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Quando una volta suonava la Banda…

A Canicattini Bagni per il XXXIX raduno bandistico nazionale insieme con Paolo Cirinnà, 93 anni, il “Ronaldo delle bande musicali”, il figlio Rino, sassofonista di livello internazionale, Piero Cicero Santalena, direttore della Panta Rei Orchestra, e il maestro Sebastiano Bell’Arte della Banda di Avola. «A Noto si suonava ogni giovedì e domenica. Eravamo stipendiati». «Sono finiti gli anni d’oro, oggi le bande si sono imborghesite». Scomparsi strumenti e partiture originali. La colpa dei Conservatori

E dai portoni quanta gente cantando sbucò / e quanta gente da ogni vicolo si riversò / e per la strada quella povera gente marciava felice dietro la sua banda. / Se c’era un uomo che piangeva sorrise perché / sembrava proprio che la banda suonasse per lui / in ogni cuore la speranza spuntò quando la banda passò / La banda suona per noi, la banda suona per voi

Chico Buarque de Hollanda
La Banda municipal di Lleida per le vie di Canicattini Bagni

Le magliette color rosa antico la distinguono dalle altre più seriose bande tutte in camicia bianca e pantaloni neri, se non in divisa militare come la fanfara dei Carabinieri. È la Banda municipàl di Lleida, città della Catalogna. Porta allegria e spensieratezza nelle strade e nelle piazze di Canicattini Bagni, divertendo e invitando al ballo chi segue dai balconi o dal marciapiede il tradizionale raduno bandistico intitolato al maestro Nino Cirinnà, giunto quest’anno alla XXXIX edizione.

«Banda da strapazzo», la definisce Rino Cirinnà, sassofonista di livello internazionale, cresciuto nella Banda musicale di Canicattini. «Sono quelle che sfilano dietro al santo nelle feste patronali». Un termine riduttivo a confronto delle bande «che facevano servizio da palco». Come ad esempio quella di Noto, una delle più importanti nell’era d’oro delle bande, ovvero negli anni Settanta-Ottanta, «quando ogni formazione aveva non meno di sessanta elementi», sottolinea Cirinnà.

Paolo Cirinnà, suonatore di flicorno sopraffino, il “Rolando delle bande musicali” negli anni Settanta e Ottanta

Quei tempi li ha vissuti il papà del sassofonista, Paolo Cirinnà, la cui tempra e vigore e gli occhi vispi sfidano una carta d’identità che attesta 93 anni. «Entrai nel 1970 nella Banda di Noto, appena rientrato da Hartford, in America, e ci sono rimasto per quindici anni. Suonavo il flicorno sopranino», ricorda. «Era formata da più di sessanta elementi. Suonavamo ogni giovedì e domenica davanti a Palazzo Ducezio. In repertorio avevamo le opere classiche, La Traviata, La Bohème e un repertorio di brani originali scritti dal maestro Francesco Mulè di Noto. Eravamo tutti stipendiati dal Comune. Io vivo con una pensione di musicista di banda comunale».

In quegli anni ogni comune aveva una banda e c’era una grande competizione. «Quasi come nel calcio, c’era la compravendita dei musicisti», sorride Paolo Cirinnà. E lui, il suonatore di flicorno sopranino, era “il Ronaldo delle bande”. «Eravamo dipendenti del Comune di Noto, ma avevamo la possibilità di fare degli extra. Da solista ero molto richiesto: ho suonato nelle bande di Acireale, Caltagirone, perfino in Puglia. A quei tempi i migliori musicanti erano nelle bande. Erano una scuola di musica». Che, però, insegnavano il mestiere ma non davano il diploma, il “pezzo di carta”.

Rino Cirinnà, figlio di Paolo, sassofonista jazz di livello internazionale, nella foto durante un concerto all’Artesia Festival (foto Samuele Castiglione)

«Il diploma lo danno i Conservatori, cresciuti a dismisura e che hanno in pratica ucciso le bande», riprende Rino Cirinnà. Lui nella banda entrò nel 1972, «avevo 6 anni e ci sono rimasto sino a 18 anni. Suonavo il clarinetto piccolo in si bemolle, chiamato anche “sestino”. Aveva suoni acuti, altissimi», ricorda. «È uno di quegli strumenti tipici della banda che doveva ovviare con gli ottoni all’assenza degli archi. C’erano sei tipi di clarinetto, così per il sassofono, la tromba. Strumenti spariti. Come gli spartiti: c’erano composizioni originali per bande, famose quelle di Pietro Pernice, o quelle di Mulè. Oggi la banda si è imborghesita».

Anche Rino Cirinnà punta l’indice contro i Conservatori, che hanno concentrato l’insegnamento sugli strumenti classici, diplomifici che non formano il musicista. «Al contrario della banda che era una scuola, di musica e di disciplina. Dava formazione e anche fatturato». E, con un po’ di nostalgia, il sassofonista la cui fama dall’Italia arriva oltre Oceano guarda sfilare ordinata e con passo preciso la fanfara dei Carabinieri, ospite anch’essa del raduno di Canicattini. «Una volta era una ambizione andare a suonare nelle bande militari. Io sono diventato sassofonista quando entrai nella Banda dei Carabinieri, che è più importante delle varie fanfare, sorta di scuole di formazione. Purtroppo, anche queste sono in crisi, per via dei costi alti e delle paghe misere. Si dice che ne rimarrà soltanto una, quella interforze».

Con i suoi tamburi, le trombe e i sassofoni la banda è da sempre intimamente legata all’idea di festa e di condivisione popolare. Grazie alle sue marce una comunità si incontra. Si incontra e si “muove”, perché la banda non è solo musica, ma musica e movimento: le bande sfilano, diventano parte integrante dei paesaggi che attraversano, svolgendo nell’ambito della nostra tradizione culturale funzioni diverse. La loro musica costituisce un momento di socialità che coinvolge gli individui singolarmente e come parte di un gruppo, accompagnando le feste patronali, quelle civili, i matrimoni e i funerali. Parallelamente le formazioni bandistiche, oltre ad essere “spettacolo”, rappresentano anche uno spazio insostituibile di scolarizzazione e di alfabetizzazione musicale, soprattutto nei piccoli centri dove spesso mancano gli spazi per imparare a suonare uno strumento.

La memoria cinematografica custodisce i fotogrammi di Pietro Germi, quando Marcello Mastroianni, tra i dolenti, e Stefania Sandrelli, singhiozzante con il viso avvolto nel foulard nero, seguono il feretro mentre le trombe, i tromboni e i clarinetti, lanciano acuti verso il cielo. «La banda ai funerali è ancora una usanza qui a Canicattini. E viene pagata bene. E se non suona prende ancora di più. È motivo di prestigio», spiega Rino Cirinnà. «C’è un libro che sostiene che la musica per funerali non è nata a New Orleans, ma fu portata in America dai siciliani emigrati che andavano lì e la suonavano».

A Canicattini, “la città del Liberty e della musica”, come viene presentata al visitatore da una scritta all’ingresso in città, la banda è stata il cuore pulsante del centro ibleo. Una passione che si tramanda di padre in figlio da quattro generazioni. «“A Canicattini chiantanu favi e nàsciunu musicisti”, si dice», commenta Piero Cicero Santalena. Musicista e compositore anche lui. E anche lui cresciuto nella Banda di Canicattini. «Per ventisette anni l’ho diretta e ho suonato il flauto traverso». Complice e compagno di avventure con Rino Cirinnà, «provavamo le marce sulle terrazze delle case», Cicero Santalena è stato anche fra gli ideatori dell’Accademia musicale “Euterpe”. Dal 2012 si è messo in proprio, fondando la Panta Rei Orchestra, un ensemble d’archi di 25 elementi («ma vorrei presto portarli a 45/50») con i quali affronta un vastissimo repertorio che spazia dalla sinfonica alle colonne sonore, dalla lirica al pop. Sacro e profano, come nelle bande. «Con incursioni anche nella musica popolare e dialettale», mette in rilievo. «Ho presentato a Palazzolo Acreide un’opera sulla storia della Sicilia con voce recitante: 2.500 anni di storia riassunti in 15 brani che andranno a comporre un cd destinato anche al mercato internazionale». 

Da sinistra: Piero Cicero Santalena, direttore della Panta Rei Orchestra, e Paolo Cirinnà, che ad ottobre compie 93 anni

La massiccia presenza di archi nell’orchestra di Cicero Santalena è un segno del cambiamento dei tempi. Della crisi delle bande. Non è che le grandi orchestre dei teatri d’Opera se la passino meglio, ma hanno maggiori occasioni per esibirsi. E si alza anche l’età media dei musicisti. «Le bande sono in crisi anche perché oggi i giovani sono influenzati dalle nuove tecnologie, stanno attaccati agli smartphone, ai computer. Noi studiavamo», sostiene il direttore della Panta Rei Orchestra.

Il maestro Sebastiano Bell’Arte, al centro, insieme con alcuni giovanissimi allievi della Banda di Avola

Tuttavia, nelle bande, ancora qualche giovanissimo si trova. Sia in quella di Canicattini, sia in quella di Avola, che sabato si sfidava a colpi di trombone e grancassa con la collega spagnola. «Cominciamo a formare i nostri musicisti a scuola, in terza e quarta elementare», spiega il maestro Sebastiano Bell’Arte che nel 1996 riformò la Banda di Avola, le cui origini si perdono nelle notti borboniche. «Poi, se si appassionano, continuano nella scuola che abbiamo aperto». E sono tanti che ai videogiochi e al telefonino preferiscono il sassofono, il flauto o il clarinetto. 

Bell’Arte ha anche affidato il rilancio della banda ad “ambasciatori” della musica siciliana, come Roy Paci e Rita Botto. Con la “sacerdotessa folk” formano ormai un sodalizio di grande richiamo, conquistando palchi importanti di rassegne e festival. Uno spezzone del clip di Cantu e cuntu, una delle tracce dell’album Terra ca nun senti, pubblicato nel 2014, è stato inserito, tra altri estratti video dei siciliani più illustri (Falcone, Borsellino, Sciascia, Ignazio Buttitta, Franco e Ciccio, Peppino Impastato, Rosa Balistreri, Giuseppe Tornatore), in un documentario che rappresenta la bellezza della Sicilia e lanciato nella stratosfera a oltre 30.000 km di altezza.

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