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Sanremo 2024, tre donne in fuga

– La sala stampa premia Loredana Bertè, seguita da Angelina Mango, Annalisa, Diodato e Mahmood
– Diodato, Mahmood, Gazzelle, Angelina Mango e Loredana Bertè emergono in un contesto molto mediocre. Le tante citazioni di Alessandra Amoroso. Dargen D’Amico porta il dramma dei bambini sotto le bombe sul palco dell’Ariston: «Cessate il fuoco»
– Momento commovente il ricordo di Giogiò, il sedicenne ucciso a Napoli. Fiorello mette un po’ di pepe e di sale in una maratona canora monotona lunga cinque ore e mezza

Tre donne al comando nella prima, lunghissima (oltre cinque ore e mezza) della prima tappa del Festival di Sanremo. E’ il verdetto del voto della sala stampa. Al primo posto della classifica di tappa c’è infatti Loredana Bertè, seguita da Angelina Mango e Annalisa al terzo posto. Diodato e Mahmood sono rispettivamente al quarto e quinto posto. Stasera toccherà alle giurie delle radio.

Questa la nostra pagella:

“Diamanti grezzi”, Clara – voto 5

La ragazza di Varese ha bruciato le tappe: dal set di “Mare fuori” alla vittoria a Sanremo Giovani che le ha aperto le porte del Teatro Ariston. E da debuttante ha avuto l’onere e l’onore di aprire la gara canora. Bella ed elegante, fasciata di grigio argento. Archi e voce a terzine. La melodia del brano si intreccia col ritmo quando parte il ritornello. In corsa per lo scettro dell’urban. Sulla scia di Elodie.

“Finiscimi”, Sangiovanni – 3

Vestito di bianco candido, si lamenta in modo poco comprensibile in una canzone priva di tutto, di melodia, di ritmo, di ritornello, di intelligenza. Monotona. Finiamola.

“Mariposa”, Fiorella Mannoia – 5.5

Anche lei rivestita di bianco, si tuffa scalza fra ritmi latini e, tra «stupore e meraviglia, negazione e orgasmo», «libera, orgogliosa canto». C’è il Battisti etnico di Respirando, e nel testo De André. La canzone non decolla, ma almeno lei si fa capire. Da veterana ottiene l’ovazione della platea dell’Ariston.

“Autodistruttivo”, La Sad – 3

Creste blu, verdi e rosse per un tricolore (francese) punk. Abbigliamento da film horror. Gestualità da arrabbiati. Ragazzi travestiti per andare magari a un Carnevale punk. La musica però è pop. Una pagliacciata. A salvarli è l’adesione al progetto di Telefono Amico, i cui volontari portano sul palco dell’Ariston cartelli contro i suicidi.

“Tu no”, Irama – 4.5

IT-shirt e pantaloni di pelle. Inizio sinfonico, come un inno nazionale. Poi si attacca al microfono spremendo le tonsille pensando a Lewis Capaldi. «Solo una stupida canzone», come canta lui stesso.

“Casa mia”, Ghali – 6

Tutto celestino luccicante, avvia un dialogo orecchiabile e ballabile con un alieno: vuole essere una fotografia della nostra società. Durante la performance viene inquadrato un uomo travestito da pupazzo che ondeggia sul ritmo. Un testo graffiante  – “ma come fate a dire che è normale / per tracciare un confine con linee immaginarie / bombardare un ospedale. / Per un pezzo di terra o di pane / non c’è mai pace” – convince meno con il groove.

“Ricominciamo tutto”, Negramaro – 5

Giuliano Sangiorgi col falsetto domina il palco. Un countdown segna il tempo di una storia d’amore che riparte. Ballatona alla Coldplay che cita Lucio Battisti: «Discese ardite e risalite?… Eravamo una canzone di Battisti anche senza le bionde trecce». Deludente.

“Sinceramente”, Annalisa – 4.5

Sorprende Amadeus, evitando le scale (perché sarebbe incinta, suggerisce il gossip). Sexy in reggicalze, icona di stile, alterna un ritornello sincopato e dance, con un finale quasi operistico. Si avvertono influenze di Elodie, dei Prozac+ e dell’indimenticabile Cuore matto. L’ambizione è di creare un tormentone invincibile. Adatta alle radio. Ruffiana. 

“Tuta gold”, Mahmood – 7 

In tenuta da cacciatore nera e in cuoio, conferma il suo stile compositivo, con le sfumature vocali e i richiami tribali. Porta l’aria del Sahara all’Ariston. Brevi inserti che riecheggiano il suono metallico di un cellulare. La base ritmica è potente: una danza del ventre trap. Artista di spessore internazionale.

“Ti muovi”, Diodato – 8.5

Crea subito intimità. Bomber bianco largo stile giapponese, si siede sui gradini. Il brano parte come un lento anni Settanta, poi si alza in piedi quando la canzone prende quota: diventa soul. C’è un crescendo della linea melodica. Ballerini in scena a rendere il caos interiore, la sua voce è una lama che trafigge.

“Pazza”, Loredana Bertè – 7

Riff di chitarra elettrica che funziona. Torna la grinta di un tempo, e ha un brano all’altezza. Manifesto rock di una «ragazza che per poco si incazza… Io sono pazza di me perché mi sono odiata abbastanza… col cuore che ho spremuto come un dentifricio e nella testa un fuoco d’artificio». Nel mediocre contesto, può risultare un capolavoro.

“I p’ me tu p’ te”, Geolier – 6

Piace ai giovani, ma ha un aspetto da anziano. Quando dice “dispiaciuto” si batte espressivamente sul petto: è una canzona sentita. Ha un arrangiamento efficace con degli stop and go: un mix tra neomelodico e urban e techno. Un pezzo modernissimo. Peccato la mancanza di sottotitoli. Solo una frase è in italiano, il resto è uno slang napoletano.

“Fino a qui”, Alessandra Amoroso – 7.5

Elegante in lungo nero, con guanti da opera. Il pianoforte introduce la canzone. La melodia della strofa richiama Un mondo d’amore di Gianni Morandi. La scrittura è tradizionale, in stile Sanremo anni Novanta. Il ritornello, lanciato con la chitarra elettrica, ricorda la battistiana Il mio canto libero. Fra le citazioni anche Sally di Vasco Rossi. La voce, come sempre, c’è. Resta la favorita.

“Un ragazzo una ragazza”, The Kolors – 3.5

Atmosfere anni Ottanta, con richiami a Salirò di Daniele Silvestri. Hanno sbagliato Festival, canzone più adatta al Festivalbar. Ah, vero, non c’è più. Però questo Sanremo lo ricorda molto. Come siamo caduti in basso.

“La noia”, Angelina Mango – 7

Twerka la cumbia colombiana ma dentro c’è il suo Mediterraneo. Sul finale osa il canto a cappella. Vulcanica. Originale. Ballabile. Bella voce. Padrona del palcoscenico al suo debutto. Degna figlia d’arte. Outsider.

“Il capolavoro”, Il Volo – 4

Molto meno opera e più pop. Si dividono le parti nella strofa e poi, all’unisono, nel chorus mettono il turbo. Vecchi sin da bambini. Un orrore, altro che capolavoro.

“La rabbia non ti basta”, Big Mama – 6

Cavalca la sua crociata antibodyshaming, antibullismo, antidepressione al ritmo di urban rap. Ma la rabbia è nel testo, la voce non esplode. Ricorda l’hip hop di Madame.

“Ma non tutta la vita”, Ricchi e Poveri – 6.5

Infiocchettati come un pacco, si autocitano all’inizio per poi cantare una melodia accattivante e retrò, ritmo latino ballabile. Entrano poi i ballerini in scena, e si muovono con una coreografia dietro ai cantanti. Balla anche l’Ariston. Carina.

“Apnea”, Emma – 4.5

Vintage assoluto con un quasi omaggio a Viola Valentino. Loop di batteria anni Ottanta, pulsante. Perfezionista nel canto e nell’espressività, sicurezza da veterana. Ma non lascia il segno.

“Pazzo di te”, Renga & Nek – 4

Effetto Colapesce Dimartino nel look, Renga e Nek uniscono due belle voci che sanno dialogare nella diversità. Una melodia classica, che ricorda Battisti, ma non resta. Banale.

“Due altalene”, Mr. Rain – 5.5

Comincia seduto al pianoforte. Voce effettata. Due altalene bianche in scena. Si dondola mentre parla di una perdita, di un lutto, di un genitore che perde un figlio. La melodia, cantilenata nel suo stile, sembra la stessa di Supereroi

“Governo punk”, Bnkr44 – 5

Si presentano come dei wild boys di provincia. Vogliono apparire ribelli e trasgressivi ma sembrano l’opposto. Gestualità hip hop, e a turno si alternano sul proscenio. Cantano e si muovono e ballano con leggerezza da tiktoker.

“Tutto qui”, Gazzelle – 8

Indie pop allo stato puro. Con gli occhiali da sole è un po’ Tommaso Paradiso e un po’ Liam Gallagher. Parole e musica possono stringersi al cuore di molti romantici.

“Onda alta”, Dargen D’Amico – 6.5

Ricoperto di orsetti. Occhiali da sole colorati. Alle sue spalle dei Men in Black. Cassa dritta e beat elevatissimo. Mescola dance e migranti. Porta sul palco dell’Ariston il dramma dei bambini che vivono sotto le bombe. «Il silenzio è corresponsabilità», commenta. «La Storia e Dio ci dicono di non accettare: cessate il fuoco». Mira al podio.

“Click Boom!”, Rose Villain – 5

Ci sono richiami all’indie dolce di Ariete. Nella seconda parte l’interpretazione è più aggressiva e ricorda il suo Pigmalione Achille Lauro: i battiti salgono. E poi lancia la voce per la melodia del ritornello. Una canzone dalle tante anime.

“L’amore in bocca”, Santi Francesi – 6.5

Uno al pianoforte e l’altro alla tastiera. «Mi hai lasciato con l’amore in bocca senza farlo apposta, sono le ultime gocce di pioggia», cantano su un buon groove che dovrebbe funzionare. Sulla scia dei Subsonica.

“Il cielo non ci vuole”, Fred De Palma – 4

Cita Sweet dreams degli Eurythmics. Fred De Palma spezza le parole in stile trap. Il groove del ritornello vuol far ballare ma non decolla mai.

“Spettacolare”, Maninni – 3

Resta una incognita la presenza di questo “carneade” fra i “big” con una ballata infantile. Refrain dominante da ascoltare con l’accendino acceso. Il testo è un puzzle di frasi scontate. Sanremo vecchio stile. E meno male che sono giovani.

“Vai!”, Alfa – 5.5

Stava rischiando di essere eliminato alla vigilia per aver scherzato su Instagram sulle parole della sua canzone. La musica è poi risultata diversa dal brano originale e, quindi, il caso è subito rientrato. Cuoricino rosso sulla maglietta nera. Country, folk al trotto, con tanto di “uh-uh” e fischietto, e uno strappo rap. Divertente. 

“Fragile”, Il Tre – 3

Trap usa e getta, che fa rima con trash. Bocciato dall’Accademia della Crusca. Nome omen.

GLI ALTRI PROTAGONISTI E I MOMENTI SALIENTI

Amadeus – voto 2

Una follia 30 canzoni nella stessa sera. Una mancanza di rispetto nei confronti dei cantanti, del pubblico dell’Ariston e dei telespettatori (anche se questi potevano spegnere il televisore e andare a letto). Non contento, allunga la brodaglia con siparietti, mini-concerti. Sembra Non si uccidono così anche i cavalli, film del 1969, diretto da Sydney Pollack. Scelte musicali di una banalità estrema, parla di modernità ma siamo tornati anni indietro, al Festivalbar. Le idee, semmai ci siano state nelle altre edizioni, sono proprio finite. 

Marco Mengoni – voto 6

Abiti improbabili, quando fa il suo mestiere di cantante merita 9, ma quando prova a fare la spalla di Amadeus stenta. Si avverte che è emozionato o che si trova fuori ruolo. Non riesce a divertire quando si sperimenta entertainer. E l’operazione riesce a metà.

Ibrahimovic – voto 7

Ospite a sorpresa a inizio di serata, spara battute con la stessa freddezza con la quale tirava i rigori. 

Fiorello – voto 8

Porta un po’ di pepe e di sale in una zuppa insipida. È una ventata di buonumore nella noia della gara. Gioca sull’intelligenza artificiale e con se stesso, “clone” stupido. Mostra un grande striscione a terra con scritto “Ama pensati libero, questo è l’ultimo”, giocando sulla scritta che aveva esibito Ferragni sulla sua schiena (“Pensati libera”) e sul fatto che questo sarà, come annunciato dallo stesso Amadeus, sarà il suo ultimo Sanremo. 

Il ricordo di Giovanbattista Cutolo

Sul palco il ricordo di Giovanbattista Cutolo, il musicista ucciso a 24 anni per una lite su un parcheggio. La mamma del ragazzo ha letto una lettera al figlio ucciso questa estate a Napoli da tre colpi di pistola esplosi da un sedicenne. «Giògiò figlio mio, amore di mamma, ti ricordi quando l’anno scorso dovevi suonare nell’orchestra sinfonica di Sanremo e io ti chiesi di venire con te? Tu mi rispondesti: mamma sei impazzita? Il bamboccio con la mammina al seguito anche mai! Ma io ero incuriosita: volevo vedere Sanremo… mi dicevi che era bellissima sembrava Napoli con la scintilla francese… mi dicevi… sai ma’… sembra una piccola bomboniera… e poi se proprio avessi dovuto lasciare Napoli sarebbe stata l’unica città in cui ti saresti trasferito… E poi tesoro, ti ricordi quando guardavi in tv il tuo adorato maestro di corno Luca suonare al festival di Sanremo e lo guardavi con ammirazione e orgoglio… E io ti dicevo: “Giògiò, un giorno suonerai anche tu su quel palco”. Beh, amore mio, quel giorno è arrivato. E sai perché? Perché sei bello, dentro e fuori. Hai un modo aristocratico di stare al mondo, pratichi la gentilezza e generi bellezza intorno a te. Al contrario di chi ti ha strappato barbaramente alla vita. E proprio perché l’amore è il contrario della morte, tu stasera vivi attraverso la musica che amavi e che ti farà essere eterno. E poi perché stasera tutta Italia sta ascoltando il talento e le note del maestro Giovanbattista Cutolo. Ciao Giògiò, ti amiamo tutti e mammarella tua non ti dimenticherà mai…», ha concluso la donna mentre sul tulle del palcoscenico veniva proiettato il video di Giovanbattista che suona accompagnato live dall’orchestra. 

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