Disco

New music 2023: femmine urlanti

Il rock libero degli Screaming Females, la queer femminilità nera di Kelela, la ribellione di Francesca Michielin che ha «in Carmen Consoli il mio spirito guida». E poi il ritorno di Yo La Tengo e dei Paramore. L’arte casalinga degli irlandesi New Pagans

THE SCREAMING FEMALES – Desire Pathway   voto: 9 su 10

In questa confusa era dell’informazione, un’era in cui gli unici artisti che trascendono il rumore digitale sembrano essere quelli la cui musica viene sopravvalutata sui social media, qui fuori, nella realtà, c’è ancora qualcuno che si preoccupa solo dell’essere. Sono femmine urlanti, Screaming Females, trio nato nel New Jersey, la cui musica anno dopo anno migliora orgogliosa e basata su principi. 

Gli Screaming Females sembrano una piccola azienda fai-da-te. Il bassista Mike Abbate continua a serigrafare le magliette della band. La cantante-chitarrista Marissa Paternoster disegna le copertine degli album della band. Sono ancora autogestiti e nel loro ottavo album, Desire Pathway, la loro musica suona ancora completamente padrona di sé.

Cosa non fanno? Non protestano. Il che rende Screaming Females una anomalia nello spazio indie-rock di oggi, dove i giovani musicisti affrontano ostacoli che soffocano i sogni: servizi di streaming sfruttatori, playlist algoritmiche impenetrabili, un circuito di tour danneggiato dalla pandemia. Ma quando mai è stato facile fare in modo che il pianeta si prendesse cura della tua band? Denaro e influenza non sono mai stati promessi nel rock and roll, ma tutti hanno ancora la possibilità di continuare a presentarsi e fare arte. Screaming Females da quasi due decenni si basano sul loro impegno ed il loro suono, sui loro principi, sostenendo un progetto per la libertà. 

La cover dell’album

Per comprendere appieno questa libertà, ascoltate la band nella loro interezza: otto album concisi che puoi sfogliare tra il tramonto e la mezzanotte. S’inizia nel 2006 con Baby Teeth, una serie di melodie agrodolci forgiate durante gli spettacoli nel seminterrato nella nativa New Brunswick. In poco tempo si arriva a Ugly del 2012, prodotto da Steve Albini, e con riff nodosi come suggerisce il titolo. Tutto comincia a sembrare più aerodinamico in Rose Mountain del 2015, poi più pesante in All At Once del 2018. E ora Desire Pathway, in cui gli Screaming Females sembrano voler incanalare il rock and roll di Blue Cheer, Black Sabbath, Jimi Hendrix, Neil Young, Van Halen, Heart, the Pretenders, X, Black Flag, the Wipers, R.E.M., Dinosaur Jr., Dead Moon, Nirvana, Ride, the Breeders, Hum, Elastica, the Yeah Yeah Yeahs. C’è una canzone killer in Desire Pathway, che s’intitola Beyond the Void e nella quale sembrano di sentire i Led Zeppelin e i Thin Lizzy che ballano un valzer cosmico. Desert Train sembra un’accelerazione perpetua, richiamando in qualche modo il prurito ormonale dell’hair metal degli anni Ottanta. Ornament evoca un assortimento di fantasmi alt-rock degli anni Novanta con le sue melodie ruggenti e il ritmo lento, con Paternoster che canta: “Ora ho quello che voglio / Non mi farà sentire meglio”.

La narrazione del progresso degli Screaming Feamales riguarda la difesa dei propri ideali, non per dogma, ma in modo che possano supportare meglio un’arte che cresce.

KELELA – Raven – Voto: 8 su 10

Nei sei anni trascorsi dall’innovativo Take Me Apart, la vaporosa body music di Kelela è diventata una forza singolare. L’insaziabile fascino del nuovo romanticismo, dinamiche di potere che si spostano come sabbie mobili, groove celestialmente minimalisti e r&b: questa è la forte attrazione gravitazionale del mondo di Kelela. 

La cover del disco

La pandemia globale e le rivolte di Black Lives Matter nel 2020 hanno affinato le sue intenzioni mentre lavorava: stanca della diffusa misoginia, ha studiato e riflettuto su film, saggi e opere di accademici e artisti come Kandis Williams e Shaadi Devereaux. Ha inviato un documento a colleghi e amici chiedendo cosa stanno facendo per promuovere le donne nere e altre persone emarginate; ha portato avanti una ristrutturazione personale e professionale che Kelela ha definito «un atto di cura di sé». 

Da questo periodo di introspezione nasce Raven, il secondo album di Kelela. Dopo aver analizzato le relazioni incrinate in Take Me Apart, Kelela centra la queer femminilità nera attraverso esplosioni di musica dance accesa. Ascoltare Raven lascia senza fiato davanti alla portata della musica avvolgente di Kelela, offrendo diversi punti di osservazione da cui assistere a nuove interpretazioni da capogiro dell’r&b.

FRANCESCA MICHIELIN – Cani sciolti – Voto: 7 su 10

I “cani sciolti” non stanno dentro uno schema predefinito, ma sono liberi di esprimersi. E Francesca Michielin voleva prendersi il lusso di questa libertà, scrivendo brani più coraggiosi. Michielin si dedica ad una rivendicazione della fragilità «in un mondo che ci vuole forti» e racconta come questa possa diventare un punto di forza: ne parla il brano Carmen, nato da un dialogo con Carmen Consoli, che Michielin reputa, come lei, un “cane sciolto”: «Il suo è un cantautorato dissidente riesce sempre a portare una sua verità», spiega. «E in questo disco Carmen è il mio spirito guida».

La copertina del disco

Nell’album trova spazio anche il tema dell’amore. In particolare, Claudia è «un piccolo manifesto per quelle donne che non hanno mai potuto dire che amano un’altra donna». Spesso, osserva Michielin, «l’orientamento sessuale di una persona diventa oggetto di domande fastidiose, a volte maleducate. Se chi si sente così vorrà dedicare la mia canzone alla sua persona ne sarei molto felice». C’è poi una critica sociale, legata alla vita di provincia, «dove spesso si confonde la semplicità con il semplicismo», in contrapposizione alle città «ricche di differenze che spesso non vengono ascoltate». Tra le tracce emerge anche il tema dell’immigrazione: «Io sono credente ma mi chiedo che senso ha andare in chiesa se poi non si pensa che Gesù potrebbe essere su uno di quei barconi che vengono respinti in mare. È una riflessione su chi predica bene e razzola male».

PARAMORE – This is way – Voto: 6 su 10

Vent’anni fa, Hayley Williams era un’adolescente ingenua ma precoce che studiava a casa e una devota cristiana che aveva appena firmato per una major, prima come solista e poi come cantante dei Paramore. Ora è una donna divorziata di 34 anni, una feroce sostenitrice dell’accesso all’aborto, un modello per una nuova generazione di popstar. Il sesto album dei Paramore, This Is Why, trema per le ansie paranoiche di una donna adulta che scruta fuori dalla sua bolla: un po’ fuori passo, ma tanto più furiosa per lo status quo.

La cover dell’album

Nei cinque anni trascorsi dall’ultimo album dei Paramore, After Laughter, il suono frastagliato e sinistro che la band ha ritagliato nei primi dischi è tornato negli inni avvelenati di artisti come Olivia Rodrigo e Willow. Nel frattempo, in un paio di album da solista, Williams ha coinvolto collaboratori tra cui Boygenius e ha sperimentato una produzione più morbida e intima. Mentre si riunisce con i compagni di band Zac Farro e Taylor York, Williams sembra riluttante a riprendere i vecchi ritmi della band: «Non vogliamo essere una band nostalgica». Invece di rigurgitare il nodoso punk da centro commerciale dei loro dischi precedenti, in This Is Why cercano i suoni propulsivi del post-punk. I testi ironici del genere e l’energia scoppiettante hanno un significato sentimentale per Williams, che è cresciuta durante il revival post-punk britannico dei primi anni 2000. Tuttavia, inseguendo i suoni della loro giovinezza, i Paramore perdono l’esuberanza che ha lanciato i loro hit più grandi della vita nella stratosfera.

YO LA TENGO  This Stupid World  Voto: 8 su 10

La cover dell’album

Quarant’anni dopo, gli Yo La Tengo si stanno ancora inventando. In This Stupid World, sono pronti a cantare di nuovo, a liberarsi dal torpore inquieto di Amnesia e andare avanti ricaricando alcune delle parti migliori della loro storia. Nei loro album hanno fatto un po’ di quasi tutto, dal samba e soul al rumore grezzo e al country regale. Per queste nove tracce, puntano su un elettrizzante rock, morbido ma d’acciaio. Dall’iniziale Sinatra Drive Breakdown, Georgia Hubley e James McNew accelerano e rallentano come se stessero guidando nel traffico dell’autostrada. Hubley e Ira Kaplan dettano il ritmo, i loro quasi sussurri melodiosi che svolazzano come federe su una corda da bucato. E poi c’è la chitarra scabrosa di Kaplan, che passa tutti i sette minuti a stravolgere la bella melodia, finché tutto ciò che rimane è un mucchio di rottami arrugginiti. Quando raggiunge l’assolo di metà canzone, si lancia su alcuni accordi irregolari, si arrende e poi si scaglia contro le singole note, come se cercasse di ricordare come si incastrano. Alla fine, trova il riff e torna strisciando verso la canzone, risolvendo questo piccolo melodramma avvincente. “Fino a quando non ci rompiamo tutti/Fino a quando non ci rompiamo tutti”, Kaplan e Hubley si armonizzano di nuovo verso la fine e i pezzi di questo inno dell’oblio si allontanano lentamente. 

NEW PAGANS – Making Circles of Our Own – Voto: 7 su 10

Lyndsey McDougall, la cantante della band alt-punk di Belfast New Pagans, ha passato anni a studiare i ricami realizzati dalle donne irlandesi nel XIX e XX secolo come parte della ricerca per il suo dottorato. Attraverso ore trascorse negli archivi di musei e biblioteche esaminando pezzi secolari, McDougall è arrivata a capire che il ricamo raccontava storie: di madri che raccolgono fondi per l’emigrazione delle loro famiglie e mogli che creano la cultura materiale per le organizzazioni della loro comunità, e di donne che mettono le loro abilità al servizio dei loro colleghi artigiani. Lo studio di McDougall è nato dalla sua pratica di realizzare ricami con le stesse tecniche e materiali che le donne avrebbero usato 200 anni fa. Queste lezioni sono al centro del secondo album dei New Pagans, Making Circles of Our Own. «In un ambiente domestico hanno creato arte con oggetti di tutti i giorni», spiega McDougall. 

La cover dell’album

Puoi sentire l’energia di quelle donne nel disco. Le linee vocali taglienti e cristalline di McDougall sono portate in cima alla cacofonia organizzata della band: un ibrido post-punk, indie-arena-rock che fa a pezzi Pixies. L’apertura Better people, degna dei Paramore, cavalca il bordo ansioso della gioia e della chiarezza, un campo ampio e aperto di chitarre strazianti e tamburi fragorosi. La passione di McDougall per l’arte e la creatività è messa a nudo in There We Are, John e Karin Was Not a Rebel. Entrambe le canzoni sono state ispirate dalla forza creativa di artisti specifici. La prima traccia riguarda la crescita da situazioni e spazi desolati ed è stata ispirata dall’artista inglese, costumista, regista e attivista gay Derek Jarman. I New Pagans credono che il disco e alcuni degli artisti che lo hanno ispirato siano una celebrazione di persone orgogliose di essere se stesse, che resistono ai vincoli imposti da altri e si lasciano alle spalle un’eredità di creazione e ottimismo.

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