Disco

Tutto il Mediterraneo nel disco di Fabrizio Piepoli

“Maresia” del compositore pugliese è una di quelle gemme di rara e struggente bellezza che emoziona e ammalia. Dal fado alla melodia araba, suoni e lingue s’intrecciano in un esperanto musicale che l’artista definisce “tarabtella”, «l’incontro fra la tarantella garganica e il tarab della melodia araba, la gioia della danza e l’estasi dell’ascolto»

Ci sono dischi di una bellezza rara e struggente che si perdono nel caos di una scena musicale dominata dal gossip, dai “like” e dagli stream. Ogni tanto, invece, bisognerebbe fermarsi per scendere dal mondo social e ritrovare il gusto di ascoltare un disco. Non importa se sia cd, vinile o digitale. L’importante è sentirlo per intero, dall’inizio alla fine. Entrare nel mondo di musiche, sentimenti ed emozioni dell’artista. Soltanto così si potranno scoprire gioielli come Maresia di Fabrizio Piepoli. 

Il compositore pugliese trasforma il bacino Mediterraneo in una terra da “Mille e una notte”, dove tutte le culture si abbracciano e si confondono in una sorta di esperanto musicale, oltre che linguistico, dando vita a quella che Piepoli chiama “tarabtella”, ovvero «l’incontro fra la tarantella pugliese e il tarab della melodia araba, la gioia della danza e l’estasi dell’ascolto». 

«In portoghese la parola “Maresia” significa la spuma di mare che si vaporizza nell’aria quando il vento sferza la cresta delle onde», prosegue Piepoli. «È il sudore del mare che gioca a rincorrersi. È una corsa a braccia spalancate che ha in sé l’incedere terzinato della tarantella e comunica un senso di espansione, di apertura alare, di gioia oceanica. Maresia è l’incessante mescolarsi di lingue, storie, genti del passato, del presente, del futuro. Il mio canto è sogno e maresia».

Un canto che comincia dalle rive del Tago sulle ali del fado, una musica del mondo, che la voce di Amália Rodrigues ha legato al Portogallo. Un malinconico e nostalgico canto che Piepoli fa viaggiare da Lisbona a Beirut. Attraversa la Sardegna di Marisa Sannia, dialoga con la tarantella garganica, accarezza la melodia della canzone napoletana, si mescola con la tradizione arbëreshë e i canti di migrazione. Canzoni straordinarie, sottolineate da una voce da brividi. Fabrizio Piepoli è un ammaliante interprete, con una voce da tenore leggero, capace di toccare i suoni gravi del registro baritonale e di estendersi a quelli acuti di mezzo-soprano. Una vocalità sofisticata, da brividi, che gioca continuamente con la propria identità, col maschile e il femminile, l’Oriente e l’Occidente. 

Un album capolavoro composto di dieci brani che rappresentano perfettamente gli orizzonti musicali del compositore che ha lavorato con La Cantiga de la Serena, Raiz e Radicanto. «Sono canti di una storia fluida che ogni volta racconta qualcosa di nuovo», spiega l’autore. «Ho raccolto tra le mie mani suoni, parole, gesti e memorie, le ho lanciate in aria e mi sono ricadute addosso, mischiate. Il mio passato, quello che ancora continua a parlarmi, lo inseguo e si disintegra, si mescola ad altri elementi come voci nelle stradine di un mercato e poi di nuovo riappare, a dirmi cose che ancora non so».

Fabrizio Piepoli (foto Gabriele Vitale)

Maresia (prima uscita della neonata etichetta Zero Nove Nove), oltre a essere un itinerario mediterraneo, è un progetto in cui emerge la poliedricità di polistrumentista e compositore, di autore e studioso delle tradizioni musicali del Mediterraneo, di Fabrizio Piepoli, che nell’album canta e suona numerosi strumenti come la chitarra battente, l’oud arabo, il saz turco, la chitarra classica, il basso, lo shruti box, il dayereh dell’Asia centrale, il daff mediorientale, i sajat egiziani ed il moorchang (sorta di marranzano usato in India), talvolta filtrati spesso attraverso effetti e loop machines.

Gli intarsi e gli innesti sonori vanno in parallelo con gli incroci e gli intrecci linguistici. «Le lingue come gli strumenti musicali sono creature permeabili. La necessità del racconto e della narrazione spinge loro a mutare, ad adattarsi, a evolversi», è la tesi dell’artista. «Maresia è il simbolo dei destini incrociati di genti, storie, lingue e canti che hanno mosso e fecondato la storia, rendendola ibrida e caleidoscopica. Un passato che transita nel presente e ispira il futuro».

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