Disco

Yarákä, incroci sonori fra riti magici e sacri

S’intitola Curannera” il disco dell’ensemble tarantino che racconta l’esorcizzazione di un male o di una paura tramite il canto ancestrale. È un viaggio attraverso le invocazioni dell’uomo alla divinità che mette in contatto culture e musiche lontane e diverse: dalla Puglia ai tamburi degli indiani d’America, dalla Sicilia alla Romania
La copertina dell’album

Yarákä è l’unione di tre parole della lingua tupi-guaraní, un dialetto amazzonico. Racchiude i quattro elementi fondamentali della natura: terra, fuoco, aria e acqua. E Yarákä è il nome del progetto avviato nel 2015 da tre musicisti pugliesi che studiano il rapporto fra la natura, l’uomo e il divino: Gianni Sciambarruto (berimbao, chitarra, saz, doromb, voce), Virginia Pavone (voce, flauto armonico, tamburo sciamanico) e Simone Carrino (tamburello, riq, daf, kanjira, troccola, voce).

La cultura brasiliana di matrice africana è stata il punto di partenza di questa ricerca fra il sacro e il profano, fra ritualità ancestrali ed etnie primordiali. Otto anni dopo, il viaggio riprende dalla città vecchia di Tarantio e il mondo magico e misterioso del Brasile “nero” si incontra con la le invocazioni del Sud dell’Italia nell’album Curannera, appena pubblicato dall’etichetta Zero Nove Nove. 

«Abbiamo scoperto che c’è uno stretto contatto fra la ritualità di matrice africana e quella nostra», spiega Simone Carrino. «Il filo conduttore è il rapporto fra Dio e l’uomo, il percorso che parte dalla terra e che utilizza l’invocazione per comunicare con la divinità».

Al centro della ricerca c’è l’esorcizzazione di un male, che è poi all’origine del tarantismo, con tutti i suoi derivati, pizzica compresa.

«Esatto. Il tarantismo è l’esempio dell’esorcizzazione del male nella cultura del Sud dell’Italia. Si cerca di allontanare un male o una paura attraverso il canto ancestrale, una invocazione al dio. Rappresenta il binomio sacro e profano. La guarigione è il fine. La “curannera” è una figura sciamanica, che guarisce i mali fisici e spirituali».

Gli Yarákä sono: Gianni Sciambarruto (berimbao, chitarra, saz, doromb, voce), Virginia Pavone (voce, flauto armonico, tamburo sciamanico) e Simone Carrino (tamburello, riq, daf, kanjira, troccola, voce) (foto di Valentina Pavone)

Sin dal titolo dell’album, Curannera (uguale, anche nel significato, a quello di una canzone del cantautore catanese Cesare Basile) è forte il legame con la Sicilia, che risalta nelle due tracce finali: Draunara, riferimento al rito del taglio della “cura di dragu” che indicava la tromba marina, e Chiuviti, invocazione per scongiurare la siccità.

«Durante il nostro percorso di ricerca, abbiamo sviluppato il legame con la Sicilia. Questo perché apparteniamo alla stessa area, quella della Magna Grecia, e, soprattutto, perché la Sicilia raccoglie un grande numero di riti, molti dei quali sono ancora utilizzati o si sono conservati nel tempo. Geograficamente, inoltre, la Sicilia è al centro tra diversi mondi musicali e riflette quello che noi facciamo in musica, una sorta di sintesi di tante culture: africana, brasiliana, iraniana, ellenica, galiziana, andina…».

Nel brano Affàscene si ascoltano anche tamburi e voci degli indiani pellerossa d’America.

«È stata una idea della cantante Virginia. Il canto pellerossa è molto vicino alla ritualità magica, naturalistica. Il rito pellerossa non si discosta molto dalla sfera rituale pugliese, è legato al ruolo della natura, in questo caso dell’acqua. In Puglia, ad esempio, la lettura del malocchio si fa versando olio in una bacinella piena di acqua».

In Chiuviti trovate anche un aggancio fra la Sicilia e la Romania.

«Nel ritornello innestiamo un richiamo alla ritualità riconducibile alla Paparuda in Romania, che è una divinità della fertilità secondo un rito pagano di quelle zone. Nello stesso giorno, in Sicilia chiedono la pioggia per il frumento alla Madonna di Odigitria o dell’Itria che per antichissimo culto è collegata proprio all’acqua, e ancora oggi i fedeli portano in processione per le vie cittadine il simulacro della Madonna perché protegga i raccolti minacciati dalla siccità».

L’album è composto da otto tracce tra composizioni originali e brani della tradizione ri-arrangiati. In cosa è consistito il vostro intervento?

«I brani sono formule rituali messe in musica. A Sand’Ánne, che è stato il primo singolo, è una preghiera che noi abbiamo riportato in musica. Tutti i testi appartengono alla tradizione. Sono frutto della ricerca che abbiamo condotto. Sia sul campo – come in Canto all’alie dove riportiamo il canto per la raccolta delle olive nella versione registrata tra San Giorgio Jonico e Carosino – sia attraverso gli archivi audio o ricerche bibliografiche».

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