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RadioSabir: vittime del “politically correct”

Tre album come Niggaradio, poi travolta dai risvolti inaspettati del dibattito sul razzismo la band siciliana è stata costretta a cambiare nome: «Ci cancellavano dai festival». Il nuovo “battesimo” con l’album “Cunti e Mavarii pi megghiu campari” con il quale alzano un muro di percussioni. «S’incontrano le mie due anime, quella americana e quella siciliana», spiega Daniele Grasso, “mente” del gruppo e agitatore dello studio D-Cave dove tiene viva la fiammella della scena musicale locale
I RadioSabir

Tre anni fa, dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis, le Dixie Chicks, popolare trio country tutto al femminile, decisero di cambiare il nome in The Chicks, eliminando quel “Dixie” che indica gli Stati sudisti degli Usa, fino al 1865 favorevoli allo schiavismo. Ma che il dibattito globale sul razzismo potesse avere risvolti inaspettati, per molti versi al limite dell’assurdo, anche in Sicilia non l’avrebbe sospettato nessuno. Invece è successo ai Niggaradio, che oggi si presentano con il nome di RadioSabir.

«Eravamo in tour e suonavamo a Firenze, quando un professore del Tennessee che insegnava in Italia organizzò una serie di proteste per contestare il nome del gruppo», racconta Daniele Grasso, “anima” della formazione siciliana. «Alcuni festival cancellarono il nostro nome dal programma per “correttezza politica”. Perfino Facebook ti fermava quando scrivevi quel nome».

Nigga, nigger, termine «dispregiativo solitamente usato contro persone di colore per ricordare la schiavitù, negro», riporta il vocabolario. Ma, per Daniele Grasso e company, voleva significare «che noi siciliani siamo i “nigga” d’Europa». 

Cancellato il termine contestato, a “Radio” viene accoppiato “Sabir”, che è stata una lingua creola utilizzata tra il XVI e il XIX secolo soprattutto tra i marinai, i commercianti, i pirati e i mercenari che viaggiavano lungo le rotte commerciali del Mediterraneo, ma anche tra i missionari e gli esploratori che si addentravano nelle zone costiere dell’Africa e dell’Asia. E dà il senso dell’area di diffusione delle onde sonore della band siciliana. Che non vuole avere confini né geografici, né musicali, né linguistici. Riflettendo lo spirito un po’ nomade del suo leader. «Sono nato a Messina da mamma americana yankee e papà siciliano filopalestinese», racconta Daniele Grasso. «Da ragazzo vedevo soltanto gli Stati Uniti. Ho vissuto gran parte dell’adolescenza a New York, poi mi sono trasferito in Nord Europa, Norvegia, Danimarca, Svezia, dove ho studiato ed ho cominciato a suonare. Da vent’anni sono tornato in Sicilia, pago un debito a mio padre». Che, come tanti padri siciliani, avrebbe voluto vedere il figlio laureato in filosofia, ma che ha ceduto quando Daniele gli ha dimostrato di poter vivere con la musica.

Inizi come turnista, poi piccoli tour da solista, prima di far ritorno oltre Oceano per studiare corsi di improvvisazione e girare negli studi di registrazione per apprendere il ruolo del produttore. «A Filadelfia sono stato ospite di Quincy Jones», ricorda. «Lo seguivo al lavoro e gli portavo il caffè», ride. In America si immerge anche nelle roots, nelle radici del blues del Mississippi.

I RadioSabir

«Ma quando ritorno in Sicilia, capisco di essere legato al Mediterraneo e con i Niggaradio comincio a sperimentare questa fusione fra sonorità anglosassoni e world music, cantando in siciliano», continua Grasso. «Registriamo tre dischi, che vanno molto bene, poi le contestazioni sul nome e il Covid ci fermano».

Superata la pandemia, la band rinasce con il nuovo nome e anche una formazione rinnovata. Della vecchia restano Daniele Grasso (chitarre, synth, voce) e Peppe Scalia (batteria e percussioni). A loro si uniscono Umberto Arcidiacono (percussioni, fisarmonica, marranzano), Elisa Milazzo (voce e percussioni) e Chiara Dimauro (voce). «Questo è il nucleo centrale», spiega Grasso. «Andrea Soggiu che è rimasto a Berlino ci raggiungerà in tour, mentre Vanessa Pappalardo canta in due brani, l’iniziale Na buttigghia i vinu e Iarrusa. Restiamo una formazione aperta. In questo album, ad esempio, partecipano Maurizio Musumeci dei Dinastia e Cesare Basile». 

Cunti e Mavarii pi megghiu campari è il titolo della prima trasmissione di RadioSabir. Un album di grande potenza ritmica, una cavalcata sonora senza pause e cedimenti dall’inizio alla fine, tra rock blues e richiami etnici, travolgente e di grande presa. «Blues del Terzo millennio è stato definito, tra il Simeto e il Delta», sorride Daniele Grasso. «In effetti, in questo lavoro Beppe Scalia ed Elisa Milazzo hanno un atteggiamento ritmico molto potente. Alzano un muro di percussioni. L’idea di base era quella di fissare un tessuto ritmico ed emotivo più coinvolgente».

La Sicilia è protagonista. Nell’uso del dialetto, nei richiami alla magia di questa terra, nell’affermazione della propria identità: «Allora dillo forte: Sugnu siciliano”», urla Elisa Milazzo, strega in Voodoo Med. «Siamo sempre dipinti come questuanti con il cappello in mano, ma non abbiamo solo difetti. Fra tanto cinismo, ci stava bene un poco di retorica». O, ancora, nell’invito a non lasciare l’Isola alla ricerca di avventure all’estero nel brano Ma ‘cchi fai (Ayaya). «Siamo troppo distratti dal fenomeno dell’immigrazione che non ci siamo accorti che quasi il corrispettivo di Caltanissetta ed Enna è emigrato. Stiamo perdendo forze intellettuali importanti. La fuga, però, è la soluzione più semplice. Io preferisco investire qui, far venire in Sicilia i musicisti».

L’altro tema del disco è il tempo, la mancanza di tempo. «È l’unico capitale che abbiamo. C’è gente dico io che vuole vivere temperando le matite: quando le ha temperate tutte, comincia a vivere. La società ha perso il senso del tempo, nelle età, giovinezza, vecchiaia. Lo spreca nelle maniere più assurde, stando davanti al televisore con il telecomando in mano, chattando o guardando video porno al computer».

Perché, come cantano i RadioSabir, ‘A rivoluzione un si fa chi social. «Gil Scott Heron scrisse Revolution will not be televised. Oggi chi strilla contro tutto e tutti sui social lo fa per mettersi a posto con la propria coscienza. Ma la rivoluzione reale, quella vera, si fa incontrando gli altri». E, in ‘U munnu sta canciannu, brano dal doppio passo, alla fine sembra di partecipare a una manifestazione di piazza allo slogan “La forza alla gente”. «È ispirato ai Kunsertu, dei quali ho prodotto l’album Fannan». Il blues del deserto attraversa il Simeto per raggiungere il Delta.

Un titolo shock, Iarrusa, un insulto feroce per parlare delle donne nel Medio Oriente. «Non c’è altra parola per indicare la discriminazione della quale sono vittime le donne in quei Paesi. Esiste un sistema per annichilirle. Basti pensare che per un po’ di rossetto sulle labbra o per una ciocca di capelli fuori posto si rischiano sedici anni di carcere».

La copertina dell’album

Al termine delle undici tracce si resta seduti su una Seggia sghemba. «Ancora per un paio di generazioni rimarremo seduti dal lato sbagliato della Storia. Dipende da noi. Non credo in una mano dall’alto che raddrizza le cose. Noi siciliani viviamo borderline, lungo la linea di confine che divide il mondo benestante da quello derelitto».

Questa è RadioSabir “e usa munizioni sonore” per far sì che il mondo ascolti i lamenti e la rabbia dei Sud del mondo. Le trasmissioni avranno inizio il 24 marzo in digitale e vinile. Il 7 aprile all’Atelier FAB di Catania il debutto “live” in acustico. 

Nel frattempo, Daniele Grasso nel suo D-Cave, covo, studio ed etichetta discografica, registra performance “live” di amici e musicisti di passaggio nel tentativo di ridare ossigeno alla scena musicale locale. «Abbiamo in archivio già sei session, quattro band e due cantautori, alle quali si aggiungerà presto quella con Cesare Basile. Registrazioni complete con video realizzati in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti. Finiranno su una pagina YouTube e Sky Arte». E si prepara a passare dalla cabina di regia alla cattedra del Dams di Messina, prima, e poi della Philadelphia University per parlare del rapporto fra il siciliano e la musica contemporanea.

1 Comment

  • Paolo Popof Marzo 29, 2023

    Bella recensione di un gruppo veramente creativo.

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