Disco

“Transformer”, un urlo di bellezza

La musica di Lou Reed continua a suonare in tutto il mondo. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di uno dei dischi più selvaggi della storia della musica pop e che elevò l’artista newyorkese a star del rock and roll 

Holly è venuta da Miami, Florida / ha attraversato gli Stati Uniti in autostop / si è fatta le sopracciglia lungo la strada / si è depilata le gambe ed è diventata una lei / e ha detto, ehi tesoro /fatti un giro sul lato selvaggio

Lou Reed da “Walk on the wild side”

Quando nel 1972 uscì come singolo Walk on the wild side scalando le classifiche dei bestseller, il testo era compreso da pochissime persone, ma non importava perché la canzone ti entrava in mente e non potevi dimenticarla. L’hanno trasmessa alla radio senza sapere che i personaggi di cui parla la canzone erano reali e appartenevano alle persone che frequentavano la Factory di Andy Warhol, dove l’avanguardia artistica veniva mostrata attraverso un’esplorazione della sessualità. A scommettere su quella canzone era stato David Bowie. E Walk on the wild side era il primo tassello di Transformer: un inno alla promiscuità sessuale e alla liberazione degli istinti. Gli uomini sono diventati donne e le donne sono diventate uomini, e lo hanno fatto con la gioia più sfrenata.

La voce di Lou Reed è stata costruita su questo disco. E questo disco non suonerebbe così senza due maghi dell’invenzione acustica: Mick Ronson e David Bowie, che sono stati i produttori di questo gioiello e gli inventori di quella voce. La voce di Lou Reed non è mai suonata dal vivo come su questo vinile del 1972. La grande meraviglia di questo album è un suono che, partendo dal rock and roll, raggiunge regioni sconosciute, a cui ha contribuito anche il bassista Klaus Voorman. 

Un’altra delle grandi canzoni dell’album è Perfect day, un malinconico inno alla placidità di una passeggiata per Central Park, che non abbiamo mai saputo se parlasse dell’amore per un essere umano o dell’amore per l’eroina, forse entrambi. Non importa, perché la canzone è eccezionale. E un grande errore della critica è stato classificare l’album come appartenente al filone glam rock, un’etichetta disastrosa. Transformer è un album molto letterario. Già il titolo evoca il grande romanzo di Franz Kafka. Non è un disco decadente o un disco di rivendicazioni omosessuali o un inno al travestitismo. È pura bellezza. Senza suono. È la creazione di una voce che rivendica il diritto di esistere da sola, per il suo mistero, per la sua chiarezza vocale, per la sua semplicità. La canzone Andy’s chest, dedicata a Warhol, è una poesia quasi onirica ispirata all’attentato che il pittore subì per mano dell’attrice Valerie Solanas.

In Transformer, Lou Reed ha elevato il rock a una forma di letteratura. C’è più poesia in questo disco che in mille libri di poesia messi insieme. C’è stato un miracolo della modernità. New York City è stata raccontata in un modo che durerà per sempre. È un disco infinito. È l’album che segna la nascita di una nazione di menti libere. Tutti quelli che l’hanno ascoltato nel 1972 sono diventati qualcun altro e hanno fatto una passeggiata nel lato selvaggio della vita. Perché senza il lato selvaggio, la vita non vale la pena di essere vissuta. Il messaggio è ancora valido. E continua ad essere rivoluzionario, provocatorio, antiborghese, anticapitalista e anticomunista, nichilista e vitalista allo stesso tempo, liberatore, romantico, sordido e utopico allo stesso tempo. Transformer era ed è ancora un urlo di bellezza.

Jackie è strafatta di anfetamine / ha pensato di essere James Dean per un giorno / allora ho capito che le sarebbe calata la botta / il valium avrebbe potuto frenarla / disse, ehi tesoro / fatti un giro sul lato selvaggio / ho detto, ehi dolcezza / fatti un giro sul lato selvaggio / e le ragazze di colore dicono / Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo

da “Walk on the wild side”

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