Disco

Le storie di donne eroiche di Karkum Project

“Sahira” è il titolo del secondo album del duo composto da Giulia Tripoti e Claudio Merico. Un viaggio sonoro fra realtà e fantasia che dalla penisola iberica raggiunge l’India, attraversando l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. «Abbiamo dato una forma canzone a sei anni di ricerche e studi»

Sahira è una storia lunga. È l’incontro fra due musicisti profondamente appassionati delle tradizioni musicali e culturali del mondo. Giulia Tripoti, cantautrice, arrangiatrice e produttrice, che dal Tufello ha girato tutta l’Italia per poi abbracciare la world music, e Claudio Merico, violinista e polistrumentista, che dai due mari di Taranto ha allargato l’orizzonte a tutto l’arco del Mediterraneo. 

Giulia Tripoti e Claudio Merico

Da questo incontro è nato Karkum Project, «una forma di autoproduzione artistica e culturale», spiega Merico. «È un portale sul quale riversiamo i nostri lavori di ricerca, documenti sulle tradizioni italiane, su cos’è la musica popolare. E poi le nostre produzioni». Nel 2021 Giulia e Claudio hanno deciso di trasferire su un disco gli studi cominciati tre anni prima sul mondo musicale e culturale dell’area mediterranea. Viene pubblicato Aljama: partendo dal progetto dal vivo “Serfarad”, diventa un itinerario sonoro spaziotemporale che dalla penisola iberica, all’epoca chiamata al-Andalus, attraversa il bacino del Mediterraneo per approdare in Turchia, seguendo le rotte tracciate dai migranti, dalle diaspore dei popoli e quelle degli scambi commerciali.

Sahira è la seconda pietra del Karkum Project. Un album che ha avuto una gestazione di due anni, momento conclusivo di una ricerca durata sei anni «che abbiamo trasformato in forma canzone», racconta il violinista pugliese. «Abbiamo svolto studi approfonditi, non soltanto riguardanti la musica, gli strumenti, le culture, ma anche le lingue, i dialetti. Io ho avuto come insegnanti un turco, un curdo, un greco e un indiano. E poi ci siamo confrontati con ospiti che rappresentano delle “eccellenze” nelle loro tradizioni e che ci hanno aiutato anche nell’adattare i testi alle loro lingue e alla metrica delle loro musiche».

Sahira è un incrocio di itinerari mediterranei con voci e strumenti che, di sponda in sponda, si chiamano, si rispondono, si parlano in una magica trama di emozioni. Un viaggio che dalla Spagna medievale attraversa l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente sino a lambire l’India. Sonorità modali e microtonali delle diverse culture mediorientali si fondono con elementi musicali moderni. Dal fascino delle differenti etnie gitane alla profondità dei frammenti e modi ottomani, fino alla forza ed energia delle melodie tribali dal sapore curdo. Dalle suadenti melodie arabe alla spiritualità indiana. «Con la Puglia che emerge, perché Magna Grecia, faro del Mediterraneo», sottolinea Merico. È un intreccio di lingue e dialetti: italiano, tarantino, spagnolo, kurdo, arabo, romanì, ladino, bulgaro, hindi e moosì more. In una delle undici tracce dell’album, Sayyida, Giulia Tripoti passa con nonchalance dall’italiano all’arabo, dallo spagnolo al ladino che è la lingua di matrice medievale che parlavano i sefarditi, gli ebrei in fuga dalla penisola iberica, che la tramandarono e contaminarono nelle loro peregrinazioni.

L’immagine di copertina dell’album “Sahira” realizzata da Marta Cavicchioni

Sahira è un nome di donna. In arabo significa “Primavera eterna”. Simboleggia l’equilibrio tra Terra e Luna. «È un personaggio che racchiude in sé tutte le qualità del femminile. Prima su tutte, la capacità di donare la vita, dal suo grembo. Di essere Madre. La Madre Terra». Può essere immaginata come una donna dall’espressione disincantata e affaticata dal peso del mondo che deve sorreggere sopra la sua testa, come viene raffigurata graficamente dall’artista Marta Cavicchioni sulla copertina del disco. Perché Sahira è un disco di Storie di donne eroiche, come recita il sottotitolo. Un omaggio alla figura archetipica femminile, tra storia e mitologia. Undici storie, undici donne, sette delle quali sono esistite, le altre sono invece figure della mitologia o personaggi di racconti di fantasia. Dalla gitana Carmen all’amazzone Cleta (matrigna di Pentesilea e fondatrice mitologica dell’antica città calabrese di Cleto). Dalla Principessa di Entella (ultimo avamposto arabo siculo medievale) alla principessa Yennenga, la guerriera del Burkina Faso, fino alla regina piratessa Sayyda dell’antica Al Andalus. «Un’opera ricca di simbolismi archetipici che rappresentano la forza femminile, l’equilibrio e la rinascita», spiega Claudio Merico. «Ci sono elementi che ritornano: il culto della Madre Terra, il serpente simbolo di evoluzione e l’innocenza identificata nell’elefante dal mondo spirituale indiano. Sono elementi di spiritualità contenuti nell’album».

Fra incontri e incroci, s’intrecciano anche storie e leggende. Così in Rosetta, la favolistica bambina di Viterbo si collega al simbolismo indiano. La dolce bambina aiuta i poveri donando cibo in periodo di carestia, nonostante il contrasto del padre avaro, grazie all’aiuto di un miracolo. «La bambina incarna l’innocenza di Shree Ganesh, colui che rimuove gli ostacoli, difende le buone azioni e semina difficoltà sul cammino dei malvagi». 

In “Entella” la protagonista è una principessa dal nome sconosciuto, ultimo baluardo arabo contro la conquista normanna di re Federico II. Difese fino all’ultimo la Rocca di Entella e prima di togliersi la vita, finse una resa, uccidendo con l’inganno trecento tra i migliori cavalieri normanni. Si immagina che la sua anima vaghi ancora sul “Pizzo della Regina”. Non ci siamo dimenticati del siciliano. Lo abbiamo conservato per un altro progetto sempre sul Mediterraneo

Claudio Merico
Claudio Merico

Peccato che in Entella, riferita a una storia avvenuta sulla rocca nei pressi di Contessa Entellina, fra tante lingue e dialetti sia assente il siciliano. «Protagonista è una principessa dal nome sconosciuto, ultimo baluardo arabo contro la conquista normanna di re Federico II. Difese fino all’ultimo la Rocca di Entella e prima di togliersi la vita, finse una resa, uccidendo con l’inganno trecento tra i migliori cavalieri normanni. Si immagina che la sua anima vaghi ancora sul “Pizzo della Regina”», racconta Merico. «Non ci siamo dimenticati del siciliano. Lo abbiamo conservato per un altro progetto sempre sul Mediterraneo. Adesso, dopo aver cantato in sette lingue diverse, per Giulia sarebbe stato difficile imparare anche il siciliano».

Molte delle donne protagoniste sono arabe, musulmane, che oggi sono private di ogni diritto nelle loro terre, dall’Iran alla stessa India. «L’album sembra uscire al momento opportuno», dice Merico. «Parliamo anche di governi che sia in Oriente sia in Occidente spesso calpestano i diritti delle donne, come sta accadendo in Iran. I principi dei quali parliamo calzano a pennello». Come la storia di Yennenga, principessa del regno di Dagomba, spirito libero, che scappando dalla imposizione patriarcale al servigio miliziano, conquista indipendenza e amore, diventando fondatrice e prima regina del regno di Mossi che darà vita al Burkina Faso. O come Sayyida, Sayyida al-Hurra, la signora libera, regina di Tetouan, che riuscì a contrastare il predominio del re Ferdinando II sul Mediterraneo, alleandosi con i pirati, per proteggere e vendicare i fratelli arabi e sefarditi scacciati da Al Andalus e costretti alla diaspora.

Giulia Tripoti

In questo fantastico viaggio tra realtà e mito, fra mondi sonori che dal Mediterraneo raggiungono Africa e India, importanti compagni di viaggio sono stati Milena Jeliazkova (Bulgaria) alle voci bulgare; Ousmane Coulibaly GRIOT (Burkina Faso) alla kora e voce; Mübin Dünen (Kurdistan-Turchia) a santur/duduk/ney e voce kurda; Esharef Alì Mhagag (Libia) al canto arabo; Francesca Turchetti (Spagna/Italia) alla chitarra flamenca. «Sia Ousmane Coulibaly come Milena Jeliazkova sono stati fondamentali nell’adattare i nostri testi italiani alle loro lingue e alle metriche delle loro musiche», sottolinea l’artista tarantino. 

Sahira ha debuttato “live” a inizio marzo e venerdì 21 aprile si appresta a replicare a Roma alla Scuola popolare delle arti CIP Alessandrino. «Nel disco abbiamo suonato in due quattordici strumenti, più i cinque degli ospiti. Sul palco saremo in sei, ma abbiamo previsto una versione ridotta in trio. Questo album è un traguardo importante per noi e vorremmo condividerlo con più persone possibili».

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