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Manuel Agnelli è Bowie in “Lazarus”

Il visionario musical scritto dal Duca Bianco del rock e da Enda Walsh debutta finalmente in Italia nella versione curata da Valter Malosti. È considerato «il regalo d’addio di David Bowie al mondo», scritto dall’artista poco prima della sua scomparsa. «È tutto per me, è nel mio Dna», commenta il frontman degli Afterhours
La locandina dello spettacolo teatrale

Sulla scia del successo di Broadway, Lazarus, il visionario musical scritto da David Bowie e Enda Walsh, sette anni dopo essere sbarcato nel 2016 in Europa per debuttare al King Cross Theatre di Londra, arriva finalmente anche in Italia. ERT/Teatro Nazionale ha ottenuto i diritti in esclusiva nazionale e Lazarus andrà in scena per la prima volta nel nostro Paese al Teatro Bonci di Cesena dal 22 al 26 marzo per poi girare nei più importanti teatri. Nel cast della trasposizione curata da Valter Malosti confrontandosi con lo stesso Walsh, ci sono Manuel Agnelli, Casadilego, vincitrice della XIV edizione di “X Factor”, la coreografa e danzatrice Michela Lucenti e altri undici interpreti.

Manuel Agnelli interpreta il ruolo dell’alieno Newton, il migrante interstellare de L’uomo che cadde sulla terra, romanzo scritto da Walter Trevis nel 1963 e trasposto sul grande schermo da Nicolas Roeg nel 1976 (il film The Man Who Fell To Earth aveva come protagonista proprio David Bowie). Il frontman degli Afterhours si calerà quindi nel ruolo che a metà degli anni Settanta era stato interpretato da Bowie.

Considerato «il regalo d’addio di David Bowie al mondo», Lazarus è un inconsueto e per certi versi straordinario pezzo di “teatro musicale”, scritto dall’artista poco prima della sua scomparsa insieme al drammaturgo irlandese Enda Walsh. Bowie, seppur piegato dalla malattia, con uno straordinario e commovente sforzo creativo, ha voluto lasciarci questo prezioso dono, questa navicella spaziale lanciata verso il futuro, che si può considerare, insieme al magnifico album Blackstar, uscito due giorni prima della morte, il suo testamento creativo.

L’Opera

Lazarus è una via di mezzo tra uno spettacolo teatrale e un musical in cui a fare la parte da leone sono le canzoni più famose del Duca Bianco, da Changes a Heroes. È il “sequel” del libro L’uomo che cadde sulla terra in cui il protagonista Thomas Newton è venuto da un altro pianeta, rimanendo bloccato sulla Terra, prigioniero di esperimenti scientifici: vive le sue giornate sospeso, in uno stato di completa alienazione e disorientamento, guardando la tv, bevendo gin, pensando ad un amore passato e alla sua famiglia lontana anni luce.

«Sono l’uomo che muore ogni giorno ma non riesce mai a morire», è una delle battute di Manuel Agnelli. Oltre a lui, sul palcoscenico si alternano numerosi giovani attori/cantanti di talento: Dario Battaglia, Attilio Caffarena, Maurizio Camilli, Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, Camilla Nigro, Isacco Venturini; e sette musicisti, tra i migliori della scena musicale italiana: Laura Agnusdei, Jacopo Battaglia, Ramon Moro, Amedeo Perri, Giacomo “Rost” Rossetti, Stefano Pilia, Paolo Spaccamonti.

Lazarus fa riemergere anche il suo interesse per altri mondi iniziato con Space Oddity, continuato con Ashes to Ashes e completato con Blackstar che ha chiuso la trilogia di Major Tom, l’astronauta perso in un “trip” spaziale e non solo. David Bowie, pur non essendo protagonista dello spettacolo, si prende la scena con i suoi pezzi più famosi. Da Life on MarsThe Man who sold the world, da Changes a All the young dudes, da una bellissima versione di This is not America (pezzo scritto con Pat Metheny) a Heroes che chiude lo spettacolo. Passando per canzoni più recenti come Where are we now e Valentine’s Day e pezzi composti poco prima di morire. Come Lazarus, il capolavoro che dà il titolo all’opera, buio, nervoso, carico di pathos, o No plan, oscura, ipnotica, inquietante, suona come il testamento artistico, doloroso ma addolcito da un pizzico di speranza. Commovente. E ancora Killing a little time, un rock teso, duro, basato su un riff di chitarra, con un’orchestrazione quasi jazz e un assolo di sax da free jazz. Stupenda. Mentre When I Met you, un rock più solare, sembra rientrare tra i grandi classici di Bowie. E la commozione è dietro l’angolo, pronta a inumidire gli occhi all’ascolto dei brani della colonna sonora.

Agnelli: «Un salto nel vuoto»

È una grandissima novità e per un artista che, come me ha raggiunto in questi giorni i 57 anni, è difficile trovare qualcosa di nuovo. A questa età è molto raro trovare nuovi territori, rinnovarsi, arricchirsi, avere così sfumature nuove, diverse

Manuel Agnelli
Manuel Agnelli

«È un’avventura, un po’ un salto nel vuoto», commenta Manuel Agnelli. «È la prima volta che recito a teatro, nella vita lo faccio sempre», sorride. «A teatro è più difficile».

Cosa rappresenta David Bowie per lei?

«Bowie è tutto per me. Ho cominciato ad ascoltarlo a 13 anni, a 17 ero in giro per le strade di Londra con le sue canzoni nelle orecchie, a 19 anni a Berlino imitavo i ragazzi dello Zoo. Bowie è nel mio Dna, ce l’ho dentro. Conosco tutte le sue canzoni. Per me è un cerchio che si chiude e un sogno che si realizza».

E questa esperienza teatrale come si inserisce nel suo percorso artistico?

Manuel Agnelli e il regista Valter Malosti

«È una grandissima novità e per un artista che, come me ha raggiunto in questi giorni i 57 anni, è difficile trovare qualcosa di nuovo. A questa età è molto raro trovare nuovi territori, rinnovarsi, arricchirsi, avere così sfumature nuove, diverse».

«Bowie era un’antenna sensitiva dello spirito del tempo e delle arti», interviene il regista Valter Malosti. «Percepiva umori e atmosfera, e poi digeriva e rimescolava tutto in una sintesi geniale, direi alchemica, visto il suo interesse per questa materia, in cui l’androginia e l’energia dionisiaca fanno esplodere l’interiorità e l’identità in mille frammenti e altrettante maschere. Alla luce della sua morte tendiamo a leggere tutto ciò che Bowie ha creato nei suoi ultimi anni come allegoria autobiografica, specialmente quando ci viene data una serie di indizi apparentemente ovvi come quelli che troviamo in Lazarus», continua Malosti. «Ma Bowie, come sempre nelle sue creazioni e nei suoi alter ego, sta usando la persona di Newton, mobilitandola come veicolo per una serie di temi costanti che troviamo nella sua musica: l’invecchiamento, il dolore, l’isolamento, la perdita dell’amore, l’orrore del mondo e la psicosi indotta dai media. Newton è allo stesso tempo Bowie e non è Bowie».

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