Disco

Sul giradischi: Dylan, Murder Capital, Wednesday, Samia

Il volume 17 della serie di registrazioni “Bootleg” dedicato a “Time Out of Mind”, uno dei più grandi album del Premio Nobel. La straordinaria riprova del quintetto irlandese con “Gigi’s Recovery”. Due nuove voci della scena musicale puntano a diventare protagoniste nel 2023

BOB DYLAN

Fragments – Time Out of Minds Sessions (1996-1997)

Sono passati poco più di 25 anni da quando l’uscita di Time Out of Mind, nel settembre 1997, riaccese la carriera di Bob Dylan. Aveva allora 56 anni, una leggenda con un passato glorioso alle spalle e un futuro molto meno propizio. Gli anni Novanta non erano stati buoni con lui. Le canzoni avevano smesso di scorrere. Non aveva pubblicato alcun materiale originale da Under the Red Sky, nel 1990, registrando solo due album di materiale tradizionale, Good as I Been to You (1992) e World Gone Wrong (1993). Inoltre, il suo caro amico Jerry Garcia, il chitarrista dei Grateful Dead, era morto nel 1995 per un attacco di cuore. «Per me non era solo un musicista e un amico», disse Dylan all’epoca. «Era più simile a un fratello maggiore che mi ha insegnato e mi ha mostrato più di quanto avrei mai saputo».

È lo scenario nel quale nasce uno dei suoi più grandi album, quello che lo storico e fan Douglas Brinkley descrive nelle note di copertina come «i più profondi e poetici 11 lamenti del songbook americano». L’album parla «della sopravvivenza personale in un mondo in cui i sogni annegano in buchi neri e sabbie mobili e il tempo sta per scadere».

Fragments fa parte della straordinaria serie di registrazioni “Bootleg” che hanno rivelato così tanto delle ultime pagine di questo enigmatico artista. Il volume 17 è disponibile in due versioni: un cofanetto da due cd e un cofanetto da cinque cd. Entrambi includono il remix di Michael Brauer dell’album originale più alcuni outtakes e prime versioni. Il cofanetto più grande, rivolto al collezionista, include anche materiale dal vivo più altre riprese precedenti con testi successivamente cancellati. «Fragments riguarda il processo, il viaggio che le canzoni hanno percorso per diventare l’album finito. Per non ripetere le stesse canzoni più e più volte, ci siamo resi conto che presentare le canzoni su dischi separati sarebbe stato il modo ottimale per apprezzarle», scrivono i produttori. 

L’album originale ha una sua storia affascinante. Dylan e il suo produttore Daniel Lanois si erano scontrati sul suono. Dylan voleva riecheggiare il primo blues rurale; Lanois lo sentiva diversamente. Hanno raggiunto un compromesso e Time Out of Mind ha vinto il Grammy come album dell’anno. Ma Dylan non era soddisfatto e da allora ha autoprodotto i suoi lavori. Non sorprende, quindi che l’influenza di Lanois sia meno evidente nell’album remixato, sebbene rimanga un lavoro originale: provocatorio, intrigante, commovente, è la storia di un uomo che affronta le vicissitudini della vita in un modo che solo Bob Dylan sa raccontare. Storico. Voto: 9 su 10

THE MURDER CAPITAL

Gigi’s Recovery

Il sontuosamente poetico e intensamente austero When I Have Fears dei Murder Capital è stato un debutto superbo, un album realizzato così perfettamente che qualsiasi sequel sarebbe potuta sembrare una impresa impervia. Invece Gigi’s Recovery, sebbene fottutamente deprimente, estende brillantemente la tavolozza post-punk del quintetto irlandese oltre il dolore del loro debutto del 2019. A perforare l’oscurità gotica ci sono nuove trame che ampliano e approfondiscono il loro suono, accennando alla grande musica degli U2 e dei Simple Minds senza perdere l’intensità giovanile. Ethel e Return My Head sono i singoli, frizzanti, in eterna tensione, promettono costantemente che sta per accadere qualcosa di molto eccitante, per poi implodere come nella musica di Bono e company. Il canto crooner dolorante di James McGovern, che ricorda quello di Iggy Pop, si esprime in momenti più tranquilli come la ballata d’amore Belonging, mentre la band punta a nuovi standard di eccellenza con The Lie Becomes the Selfe la grandiosa e indelebile title track. Al loro meglio, i Murder Capital combinano dramma muscolare e grazia scheletrica con una sicurezza di cui i Radiohead sarebbero orgogliosi. Capolavoro. Voto: 10 su 10

WEDNESDAY

Rat Saw God

Terzo album del quartetto, primo per la venerata etichetta indie Dead Oceans, conclude un periodo di tre anni in cui il gruppo si è trasformato da un punto fermo locale a una delle band indie rock più avvincenti d’America. Le dieci tracce si scontrano con lo shoegaze e il songwriting country, generi che diventano compagni naturali nel mondo della band, che è colorato dai dettagli intimi di Karly Hartzman: “acqua tiepida della vasca da bagno”, “odore di erba marcia e calda”, “Fanta giallo brillante color piscio”. Il titolo del disco è preso in prestito da un episodio di Veronica Mars: una piccola creatura malata che intravede il sublime. 

Hartzman è brillante e curiosa, una fonte di storie e osservazioni accattivanti. Cita la star country di Asheville Luke Combs e la band post-hardcore Unwound nello stesso respiro, ed è grata che il nome della sua band sia imperscrutabile, ora più che mai grazie alprogramma televisivo spin-off della famiglia Addams. 

I Wednesday sono formati da Hartzman e dal suo partner, il chitarrista Jake Lenderman, così come dal suonatore di lap steel Xandy Chelmis e dal batterista Alan Miller. Leggero. Voto: 7 su 10

SAMIA

Honey

Nel suo secondo album di indie-rock crudo e deliziosamente triste, Samia, con sede a Nashville, oscilla costantemente tra confessionali comici neri e strazianti salassi. La canzone d’apertura Kill Her Freak Out, sostenuta da un funereo sospiro d’organo, la immagina mentre uccide il nuovo amante di un ex. Qualche istante dopo, richiama l’ascoltatore: “Posso dirti una cosa?” canta sussurrando: “Non mi sono mai sentita così indegna di amare”. È un trucco al quale ricorre dappertutto; ingrandisce e rimpicciolisce costantemente storie di relazioni interrotte, comportamenti tossici e dipendenza in modi che sembrano diaristici e scomodamente riconoscibili. La delicata Pink Balloon giustappone il tumulto emotivo di un amico con i tentativi sempre più disperati della ventiseienne di mantenere le cose leggere (“Sto provando a farti ridere / Sudando come un acrobata”), mentre Breathing Song descrive una serata andata male (“dal bar al pronto soccorso”), prima che il suo coro di “no, no, no” sempre più sofferenti agisca come un pentimento.

Musicalmente, proprio come il suo debutto nel 2020, Honey distorce il lo-fi, posizionando la voce versatile di Samia in primo piano e al centro su sintetizzatori lividi (Nanana) o chitarre acustiche (la cadenza country-folk di To Me It Was). Tuttavia, ci sono lampi di ritmo. Rostam aggiunge una rada drum machine e frammenti di chitarra alla curiosa Mad at Me, mentre Sea Lions sboccia da un lamentoso organo per trasformarsi in una triste pulsazione da club penetrata da frammenti di messaggi disordinati in segreteria. Giocosa, dolorosa e carica di chitarre rock che si fanno strada verso la superficie Honey, il brano che dà il titolo all’album, è un crescendo che si chiude in una canzone corale. Altalenante. Voto: 6 su 10

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