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Nick Cave: il pubblico mi ha salvato

Nel libro “Faith, Hope and Carnage”,  in uscita il 20 settembre, il rocker ribadisce l’impressione lasciata dal suo concerto al Medimex di Taranto lo scorso giugno. Cantava sempre in contatto con gli spettatori, come se fosse in comunione con loro, e così ha elaborato il lutto per la perdita di due figli. «È difficile parlarne, ma i concerti stessi e questo atto di sostegno reciproco mi hanno salvato», confessa oggi. «Legalizzare le droghe, anche l’eroina»

Quella sensazione che registrai al termine del concerto che Nick Cave tenne lo scorso giugno al Medimex di Taranto oggi mi è stata confermata dallo stesso rocker. Oggi più di ieri, scrissi, Cave ha bisogno dei suoi fan, devoti e appassionati. A loro sembra comunicare il suo dolore con empatia, quasi alle lacrime. «L’attenzione del pubblico mi ha salvato», ribadisce lui adesso in Faith, Hope and Carnage, libro che raccoglie quaranta ore di conversazioni telefoniche tra Cave e il giornalista Seán O’Hagan e che sarà pubblicato il 20 settembre. «Sono stato aiutato enormemente dal mio pubblico e quando suono ora, sento che mi sta dando qualcosa in cambio. Quello che faccio artisticamente è ripagare interamente un debito. È… l’altro mio figlio è morto. È difficile parlarne, ma i concerti stessi e questo atto di sostegno reciproco mi salvano. La gente dice, come puoi andare in tour? Ma per me è il contrario. Come non potrei?».

Nick Cave durante il concerto al Medimex di Taranto

Il tour con il quale l’artista australiano era stato infatti preceduto in maggio dalla scomparsa del secondogenito Jethro, nato da una relazione con la modella Beau Lazenby nel 1991. Tragedia arrivata proprio quando, attraverso due album straordinari, elegiaci, strazianti e bellissimi come Ghosteen Carnage, Cave sembrava avesse elaborato il lutto per la perdita del piccolo Arthur, nel 2015, caduto da una scogliera a 15 anni, che l’aveva costretto a lasciare Brighton, a due passi dal luogo in cui era morto il suo ragazzo, per trasferirsi a Los Angeles e cercare di sfuggire al dolore. 

«Preparatevi per l’Amore. Elogiatelo!… Dio cavalca lassù in un cielo ordinario». Nick Cave apriva così il suo libro di canzoni sacre chiamando a raccolta con Get ready for Love la sua popolosa parrocchia, dando il via a un rito tra il sacro e il profano, tra il rock e la Bibbia, tra il punk e il gospel, tra una storia horror e il Libro dei Salmi, tra incubi e sogni mistici, tra La terra desolata e Cocksucker blues, tra Nosferatu e Marilyn Monroe e chiunque altro sia affogato nel suo stesso malessere.

Nick Cave sempre in contatto fisico con il pubblico durante il concerto a Taranto lo scorso giugno

Non ho mai sperimentato di essere profondamente commosso dal pubblico stesso e dalle sue stesse gioie, sofferenze e insicurezze e tutte le cose che tu vedi quando guardi davvero gli occhi delle persone. Non so se ha un senso, ma ora vedere una persona commossa da quello che stai facendo è un privilegio enorme

Nick Cave

Vestito con abito, gilet e camicia bianca, Nick Cave dava l’anima sul palco. Saltava da un lato all’altro, si protendeva verso i suoi fan, stringeva le mani, li guardava negli occhi, puntava dritto al loro cuore: «Boom, boom, boom», ripeteva battendosi il petto con il pugno, mentre dalla platea venivano lanciati fiori, lettere, disegni, ritratti. Cantava sempre in contatto con gli spettatori, come se fosse in comunione con loro. Si accovacciava, s’inginocchiava, posava in posizione di crocifissione e celebrava la potenza e i misteri della fede come un indemoniato, fino a camminare sul pubblico. E oggi, quel bisogno di stare sempre in contatto con gli spettatori, lo spiega così: «In passato, sono salito sul palco e ho fatto spettacoli e loro sono buoni o sono cattivi, ma non ho mai sperimentato di essere profondamente commosso dal pubblico stesso e dalle sue stesse gioie, sofferenze e insicurezze e tutte le cose che tu vedi quando guardi davvero gli occhi delle persone. Non so se ha un senso, ma ora vedere una persona commossa da quello che stai facendo è un privilegio enorme».

Nick Cave è un sistema nervoso che va avanti a rime e fantasmi. Quella notte sul Lungomare di Taranto i fantasmi svolazzavano ululando tra le parole. Le mani di Warren Ellis sul violino creavano mulini a vento intorno alla sua barba di Gandalf, mentre chiudeva gli occhi e cantava, completamente estasiato. Nick Cave la sua voce inconfondibile. Come Bob Dylan, Leonard Cohen, Kurt Cobain. La sua è profonda, a volte gutturale, e contiene il “dramma”, nemmeno fosse un interprete scespiriano: anzi, tanti diversi drammi esistenziali, intrecciati tra loro in modo inestricabile. 

Sono a favore della legalizzazione di tutte le droghe, ma in particolar modo per l’eroina. L’illegalità è il motivo per cui ci sono così tante persone che muoiono a causa dell’uso di questa droga

Nick Cave

Nick Cave tante volte è sembrato annegare. Nei suoi abusi. L’anfetamina prima, l’eroina poi, lo stavano distruggendo negli Ottanta. Oggi confessa l’inutilità delle droghe nel processo creativo, pur sostenendo la necessità di legalizzarle. «Sono a favore della legalizzazione di tutte le droghe, ma in particolar modo per l’eroina, perché si possa andare da qualche parte e prenderla in sicurezza e tornare la sera e riprenderla in sicurezza. È il caos attorno a quel particolare farmaco che è incredibilmente distruttivo e pericoloso. L’illegalità è il motivo per cui ci sono così tante persone che muoiono a causa dell’uso di questa droga».

Sul palco Nick Cave appariva come un “re Lucertola” meno sensuale rispetto a Jim Morrison, un po’ Elvis e un po’ Jagger illuminati dallo Spirito Santo. «Elvis è il mio eroe», racconta nel libro. «C’era un aspetto nella storia dei suoi ultimi anni che per me è quasi religioso. Gli ultimi concerti di Las Vegas sono stati la Passione della crocifissione, la redenzione e la resurrezione. C’è un uomo che sta soffrendo a un livello così epico per essere sul palco, esibirsi e vivere».

Come Nick Cave.

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