S’intitola “Vortex” l’album con cui debutta da solista il dj che negli anni Novanta ha dettato il ritmo sulle piste da ballo di Parigi e San Francisco. L’elettronica si mescola con acid jazz, downtempo, atmosfere vintage, venature funk
All’inizio degli anni Novanta, la scena francese si è appropriata della musica house allora al suo apice a Chicago, traendo inizialmente i suoi campionamenti da un repertorio afroamericano più o meno dimenticato dal grande pubblico. Produzioni che la stampa musicale anglosassone battezzò “french touch”.
Ciò che rende particolarmente riconoscibile “il tocco francese” è una certa padronanza degli effetti, e in particolare dell’uso di filtri che modellano loop ripetitivi. Il suono “french touch è anche il riciclo di un’essenza groovy che incontrerà un grande successo in tutto il mondo. Il duo Daft Punk porterà questa effervescenza concettualizzando la sua musica attorno a uno spirito “rave”. I loro nomi o i loro volti non hanno importanza. Si nasconderanno dietro un elmo. Altri dj cercheranno di modellarsi un’immagine da rockstar.
![](https://www.segnalisonori.it/wp-content/uploads/2022/10/Seb-Gibelin-scaled-e1665441530244-1024x1012.jpg)
Seb Gibelin alle luci dei riflettori ha preferito il buio della cabina di regia nei djset condotti con nome d’arte di Jetseb, e la sperimentazione sonora. Al suo debutto discografico da solista con Vortex prova ad andare oltre il “french touch”, cercando di aprire un nuovo scenario e ridefinire il concetto di house music lanciando occhiate a retaggi trance e mescolando acid jazz, downtempo, atmosfere vintage. In Vortex risuonano le frequenze dark di questo artista, in un vortice ipnotico, dove i synth si miscelano a percussioni campionate, quasi in un connubio tribale ed elettronico. Flash di chitarra psichedelica squarciano come fulmini le tenebre. È organic house con venature di elettro funk. È l’evoluzione del “french touch”.
Nel brano d’apertura Init, echi di un mondo in cui suoni futuristici e ancestrali si confondono introducono l’ascoltatore in un vortice minimale di otto tracce, un percorso ipnotico che risucchia e porta in un altro luogo, in un’altra dimensione, fuori dal mondo, dentro noi stessi. E, una volta dentro, non si è più gli stessi.
Dinamica e percussiva è Return to Vega, mentre Pantin, ossessiva e ipnotica, riprende «l’atmosfera delle setlist house delle piste da ballo parigine fine anni Novanta», spiega l’autore. Dolce nostalgia per quelle notti interminabili, e per una buona ragione: Seb Gibelin, nelle vesti di Jetseb, dj resident, in quel periodo dettava il ritmo sulle piste da ballo di Parigi e San Francisco.
Cupa, ha un lungo (10 minuti) e lento incedere quasi marziale Vol BQZ vers Mars che sembra annunciare in modo sinistro il primo volo verso il Pianeta Marte. Più rilassante e dalle sonorità vintage Urban detox, mentre il canto della sirena Muriel Denis accompagna in sottofondo la variegata Siren song. Che non è l’unica canzone in cui la parola si insinua nel vortice di suoni: il dialogo fra un uomo e una donna crea chiari e scuri teatrali nella finale Intermede, quando le musiche sembrano mettersi in secondo piano per diventare colonna sonora di scene cinematografiche. E al grande schermo riporta anche il secondo singolo estratto dall’album, ovvero Parisian delight, nel quale Seb Gibelin invita il suo amico bassista Rémi Laporte a rivisitare insieme le musiche da film degli anni Settanta al suono dell’organo Hammond, di una inarrestabile linea di basso e di percussioni tribali.
Un disco da non sottovalutare.