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Ghali, un po’ d’impegno a Sanremo

– Il rapper debutta in gara con “Casa mia”, affresco elettro-rap su un mondo che sembra il Truman show, in cui “siamo tutti zombie col telefono in mano”. Sul palco con un alieno
– Vengono affrontati temi come la guerra e gli sbarchi. Lui, figlio di immigrati tunisini, è riuscito a emergere: «Sì è un sogno che si realizza, la storia di un ragazzo che passa dai palazzi ai palazzetti»
– «Questo è un nuovo inizio, i fan capiranno dal mio approccio che sto cambiando marcia e che sono pronto a dare tanta musica questa volta». Sul palco in compagnia di un pupazzo dalle sembianze aliene?
– Il New York Times si è rivolto a lui per chiedere: Può un rapper far cambiare opinione all’Italia sui migranti?”Gli scontri con Salvini. Si sente talmente italiano da scrivere “Cara Italia” e intonare “Italiano vero” nella serata delle cover

Durante un comizio il vicepremier Matteo Salvini punzecchiò anche lui (insieme a Nina Zilli e Gemitaiz). «“Ti ha attaccato Ghali”, mi hanno detto. E chi è?» si chiedeva il leader leghista. «Parlo con la mia storia e con la mia musica», replicò il rapper.

La storia è quella di un figlio di immigrati tunisini, Ghali Amdouni il nome completo, cresciuto nel quartiere Baggio di Milano (e se si digita su Google “Baggio Milano” la prima parola suggerita che appare è “droga”). La leggenda personale di Ghali passa per la casa dei vicini, dove grazie alla loro connessione internet scopre l’hip hop, continua sui palchi che lo portano ad abbandonare la scuola a 17 anni e approda dischi di platino, “sold out” ai concerti (e il 29 ottobre sarà al Forum di Assago) e, adesso, al Festival di Sanremo.

«Sono uscito dalla melma, da una stalla a una stella, figlio di una bidella, con papà in una cella» canta in Ninna nanna. Dalla mamma scappata dalla Tunisia per garantirgli un futuro migliore alle difficoltà dell’infanzia nella periferia milanese, fino a oggi. «Quando ci siamo trasferiti a Baggio nel 2003 non avevamo scelta», scrive in un post su Facebook. «In casa c’erano solo i muri, il soffitto e il pavimento, nient’altro. Dormivamo sui tappeti, mamma era appena guarita, cucinava con i fornelli da campeggio e per tenere il latte al fresco lo mettevamo fuori dalla finestra. L’appartamento era molto piccolo ma lei non esitava a ospitare altre persone con il nostro stesso problema. Io ascoltavo sempre le storie dei grandi, anche quando mi dicevano “Ghali vai di là e abbassa quelle antenne”, ma anche se andavo “di là” per ovvi motivi riuscivo a sentire tutto. In quei giorni, in questa casa piccola, da dove vi sto scrivendo ora, piena di vostri regali da non poter più camminare, decisi di fare tesoro di quelle storie e di raccontarle un giorno in qualche modo. Avevo il bisogno di raccontare e trasmettere senza essere avaro delle mie esperienze brutte o belle che fossero. È da questa casa che partì tutto, da questo quartiere che mi ha insegnato che non ci sono persone cattive nel mondo ma solo scelte sbagliate. Promettetevi di farcela, è il primo passo da fare».  

Dalle periferie degradate, malfamate, dimenticate, ai grandi templi della musica italiana, il sogno di ogni musicista. «Non voglio elevarmi, ma quando mai è successo che un italiano, figlio di immigrati, con una famiglia che viene da quella che qualcuno chiama feccia, dai quartieri dove c’è stata la scintilla della rivoluzione araba, un ragazzo cresciuto da solo con mamma e un padre che non c’è, riuscisse ad arrivare qui? Credo sia la prima volta nella storia di questo Paese», osserva. «Sì è un sogno che si realizza, la storia di un ragazzo che passa dai palazzi ai palazzetti» sorride. Una “favola urban fantasy”. 

Per gli italiani di seconda generazione come lui, la storia del rapper di Baggio è un messaggio di speranza. «Ma voglio che lo sia per tutti», tiene a mettere in evidenza. «La mia è la storia di un ragazzo partito da zero che ha avuto la fortuna di scoprire una passione sui banchi di scuola, grazie agli insegnanti, e di trasformarla in un sogno grazie all’amore». Quello degli amici, delle tante persone che l’hanno accompagnato in questo viaggio, ma soprattutto della mamma, a cui è legatissimo, una presenza costante nelle sue canzoni. «Ha sempre fatto di tutto per me» dice ripetendo i versi di Ricchi dentro.

La musica è il rap che lui e Sfera Ebbasta hanno portato in Italia ai vertici delle classifiche di vendita: il primo, dreadlock e orgoglio della seconda generazione, il secondo, ciuffo rosso e orgoglio di periferia milanese. Un rap che Ghali ha saputo condurre verso territori inesplorati, liberandolo dalle costrizioni “gangsta” e ibridandolo con il pop. Perché lui non ha bisogno di essere cattivo per piacere. Canta in italiano con accento milanese, in francese con accento magrebino e in tunisino con accento italiano. Lo scrittore Roberto Saviano ha detto di lui: «Ghali è uno dei maggiori poeti di lingua italiana, un poeta rap». E se non bastassero i dischi d’oro e di platino e le centinaia di milioni di streaming su YouTube e Spotify, a testimoniare l’ascesa di Ghali è l’entusiasmo con cui viene accolto nei palasport. Sulla cresta dell’onda proprio quando in Italia cresce un clima di razzismo e paura, e chi soccorre i migranti finisce accusa.

Ghali sembra il nuovo Jovanotti. Rivisitato, rivisto, ammodernato. Upgrade 2.0, che piace alla mamma, al papà, al figlio, alla figlia. Un Jovanotti di seconda generazione con il santino di Michael Jackson, i cartoon Disney e la periferia nell’animo. «Sono cresciuto con la musica proveniente dagli Stati Uniti. I miei genitori ascoltavano Michael Jackson e da bambino amavo rapper come 50 Cent ed Eminem. Poi crescendo sono diventato sempre più curioso e ora mi piace ascoltare realtà poco conosciute. Jovanotti per me è un idolo, Stromae è un altro artista che in un certo qual modo ha influenzato la mia visione artistica. Mi ha aiutato a capire che bisogna lavorare su sé stessi guardandosi allo specchio e raccontare la propria storia per essere veramente autentici». 

Ghali si sente talmente italiano da cantare: «Ma che politica è questa, che differenza c’è tra sinistra e destra… io mi sento fortunato alla fine del giorno… oeoh, quando mi dicono a casa, oeoh rispondo sono già qua , io tvb cara Italia, sei la mia dolce metà» dice in Cara Italia, hit da quasi 72 milioni di stream su Spotify. E, nella serata dei duetti e delle cover, insieme con il produttore tunisino Ratchopper presenterà un medley intitolato “Italiano vero”, omaggio a Toto Cutugno.

«Quando ero piccolo, in classe i colorati eravamo solo io, un filippino, un sudamericano e un cinese. Non ho subìto, ma vedevo che c’era l’occhio diverso magari della ragazzina che preferiva giocare con gli italiani. Quando vedevo un’ingiustizia nulla mi consolava. Penso alla sensazione che prova un bimbo straniero a scuola oggi… È diversa. Adesso c’è Ghali. E anche se i molti bambini che mi seguono magari certe cose non le colgono spero di avergli messo un seme in testa».

Pizza Kebab Vol. 1 è il titolo del disco pubblicato alla fine dello scorso anno. Riprende il nome di uno dei suoi primi brani. Atmosfere cupe e oniriche, featuring e contaminazioni per contrassegnare il ritorno del rapper milanese, 30 anni, alle origini della sua musica. «È un titolo iconico per chi mi segue dal giorno zero e poi indica un clash fra due culture, anche musicalmente».

Oggi, quando debutta in gara sul palco dell’Ariston (nel 2020 partecipò come superospite), è un rapper di successo, «ma sono completamente sganciato», tiene a sottolineare. «Mi sento comunque il numero uno, senza pensare a nessuna classifica. Sono cambiate tante cose, questo è un nuovo inizio, i fan capiranno dal mio approccio che sto cambiando marcia e che sono pronto a dare tanta musica questa volta».

Casa mia è il titolo del brano con cui è in gara: un inno alla pace, a un mondo senza guerre e barriere, temi cari e ricorrenti nella produzione del rapper. «È un viaggione», spiega. «Come se fosse un brano scritto a quattro mani con un extraterrestre amico, in cui cerco di dargli spiegazioni: guardiamo il pianeta terra dall’alto e ci sono delle cose che non riesce a comprendere e che io non riesco a spiegargli, cose che succedono e che stanno succedendo oggi sul nostro pianeta». Non a caso, per promuovere Casa mia, Ghali si è fatto vedere in alcune città in compagnia di un pupazzo dalle sembianze aliene, che potrebbe accompagnarlo sul palco dell’Ariston.

Il brano è un affresco elettro-rap su un mondo che sembra il Truman show, in cui “siamo tutti zombie col telefono in mano”. La canzone affronta temi impegnati come la guerra, dove è esplicita a chi vada la condanna: “Bombardate un ospedale per un pezzo di terra o per un pezzo di pane”. E non manca un riferimento al problema dell’immigrazione. “Sogni che si perdono in mare / Figli di un deserto lontano”.

“Può un rapper far cambiare opinione all’Italia sui migranti?” è stata la domanda posta la scorsa estate a Ghali dal New York Times parlando del suo impegno in tema sbarchi, una tematica che gli sta molto a cuore. «La stessa gratitudine che provo quando ringrazio mia madre per avermi partorito in Italia, l’ho provata a bordo verso l’equipaggio di Mediterranea», aveva dichiarato il rapper che ha acquistato un’imbarcazione di salvataggio destinata appunto a Mediterranea, battezzata “Bayna”. «Fossi nato in Tunisia, lo ammetto, avrei fatto di tutto per fuggire da lì. Spesso ci dimentichiamo le ragioni per le quali si decide di lasciare il proprio Paese, di migrare verso un futuro migliore e le cause che ci portano a questo».

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