Disco

Ture e R-Most, suoni dalla “bocca dell’anima”

“Uccalamma” è il titolo dell’album firmato da Salvatore e Roberto Mostaccio, fratelli di Torre Archirafi. Un disco di svolta. «Suoni pitchati e un po’ picciusi, che esprimono una sorta di lamento, perché è un album che viene da tanta sofferenza» 
La copertina di “Uccalamma”

Nel dialetto siciliano Uccalamma è una parola composta che alla lettera significa “bocca dell’anima”. Indica la bocca dello stomaco, più precisamente l’epigastrio. È il punto anatomico più intimo e fragile: nella lingua popolare è il luogo in cui si percepisce e si accoglie il mondo, qualcosa di simile al “sentire con la pancia” e al “dire con la pancia”. Per Salvatore Mostaccio, in arte Ture Most, è qualcosa d’altro: «È un termine che ha una valenza mistica, è la parte più fragile e intima dell’essere umano, da dove scaturiscono i pensieri, le parole, le emozioni».

Uccalamma è il titolo del lavoro firmato da Ture Most e R-Most. Un disco di svolta, come spiega. Di ricerca musicale e di identità. Un album nato da un abbraccio con il fratello Roberto, co-protagonista di questo percorso. Un abbraccio è stilizzato in copertina, dove le figure non sono ben definite. «È un abbraccio tra noi e chi ascolta queste canzoni. È un incontro», sottolinea Salvatore. «Questo abbraccio dà vita al sole».

Nella copertina la sintesi dell’album. Dall’iniziale solitudine di Alone (Sulu), un lamento dalle tinte dark, alla preghiera di Macari Diu, dal racconto di una storia d’amore in Nata il venerdì, anagramma del nome di Valentina nata di venerdì tutta giocata sui giorni della settimana, alla lotta all’omofobia in Rannula, fino a rivedere il Suli quando due persone sole si ritrovano.

Suoni pitchati e un po’ picciusi, «che esprimono una sorta di lamento», spiega Ture Most. «Perché è un album che viene da tanta sofferenza. Io e mio fratello ci siamo rimessi in discussione dopo i tre “soft drink” estremamente dispersivi pubblicati l’anno scorso. Uno frizzantino, l’altro poetivo e il terzo folk. Con Uccalamma abbiamo intrapreso una direzione precisa, abbiamo pensato a quello che ci piace, non a quello che può piacere. Qui abbiamo una identità forte. È il nostro miglior album».

La musica di Uccalamma è postmoderna, un pastiche di cose già sentite e risentite reinventate e rimasticate però in una chiave contemporanea, radicata nel locale, in un intelligente uso di citazioni alte e basse, da Franco Battiato (Meduse al sole) a Colapesce sino al neomelodico (Il peccato del giorno). «Siamo nati nello stesso comune, Riposto, ci siamo bagnati nello stesso mare con Battiato: quel brano, Medusa al sole, è nato mentre passavo in bicicletta allo Scarceddu, che è il quartiere dov’è nato Battiato», confessa Salvatore Mostaccio. 

Oltre al ritmo c’è la melodia, l’elettronica, il rap e anche la canzone, il tutto mischiato, alternato formando un amalgama interessante e originale. «Stiamo rifondando un genere, lo potremmo definire “neo-cantautorato”», commenta Ture Most. «Le musiche sono suoni che starebbero bene anche senza parole».

Ture e R-Most, ovvero Salvatore e Roberto Mostaccio

L’album Uccalamma, pubblicato dall’etichetta siciliana Suoni indelebili, esce proprio nel momento in cui Salvatore Mostaccio si è dovuto staccare dall’amato arco di Torre Archirafi, il borgo sul mare a Riposto dov’è nato e cresciuto. È al telefono da Bergamo a raccontare il suo disco più bello. «Insegno Scienze Motorie: è un lavoro che mi piace tantissimo», dice «Sono felice a Bergamo, non soffro di nostalgia. Ho girato pagina. Sono qui per uno scopo importante. Mi manca lo scorcio dell’arco, ma lo porto nel petto». 

E, poi, Uccalamma potrebbe rappresentare il trampolino di lancio dalla estrema periferia alla capitale della musica. Milano è a un tiro di schioppo da Bergamo.

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