Come i suoi precedenti racconti, anche il primo romanzo dello scrittore messinese, “La misteriosa fine del professor Alberto Mazzaglia”, nasce ed è ambientato nella cittadina balneare all’ombra di Taormina
I primi passi da poeta, come tanti ragazzi della sua età. Poi, anche attraverso le collaborazioni giornalistiche con alcuni quotidiani siciliani, l’allargarsi dell’orizzonte ha portato Enrico Scandurra a raccontare storie. Mescolando la realtà, la sua terra, il suo paese di nascita, Letojanni, i personaggi dei suoi articoli, della sua vita, con la fantasia e con quei libri che divora in modo quasi cannibalesco e che non riescono mai a saziarlo.
Nascono così Sette Piccoli Sogni (Altra editore), mini-racconti pubblicati nel 2020, con i quali lo scrittore e giornalista messinese getta il seme dal quale è derivato adesso La misteriosa fine del professor Alberto Mazzaglia (sempre per Altra editore). che narra la vicenda di uno stimato professore di filosofia che, un bel giorno, comincia ad avvertire dei malesseri al petto, da cui nascerà, in un batter d’occhio, una rosa rossa piena di cardi sanguinanti. È forse una visione onirica, fantastica, una maledizione che non si sa da dove provenga e che porterà il professore ad assentarsi per lungo tempo da scuola e a consultare dotti medici e sapienti molto stravaganti che lo cureranno a loro modo, con risultati molto discutibili. Una storia avvincente da cui traspare la grande immaginazione dell’autore, impegnato ancora una volta in una magica sperimentazione narrativa.
Romanzo o racconto breve?
«Direi che si tratta di entrambi. Volevo raccontare una storia che contemplasse dentro l’afflato di un romanzo breve e lo slancio di un racconto lungo, in modo che il lettore o la lettrice potessero immedesimarsi meglio e terminarne la lettura in poco più di un’ora. Questo perché la sintesi è qualcosa di importante nella Letteratura di oggi. Io sono un autore che legge romanzi lunghi, al contrario. Ma al di là della lunghezza dello scritto, la cosa più importante resta la qualità e lo spessore intellettuale dell’opera. Non credo di aver scritto un capolavoro, comunque. È solo un romanzo/racconto che vuole far pensare e allo stesso tempo far viaggiare i lettori in una realtà irreale, a tratti surreale e irreale appunto».
Sono stato ispirato da una novella di Luigi Capuana, contenuta nel Raccontafiabe. Si intitola Il dottor Cymbalus, ma non segue per niente né lo stile né il contenuto dell’opera dello scrittore di Mineo. Di Tim Burton c’è molto: c’è la ricerca del surrealismo che mi ha spinto a rileggere anche Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, che io ritengo un libro per adulti allo stato puro. C’è il visionario di Dino Buzzati e lo slancio di Italo Calvino.
Enrico Scandurra
Chi è “Lui”, il protagonista del romanzo. È un personaggio reale, un tuo ex docente, o di fantasia?
«Si tratta di un protagonista che ho costruito pensando e ripensando agli anni in cui ho frequentato il Liceo Classico “Enrico Trimarchi” di Santa Teresa di Riva, in provincia di Messina. In sintesi, il professor Mazzaglia è soprattutto un mix di due professori che ho incontrato nel mio cammino da studente: il professore di Latino e Greco del Ginnasio, Francesco Messina, e la professoressa di Storia e Filosofia del Triennio, Francesca Gullotta, con i quali ho instaurato un rapporto bellissimo tuttora duraturo. Ci sentiamo spesso e parliamo di tutto. Per me sono stati dei fari, dei punti di riferimento nella vita di studente e di uomo del mio tempo. Mi hanno forgiato, mi hanno trasmesso dei valori che spesso oggi vengono considerati superflui: l’onestà intellettuale, la moralità e ovviamente mi hanno anche trasmesso il loro “sapere”. Sono due persone eccezionali che però non rispecchiano in tutto e per tutto Alberto Mazzaglia. Lui è un po’ come me per esempio. E poi la fantasia… c’è molto di fantasia nel professor Alberto Mazzaglia. I dolori al petto sono quelli che ho dovuto superare io in tempi non sospetti. Quindi c’è molto di autobiografico».
Il libro sembra procedere fra momenti horror alla Stephen King e altri fantastici e visionari alla Tim Burton.
«Certamente. Anche se più che Stepehn King io sono stato ispirato da una novella di Luigi Capuana, contenuta nel Raccontafiabe. Si intitola Il dottor Cymbalus, ma non segue per niente né lo stile né il contenuto dell’opera dello scrittore di Mineo. Di Tim Burton c’è molto: c’è la ricerca del surrealismo che mi ha spinto a rileggere anche Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, che io ritengo un libro per adulti allo stato puro. C’è il visionario di Dino Buzzati e lo slancio di Italo Calvino. Poi, come hai detto, c’è King, il maestro assoluto di un genere che io però non leggo molto. Sono ossessionato invece da Jorge Luis Borges: i suoi Il manoscritto di Brodie, Finzioni e L’Aleph sono delle perle, delle magiche storie in cui ho colto molto per costruire il mio stile».
Per certi versi, mi è sembrato lo sviluppo di alcuni semi avevi gettato nella tua precedente raccolta di racconti brevi. Già allora i protagonisti perdono il senso comune del vivere e si adeguano ad un senso superiore e non accettabile dalla logica, che fanno proprio senza discutere. Chi scala montagne, chi si arrampica su palme che si innalzano sino a sfiorare il cielo, chi nuota nel mare in tempesta.
«Sì, in questo romanzo breve c’è molto dei Sette piccoli sogni. Lì sono semplicemente dei semi che ho gettato in un terreno incolto all’epoca e da cui ho tratto sette racconti onirici, in cui sono presenti le più improbabili storie di personaggi avvolti nel mistero, nel visionario. Qui invece c’è la storia di un professore di Filosofia che, un bel giorno, si ritrova con una rosa rossa piena di cardi sanguinanti che spunta dal petto. Da qui inesorabili e incredibili vicissitudini porteranno il protagonista ad una svolta che però non sto a spiegare. I lettori dovranno immergersi nella storia, assaporando ogni singolo dettaglio. Ce ne sono tanti».
Sullo sfondo rimane anche Letojanni, il paese dove sei nato e dove vivi.
«Sullo sfondo è vero che c’è Letojanni, un paese che io amo e odio allo stesso tempo. Amo il luogo, le passeggiate sul lungomare, gli amici, le persone care, ma mi affliggo ogni qualvolta intravedo menefreghismo e una certa repulsione per coloro, come me, che vivono di lettura e scrittura. Di cultura in generale. Non credo di essere migliore di altri, ma purtroppo oggi un po’ dappertutto viviamo un periodo di brutalità. Non è Letojanni il problema. Il problema è il mondo in quanto mondo contemporaneo. A me a Letojanni non manca nulla, tranne i sogni. Ovvero tutto. Lo dico con grande tristezza, ma lo devo pur dire. Mi dispiace molto, ma se prima notavo qualche cambiamento, adesso vedo soltanto nero. Il buio assoluto. Nonostante tutto Letojanni, resta sempre nel mio cuore. Il posto dove nasci e dove vivi non si rinnega mai, malgrado le paturnie…».