The Queens, nome d’arte di Héloïse Letissier, classe 1988, di Nantes ma presto a Parigi, inseguendo la sua passione. «Che non era la musica» racconta. «Da ragazzina mi perdevo nella letteratura: Dickens, Brontë , poesia francese. Poi Facebook e YouTube mi hanno ribaltato l’esistenza. Volevo diventare un direttore di scena, ma ho avuto un anno orribile, caddi in depressione». Quindi scappa a Londra, dove subisce un fortissimo fascino da parte delle drag queens che si esibivano nei locali della City. «Sono state loro ad aiutarmi, a farmi uscire dalla depressione», riprende. «Mi davano trucchi per cambiare prospettiva. Mi dicevano: “Se non ti piace quello che sei, inventati una migliore”. Così ho iniziato a pensare al personaggio di Christine. E poi mi dissero: “Se non ti piace il teatro, trova qualcos’altro da fare. Canta ragazza”».
Héloïse pensa però (e lo pensa ancora) di avere una voce terribile. Ascoltando Sad Song di Lou Reed, si rende conto tuttavia di poter usare il canto come una forma di espressione corporea. Compra un computer portatile e produce il suo primo brano, l’abbagliante IT, seguito da Saint Claude, in cui annuncia «sono un uomo ora». Nasce Christine And The Queens, in onore delle sue “salvatrici”. Si dichiara pansessuale, poi trans-uomo, e durante le performance live si veste in giacca e cravatta.
Cominciano ad arrivare i primi apprezzamenti, soprattutto sulla capacità nel combinare una potente e totalizzante visualità (look, coreografie, fotografie e luci) alla musica. Nel 2014 dà alle stampe il disco Chaleur Humaine, rilasciato inizialmente soltanto su suolo francese. Poi, dopo essere diventato di diamante a Parigi e dintorni, platino in Belgio e oro in Svizzera, oltrepassa le Alpi per colpire anche in Italia. Oltre un milione e mezzo di copie in tutto il mondo. Un megasuccesso che disorienta Christine. «Durante questo periodo ho sperimentato molte cose profonde e la tensione tra il tour e il resto della mia vita che si sgretolava è diventata insopportabile», confessa l’artista francese.
Dopo Chaleur Humaine, Christine si ferma per quattro anni, tornando nel 2018 con Chris, con cui ricomincia la scalata: disco dell’anno in Gran Bretagna, dove si piazza al terzo posto nella classifica degli album più venduti, una serie di collaborazioni internazionali, fra le quali quella con Charli XCX con l’acclamato singolo Gone, e un tour lungo diciotto mesi.
Sul palco Christine si trasforma. «Mi preparo duramente come fossi un atleta, i miei riferimenti sono Pina Bausch e Bob Fosse». Si muove come il primo David Bowie. Ma per capire il suo vero idolo bisogna guardarla nel video di Saint Claude, dove fa il verso a Michael Jackson, muovendosi molleggiata sui suoi passi: un pop strambo, contaminato da teatro e danza. «Lui è il mio punto di riferimento assoluto, per quello che faceva ascoltare e insieme vedere. Il potere della performance allo stato puro».
Al teatro, alla danza e alla musica, questo genietto francese ha aggiunto il cinema e la moda nel progetto La Vita Nuova, che consiste in un EP con sei tracce ed in un meraviglioso film nel quale Chris dimostra tutta la teatralità, la padronanza dell’intensità vocale e il contatto diretto che riesce ad avere con la radice dell’emozione. Il concept movie è un capolavoro. È viaggio interiore che l’artista compie nel famosissimo teatro parigino Opéra Garnier, che riempie con storie di fantasmi e creature mistiche, muovendosi tra il Francis Ford Coppola di Bram Stoker’s Dracula, lo Stanley Kubrick di Eyes Wide Shut, il David Lynch di Mulholland Drive, con richiami al cinema di Wim Wenders e Ken Russell e al musical The Phantom of the Opera di Andrew Lloyd Webber.
Tutto è incerto con Christine & The Queens. Dalla lingua delle liriche, equamente divise in francese e inglese in un interscambio tanto serrato da avvenire spesso dentro lo stesso verso di una canzone (senza rinunciare a sprazzi anche di italiano), alla musica, che si divide tra il maschio della base elettronica – sempre molto fredda, calcolatrice e “distante” – ed il calore della chanson francese, emotiva e femmina. Christine and The Queens sa essere leggera ed intensamente drammatica allo stesso tempo. Esplora le sue identità. Supera le barriere di genere e di gender. Rammenta la discriminazione nei suoi confronti muovendosi tra rantoli percussivi e un funk in stile Michael Jackson. Mescola Madonna, Perfume Genius e Florence & The Machine.
Proprio la signora Ciccone è un altro dei punti di riferimento di Christine per il modo in cui ha affrontato il mondo dello spettacolo. «Credo che le donne debbano essere ora come samurai, ora come maestri di kung-fu», dice. E spiega: «Dobbiamo essere forti, ma calme allo stesso tempo. Rivedo spesso il documentario A letto con Madonna … ci si sente come allora, con le stesse preoccupazioni». Ma Christine non vuole passare come femminista. «La cosa che mi preoccupa è che a volte faccio interviste e sembro apparire come la santarellina che non banalizza il proprio corpo. Mi dicono: “Tu non sei una puttana. Non stai vendendo il tuo corpo come Miley Cyrus”. Ma io amo Miley! È punk rock, è pazza, lei è sexy, è cool. A me piacerebbe essere percepita come una rockstar maschile».
Diavolo e acqua santa, vampiro e angelo, come nel progetto La Vita Nuova, o come in Je te vois enfin, il singolo electro-pop da vampiro, che ha anticipato il nuovo album, presentando il suo nuovo alterego, Redcar, che – come indica il titolo del disco – è un’adorabile stella della danza. Redcar è una figura maschile che prende il nome dai veicoli rossi che hanno iniziato ad assumere un significato per lui dopo la morte improvvisa della madre nel 2019, mentre Chris era impegnata in due set a Coachella. «Il suo cuore si è fermato bruscamente», racconta. Ha cancellato il suo secondo “live” ed è tornata di corsa in Francia, ma non è stato in grado di stare con lei quando è morta. «E da allora, tutto è diventato molto caotico».
Poi però la definizione del personaggio si complica. Se nei film di successo, i personaggi di maggior successo possono essere riassunti con la presentazione di una riga – Ziggy Stardust: pop star aliena gay; The Fly: il diametralmente opposto del vecchio e serio Bono; Sasha Fierce: come Beyoncé, solo più sexy e più aggressiva – Redcar appare invece complicato fino all’impenetrabilità. Sul suo feed di Instagram, ci sono video di lui vestito da uomo d’affari, seduto dietro una scrivania, mentre fa a pezzi un cetriolo e canta con voce in falsetto; come una dominatrice che brandisce una cintura come una frusta; come un marinaio zoppicante e pesantemente truccato, con indosso quello che sembra un fez. Quando un trans-uomo, per Redcar è una liberazione, anche se non facile. Si ritrova in conflitto con ciò che ci si aspetta da lui.
Confusa e incerta appare anche la nuova svolta musicale dell’artista, che, dal titolo dell’album, Redcar les Adorables Étoiles (prologue), preannuncia altri capitoli. Il disco – realizzato in due settimane, da sola sul computer nella sua casa di Parigi – appare astratto e torbido: i toni macchiati del sintetizzatore sono il suono portante. Ci sono, tuttavia, momenti in cui la sua innata capacità compositiva esprime tutto il suo talento: la melodia di Ma Bien Aimée Byebye è malinconica e adorabile, così come quella di Mémoire des Ailes. In La Clairefontaine – un’altra stupenda melodia – la sua voce salta elettrizzante in un falsetto. Ma l’album è costellato di tracce che sembrano informi e abbozzate: Tu Sais Ce Qui’il Me Faut, con la sua batteria anni Ottanta in forte espansione sembra stia divagando prima di giungere alla sua conclusione, mentre Les Étoileszoppica su un ritmo sgraziato. Combien de Temps ha un movimento accattivante, ma non è abbastanza per mantenere l’interesse dell’ascoltatore per la maggior parte degli otto minuti e mezzo di durata. Le Chanson du Chevalier suona favolosa, con un inebriante vortice di voci multitraccia, ma è melodicamente troppo vaporosa.
Alla fine, non si comprende se Christine abbia cercato di fare tutto perché l’album non risultasse commerciale o se i difetti siano legati alla velocità con cui è stato realizzato l’album.