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La canzone popolare vola sulle ali del Dedalo Festival

La rassegna di Caltabellotta, come avviene in quella leggendaria di Newport negli Usa, è stata invasa da giovani intenti a studiare e riprendersi le tecniche popolari, riscoprire canti e personaggi scomparsi e cercare nuove strade, nuovi approcci. Quattro giorni intensi di appuntamenti tra concerti, dibattiti, teatro e un bicchiere di vino

I percorsi della canzone popolare si arrampicano sulle tortuose strade che conducono verso i tre picchi che dominano Caltabellotta, cittadina dell’Agrigentino citata da Boccaccio nel Decameron e nella quale vivono le leggende di Dedalo, dei nemici del Santo Graal e di San Pellegrino che salvò il paese dal drago. Lassù, all’ombra delle creste delle montagne del Kratas, da quindici anni il Dedalo Festival allunga lo sguardo dall’Etna a Lampedusa, offre un’ampia panoramica della cultura siciliana. Per quattro giorni, nella rinnovata Villa Comunale, una volta giardino dei frati Carmelitani titolari della chiesa S. Agostino, il convivio d’arte creato dal musicista, poeta e scrittore Ezio Noto è diventato il crocevia di musicisti, attori, scrittori. Luogo d’incontro, dove da sera a notte tarda, si discuteva, recitava, suonava, cantava, dipingeva. Si rideva, si ballava, ci si commuoveva e ci si emozionava. Per poi chiudere con quattro chiacchiere fra amici davanti a un bicchiere di buon vino, come accadeva a Sanremo al Premio Tenco.

Caltabellotta è stata invasa da giovani intenti a studiare e riprendersi le tecniche popolari e riscoprire canti e personaggi scomparsi dal mercato e dalla vita musicale. Qui hanno trovato un palcoscenico per una rimpatriata o per potersi esibire davanti a un pubblico. Un luogo d’incontro, di confronto e di contaminazioni, per cercare nuove strade, nuovi approcci, nuovi sbocchi. Un faro culturale a indicare la strada. Una sorta di Newport Folk Festival, il più importante raduno della scena folk americana. Ma qui, a Caltabellotta, un Bob Dylan che attacca la chitarra all’amplificatore non viene fischiato. Tutt’altro. Qui, se un malanno non l’avesse fermato, Alfio Antico, il custode di una cultura ancestrale e dei segreti del tamburo, avrebbe duettato con l’elettronica del giovane Less. 

È capitato, invece, che il lampedusano Giacomo Sferlazzo abbia ricordato il riberese Giuseppe Ganduscio (1926-1963), poeta che si dedicò al recupero di canti popolari siciliani incidendone anche qualcuno personalmente, e, nella stessa sera, Libero Reina ed i Pupi di Surfaro si siano proiettati nel futuro, combinando le tradizioni con l’elettronica e la canzone d’autore il primo, con il kombat rock e la letteratura distopica i secondi. Come è successo, nella serata finale, che il nebroideo Marco Corrao abbia fatto duettare l’alternative folk con la fisarmonica del toscano Riccardo Tesi. Oppure l’attore agrigentino Gaetano Aronica che ha svelato il suo mestiere e se stesso ai giovani Sognattori. Ad ascoltare, seguire e applaudire ogni sera una folta e variegata platea di spettatori, molti anche in cerca del fresco di Caltabellotta (dove il maglioncino era d’obbligo la sera). 

Sono state quattro serate intense, divertenti ed emozionanti, che hanno riunito quasi tutti i nuovi protagonisti della musica popolare siciliana: i cantautorali e teneri Vorianova (che hanno fatto debuttare il loro figlio di 9 anni alle percussioni), l’aulico Giuseppe Di Bella con Giovanni Arena, la divertentissima e talentuosissima Oriana Civile, la cantautrice Giana Guaiana, la percussionista Valeria Cimò, il bluesman cantastorie minimalista Cesare Basile, Pas Scarpato, siciliano di scuola partenopea, Antonio Clementi, il siciliano di scuola genovese, il cantautore e virtuoso percussionista Davide Campisi, i citati Libero, Pupi di Surfaro, Marco Corrao e Giacomo Sferlazzo, quest’ultimo straordinario interprete anche di un “cuntu”. 

Ma Dedalo Festival non è solo musica. È teatro, e una menzione va a Carmelo Rappisi, animatore di intermezzi comici e tragici nel passaggio fra due sezioni, mentre troppo fugace, superficiale e autoreferenziale è apparso Gianfranco Jannuzzo. È cinema e televisione con Gaetano Aronica, attore agrigentino alla corte di Netflix con Barbarians. È impegno civile e sociale con Il Mio sogno le mie ali di Cristina Marchione e il ricorrente tema dell’immigrazione. È ricordo con i tanti omaggi di amici e semplici conoscenti a Roberto Sottile, professore di linguistica italiana della Facoltà di lettere di Palermo e musicista scomparso un anno fa. È pittura con Giovanni Proietto che, con la sua live painting art e le sue pillole di saggezza, ha accompagnato le serate del Festival. È scultura con Salvatore Rizzuti, l’artefice della statua di Dedalo che sormontava il palco del Festival in un metaforico volo verso il futuro.

È, soprattutto, speranza di ripartire dopo due anni di buio e di ridare vita a uno splendido e ancora poco conosciuto borgo, ricco di storia e di bellezze, che soffre lo spopolamento come tanti altri piccoli centri della Sicilia interna (anche se qui il mare è a due passi). È desiderio di dare la dignità culturale e coesione a un movimento musicale che sta crescendo sparpagliato in ogni angolo dell’isola, senza sostegni pubblici (come accade invece in Puglia) e orfano di padri culturali (come quel Roberto De Simone che “benedisse” il newpolitan sound). In tal senso, è una buona notizia la nascita dell’etichetta discografica “Suoni indelebili” creata da Davide Campisi e Marco Corrao e alla quale fanno già riferimento alcuni dei protagonisti del Dedalo Festival 2022.

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