– Venerdì 24 maggio esce il nuovo album dell’ex Jam: nel titolo l’età che l’artista compirà il giorno successivo. «Quando ero bambino pensavo che chiunque avesse più di 25 anni fosse antico, figuriamoci 60 o più»
– «Mai mi sarei aspettato di fare musica a 60 anni, né avrei mai immaginato di raggiungere 66 anni». Un album intimo, riflessivo, fra soul e Beatles, nel quale si parla di «fede e realtà mutevoli della vita in questa epoca turbolenta»
Come indicano il titolo e l’artwork di Sir Peter Blake, il nuovo album di Paul Weller segna il completamento del suo sessantaseiesimo viaggio intorno al sole e uscirà il 24 maggio, il giorno prima del suo compleanno numero 66. 66 è il titolo di un lavoro riflessivo – un cugino di primo grado di True Meanings, il suo album acustico del 2018 – che fonde sfumature delle riflessioni popolari di Nick Drake, Astral Weeks di Van Morrison e pop in stile Beatles con testi introspettivi. È un disco che riporta indietro nel tempo l’obiettivo della fotocamera e fa luce sul modo in cui la creatività di Weller interagisce con il mondo.
«Quando ero bambino pensavo che chiunque avesse più di 25 anni fosse antico, figuriamoci 60 o più», commenta l’ex Jam. «La mia prospettiva ora è completamente diversa e ha dietro una esperienza e una conoscenza che non avevo prima. Dobbiamo ricordare che a quel tempo la generazione più anziana era quella del Dopoguerra, e quindi c’era una mentalità e una cultura completamente diverse. Anche il modo in cui le persone anziane si vestivano allora era radicato negli atteggiamenti del Dopoguerra. Per un bambino come me, quella fascia di età, in particolare le persone di 50 e 60 anni, sembrava antica, antica, antica. E, naturalmente, a quell’età non mi sarei mai, mai aspettato di fare musica nei miei 60 anni – sarebbe stato impensabile per me – ma poi non avrei mai immaginato che avrei raggiunto l’età di 66 anni. Per fortuna, non sono morto o scomparso dopo aver avuto alcune canzoni di successo».
Da molti anni lo stile di vita di Weller abbraccia un’alimentazione sana e un regime sportivo: niente alcol, nessuna droga. Ma una volta era, confessa con un pizzico di rimorso, «un uomo che passava gran parte del suo tempo in pub, lounge di hotel, bar dell’aeroporto e ovunque ci fosse qualcosa di alcolico».
«Tutti questi cambiamenti hanno avuto un’enorme influenza sulla mia salute e sulla mia vita. I miei livelli di energia sono eccellenti. Ho ancora uno stile di vita molto impegnato. Non mi piacerebbe pensare a quale sarebbe stata la mia salute – fisicamente, mentalmente, spiritualmente – se non avessi fermato il bere e la droga. Non so perché le persone ignorino di guardare il quadro più ampio della loro salute perché ha senso per me almeno cercare di vivere gli anni rimanenti il più forte e in forma possibile. Anche la semplice fortuna può avere un ruolo, ovviamente, dato che ho conosciuto molte persone più giovani e più in forma di me, e se ne sono andate».
Una carriera discografica iniziata nel 1977 che vede ora l’uscita del suo diciassettesimo album solista. Weller ha sempre dimostrato un impegno costante nel superare i confini artistici pur rimanendo fedele alle sue radici. L’album 66 promette di non fare eccezione, offrendo un viaggio accattivante attraverso la sua continua evoluzione musicale. L’apertura dell’album è affidata al flauto jazz di Ship of Fools, mentre Flying Fish ci proietta in atmosfere cinematografiche anni Sessanta con la complicità di Noel Gallagher. Jumble Queen, con i suoi inserti in ottone, punta allegramente ai Dexys Midnight Runners. Nothing è una ballata soul dalle atmosfere notturne e sognanti. My Best Friend’s Coat è un nostalgico ronzio pop barocco che suona come un mash-up di canzoni stile anni Sixties.
L’album ri rivela asciutto ed elegante. Con Rise Up Singing siamo in piena epoca R&B, una ballata dai vorticosi arrangiamenti orchestrali di Hannah Peel interpretata in modo magnifico. Woke Up è una sublime canalizzazione orchestrale di Paul McCartney. Forse ci vorrebbe una scossa di ritmo nel soporifero trittico composto da A Glimpse of You, Sleepy Hollow e In Full Flight, che fortunatamente arriva, con la collaborazione di Bobby Gillespie, nell’energica Soul Wandering. Mentre la traccia di chiusura dell’album, Burn Out, suona come la suite Abbey Road dei Beatles incrociata con Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.
66 attinge a frammenti di vita reale, a riflessioni sulla spiritualità e persino a ricordi d’infanzia. È un album che, come spiega Weller, indaga su argomenti di «fede e realtà mutevoli della vita in questa epoca turbolenta». Ma è in fondo positivo, pieno della saggezza e della prospettiva maturate dall’attività di un artista che ha scritto pagine importanti nella storia della musica. E queste di 66 rappresentano un nuovo, affascinante, capitolo.