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Musica & cibo, un rapporto ancestrale

Da Omero a Rossini fino a Paolo Fresu e Omar Sosa che domenica 23 luglio presentano il disco “Food” a Noto. «Musica e cibo sono contaminazione», commenta il trombettista sardo: «Il concerto è fatto di racconti di ricette, ambientazioni culinarie e socialità». «Cucina e musica sono legate in quanto espressioni popolari, inclusive e coinvolgenti», fanno eco Alfio Antico e Carmelo Chiaramonte, ideatori del “concerto gastronomico” “Aju Fami”

Seduto in un ristorante di Venezia in attesa della cottura del suo risotto, Gioacchino Rossini scrisse l’aria di Tancredi Di Tanti Palpiti. Dopo la prima dell’Opera il 6 febbraio 1813 al Teatro la Fenice di Venezia divenne presto l’aria più in voga in tutta Europa e fu soprannominata poi, date le particolari circostanze, “l’aria del riso”. Cosa dire poi di Johann Strauss che compose una cotolekt-polka per esaltare la famosa cotoletta impanata, sulla cui paternità ancora oggi si contendono milanesi e viennesi?

Gioacchino Rossini

La cucina non è solo sapore e profumo, la sua espressione creativa può prendere forme e vie inaspettate, parlare attraverso linguaggi diversi che si allontanano da quello gustativo, per allargarsi agli altri sensi. Era sempre Rossini a teorizzare: «Lo stomaco è il maestro di musica che sprona la grande orchestra delle grandi passioni; lo stomaco vuoto suona il fagotto del livore e il flauto dell’invidia; lo stomaco pieno batte il sistro del piacere e il tamburo della gioia».

Il cibo rappresenta la chiave per dare il via a forme d’arte che sfuggono dal più comune concetto palatale, per arrivare a raccontarsi anche attraverso i suoni. Ed è questo il percorso narrativo intrapreso in alcune esperienze che interpretano l’atto del cucinare e del mangiare facendolo divenire una performance musicale.

È il caso, ad esempio, dei Food Ensemble, un trio che nasce dall’esigenza di sperimentare e fondere l’arte culinaria con la musica elettronica, intrecciare suoni, sentori e percezioni per creare un’atmosfera unica e coinvolgente. «Immaginate di vedere un cuoco cucinare dei bellissimi piatti davanti ai vostri occhi, di sentire i rumori della preparazione che riempiono la stanza. Poi lentamente questi rumori si trasformano, si sommano e diventano musica. A questo punto, mentre si ascolta la composizione, è possibile assaporare il piatto nato proprio da questi suoni».

Loro sono Francesco Sarcone, colui che ruba i suoni provenienti da padelle e pentole sul fuoco, dalle mani al lavoro che grattugiano, mescolano e impastano, per estrapolarne le note e comporre “menù” musicali che accompagnano e completano le portate; Andrea Reverberi, il cuoco e poeta del gruppo, colui che crea ricette e dialoga con le materie prime; Marco Chiussi, fonico e sommelier, impegnato nella scelta dei vini per accompagnare la cena e nelle campionature dei microfoni.

La felice unione tra musica e cibo risale all’antichità. Metà Odissea è cantata ad un pranzo, la petroniana Cena di Trimalcione è interamente a ritmo di musica, perfino la liturgia missale è esaltazione cantata di un pasto rituale. Ma se Leonard Bernstein nel 1948 si limitò a musicare quattro ricette tratte dal manuale La Bonne Cuisine Française di Emile Dumont, il tamburo della gioia di Alfio Antico duetta con i soffritti e gli attrezzi dello chef Carmelo Chiaramonte, raccontando storie, diffondendo suoni e odori nell’ambito di una ricerca nel territorio.

Da sinistra: il regista Vincenzo Cascone, Alfio Antico e Carmelo Chiaramonte

«Cucina e musica sono legate in quanto espressioni ancestrali, popolari, inclusive e coinvolgenti. Racchiudono una profondità di messaggi, trasportano in un clima di partecipazione sensoriale», fanno eco Alfio Antico e Carmelo Chiaramonte parlando del loro “concerto gastronomico” Aju Fami. Come il jazz ed il blues delle origini traggono i loro suoni dai ritmi del lavoro quotidiano e della fatica, dai canti di lavoro, i rumori e i suoni della cucina entrano a fare parte della performance. Il filo conduttore è proprio la preparazione di una pietanza che dura l’intero spettacolo. Soltanto nel finale sarà rivelato il piatto in preparazione, ovvero un cuscus di verdure e frutti di mare.

Il tamburo e la voce di Alfio Antico entrano in sinergia con Carmelo Chiaramonte mentre pesta, taglia, setaccia, spadella, grattugia, frigge. «Armonie, padelle sonanti, pentolame inserite in novanta minuti di felicità epicurea», sottolinea l’ex “cuciniere errante” ormai stabilitosi al “Caro Melo” di Donnalucata. In alcuni momenti, i due protagonisti si scambiano i ruoli: talvolta è il percussionista a snocciolare la sua particolare ricetta basata sulla tipica erba spontanea e commestibile raccolta nelle campagne dell’isola, altre è lo chef a intonare filastrocche. 

«Musica e cibo sono contaminazione», sottolinea Paolo Fresu, che al Food, insieme con il pianista cubano Omar Sosa, ha dedicato un album e un tour che sta girando l’Italia e domenica 23 luglio, alle ore 21:15, farà tappa al Chiostro del Collegio dei Gesuiti di Noto. «Noto è un posto che conosco bene, dove mi piace tornare a suonare», premette il trombettista sardo, prima di presentare il concerto che «è sul tema del cibo». 

«Sono racconti di ricette, ambientazioni culinarie e socialità», spiega Fresu. «Su alcune basi abbiamo ricostruito suoni registrati nei luoghi del cibo: ristoranti, cantine, vigne. Suoni della cultura gastronomica: tintinnii di calici, olio che frigge, il vino versato in un bicchiere o un coltello che taglia una carota. E poi lingue diverse, italiana, sarda, friulana, spagnola, francese, inglese, giapponese, che declamano ricette o recitano preghiere di ringraziamento per il cibo. C’è ad esempio la declamazione della ricetta della zuppa berchiddese del mio paese, registrata in sardo da un signore locale, ci sono i pregonèros delle religioni animiste cubane. Nel brano Father c’è un signore quasi centenario che ringrazia Dio prima del pasto. Su queste basi abbiamo composto le musiche».

Tra l’aria salsoiodica del mediterraneo, i climi aridi dell’Africa e dei deserti orientali, le cucine tradizionali e gli aromi speziati dell’America latina, i dodici brani dell’album procedono scivolando talora in progressive rarefazioni sonore, creando comunque ampi spazi quietamente implosivi dove Fresu e Sosa si sostengono a vicenda, integrando i loro suoni senza sopravanzarsi l’un l’altro. Fresu è ovviamente alla tromba e al flicorno, strumenti spesso filtrati da effetti elettronici, mentre Sosa è al piano, al Rhodes e a tutte le tastiere possibili. 

«Così come i vari ingredienti vengono a combinarsi secondo una logica che riguarda la percezione gustativa del cibo adeguatamente preparato, attraverso l’equilibrio e la mescolanza dei suoi componenti, in modo analogo la musica nasce per combinazione di suoni, amalgama di armonie e strategiche dissonanze, gustate con altri sensi ma con lo scopo ultimo di non essere consumate in fretta, bensì assaporate e giudicate secondo i propri soggettivi criteri esperienziali».

Omar Sosa e Paolo Fresu

Come un piatto ben cucinato. Anche se nella dimensione “live” Fresu e Sosa non potranno contare su tutti gli ingredienti usati per il disco. Soprattutto sugli ospiti che fanno da contorno, dando voce alle musiche, come il rapper newyorkese Kokayi e la cantante sudafricana Indwe che hanno scritto testi culturali e politici sul tema del cibo e della sostenibilità. C’è anche Cristiano De André che canta il padre con Â çimma, che è una specialità della cucina genovese. «Nel concerto non potremo portare tutti questi ospiti, ci sono anche il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum e il percussionista americano Andy Narrell, ma proporremo soluzioni visive sorprendenti che portano il lavoro verso la dimensione del food, soffermandosi sull’importanza del cibo, sull’esigenza di rispettare l’ambiente e sull’equità».

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