Disco

L’evoluzione del “french touch” con Seb Gibelin

S’intitola “Vortex” l’album con cui debutta da solista il dj che negli anni Novanta ha dettato il ritmo sulle piste da ballo di Parigi e San Francisco. L’elettronica si mescola con acid jazz, downtempo, atmosfere vintage, venature funk

All’inizio degli anni Novanta, la scena francese si è appropriata della musica house allora al suo apice a Chicago, traendo inizialmente i suoi campionamenti da un repertorio afroamericano più o meno dimenticato dal grande pubblico. Produzioni che la stampa musicale anglosassone battezzò “french touch”. 

Ciò che rende particolarmente riconoscibile “il tocco francese” è una certa padronanza degli effetti, e in particolare dell’uso di filtri che modellano loop ripetitivi. Il suono “french touch è anche il riciclo di un’essenza groovy che incontrerà un grande successo in tutto il mondo. Il duo Daft Punk porterà questa effervescenza concettualizzando la sua musica attorno a uno spirito “rave”. I loro nomi o i loro volti non hanno importanza. Si nasconderanno dietro un elmo. Altri dj cercheranno di modellarsi un’immagine da rockstar. 

Seb Gibelin

Seb Gibelin alle luci dei riflettori ha preferito il buio della cabina di regia nei djset condotti con nome d’arte di Jetseb, e la sperimentazione sonora. Al suo debutto discografico da solista con Vortex prova ad andare oltre il “french touch”, cercando di aprire un nuovo scenario e ridefinire il concetto di house music lanciando occhiate a retaggi trance e mescolando acid jazz, downtempo, atmosfere vintage. In Vortex risuonano le frequenze dark di questo artista, in un vortice ipnotico, dove i synth si miscelano a percussioni campionate, quasi in un connubio tribale ed elettronico. Flash di chitarra psichedelica squarciano come fulmini le tenebre. È organic house con venature di elettro funk. È l’evoluzione del “french touch”.

Nel brano d’apertura Init, echi di un mondo in cui suoni futuristici e ancestrali si confondono introducono l’ascoltatore in un vortice minimale di otto tracce, un percorso ipnotico che risucchia e porta in un altro luogo, in un’altra dimensione, fuori dal mondo, dentro noi stessi. E, una volta dentro, non si è più gli stessi. 

Dinamica e percussiva è Return to Vega, mentre Pantin, ossessiva e ipnotica, riprende «l’atmosfera delle setlist house delle piste da ballo parigine fine anni Novanta», spiega l’autore. Dolce nostalgia per quelle notti interminabili, e per una buona ragione: Seb Gibelin, nelle vesti di Jetseb, dj resident, in quel periodo dettava il ritmo sulle piste da ballo di Parigi e San Francisco.

Cupa, ha un lungo (10 minuti) e lento incedere quasi marziale Vol BQZ vers Mars che sembra annunciare in modo sinistro il primo volo verso il Pianeta Marte. Più rilassante e dalle sonorità vintage Urban detox, mentre il canto della sirena Muriel Denis accompagna in sottofondo la variegata Siren song. Che non è l’unica canzone in cui la parola si insinua nel vortice di suoni: il dialogo fra un uomo e una donna crea chiari e scuri teatrali nella finale Intermede, quando le musiche sembrano mettersi in secondo piano per diventare colonna sonora di scene cinematografiche. E al grande schermo riporta anche il secondo singolo estratto dall’album, ovvero Parisian delight, nel quale Seb Gibelin invita il suo amico bassista Rémi Laporte a rivisitare insieme le musiche da film degli anni Settanta al suono dell’organo Hammond, di una inarrestabile linea di basso e di percussioni tribali. 

Un disco da non sottovalutare.

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