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Le fan del rock, muse o groupie?

Una sottile linea separa i due ruoli. «Abbiamo aiutato le band e la musica», sostiene Pamela Des Barres, autrice del libro “Let’s Spend The Night Together”. «Queste donne non erano prostitute: alcune di loro sapevano di musica più degli stessi musicisti», afferma il celebre fotografo Baron Wolman, autore di “Groupies and Other Electric Ladies”

«Ha catturato il suo uomo. Era il gatto che tutti stavano cercando e lei lo ha preso!… E questo, nella cultura del rock and roll, fa di lei una persona importante. Aveva già conquistato 17 (o 36 o 117) musicisti – quattro (o 12 o 25) di loro vere star – ora il suo status era di nuovo elevato».

Cominciava così un articolo pubblicato nel 1969 dalla rivista americana Rolling Stone, che ha introdotto il mondo intero al fenomeno delle groupie rock. Nell’articolo si approfondivano le differenze tra le groupie e le inferiori “star-fuckers”, il sesso di gruppo, i vantaggi del nitrato di amile, persino una lettera lubrica di una bambina di 8 anni a Jerry Garcia dei Grateful Dead, dando il via a un’ondata di articoli, libri e documentari sul genere.

Karen Seltenrich fotografata da Baron Wolman per la copertina del numero di Rolling Stone dedicato al fenomeno delle groupies, febbraio 1969

Le origini del termine “groupie” sono oscure: forse un giornalista musicale, forse qualcuno geloso del loro accesso nel backstage. È una parola intrisa di sessismo. In generale, comprende chiunque il cui culto idolatrico rasenta l’ossessione. Giocatori di baseball, ballerine, autori, stelle del tennis, attori: tutti hanno groupie di un tipo o dell’altro. Ma nel gergo rock’n’roll, groupie non è solo sinonimo di fan. Una cosa è aspettare fuori dai cancelli di uno stadio sperando di ottenere un autografo da Ronaldo. Un’altra cosa fare è fare sesso con l’addetto ai lavori che può aprirti la porta del backstage o del camerino del teatro quando arriva la popstar.

«Lasciatemi essere chiaro, queste donne non erano prostitute: alcune di loro sapevano di musica più degli stessi musicisti», tiene a sottolineare il celebre fotografo Baron Wolman, autore del libro Groupies and Other Electric Ladies. «Alcuni hanno continuato diventando avvocati, avviando attività commerciali, mettendo su famiglie con musicisti».

«Siamo state muse per le band» sostiene Pamela Des Barres, autrice del libro Let’s Spend The Night Together. Lei li ha avuti tutti: Mick Jagger dei Rolling Stones, Jimmy Page dei Led Zeppelin, Keith Moon degli Who, persino Jim Morrison dei Doors. Ma, per lei, «non si trattava solo di conquistare uomini, ma piuttosto di stare con quella forza creativa. L’influenza è stata reciproca: molti musicisti hanno cominciato a vestirsi come noi, con lustrini e gioielli. Basta guardare le vecchie foto dei Rolling Stones». Parole che hanno ispirato una istantanea di quel periodo selvaggio e vitale nel celebre film di Cameron Crowe Almost Famous (2000) nel quale il personaggio di Penny Lane è ispirato proprio alla figura della giovane e ammaliante groupie: «Noi siamo qui per la Musica. Noi siamo le “aiuta-complessi”. Noi ispiriamo la Musica».

Pamela Des Barres, the Queen of groupies

Prendiamo il caso di Anita Pallenberg, modella e attrice (nata a Roma nel 1944, pochi mesi prima della Liberazione), morta a 73 anni. Era più carismatica di una rockstar, più esuberante di qualsiasi top model dell’epoca, troppo colta e poliglotta per essere liquidata come groupie, già inserita in un milieu culturale e artistico che era un miraggio per neodivi provinciali. Mediterranea e teutonica, poco talento e molta personalità, spavalda e disinibita, per oltre mezzo secolo è stata la musa obliqua e sfuggente di una delle band più celebrate della storia, i Rolling Stones. Scelse fin da ragazza di fare una vita rock senza imbracciare la chitarra, senza urlare la sua rabbia; per lei rock voleva dire libertà totale, viaggiare, scegliersi amanti di valore senza farsi assalire dai rimpianti dell’abbandono, crearsi famiglie non riconosciute all’anagrafe, vagabondare tra gli artisti senza la smania di diventare una di loro.

Anita Pallenberg e Mick Jagger nel film Performance (1970)
Nancy Spungen e Sid Vicious

Le “aiuta-band” vissero una sfrenata libertà dei costumi sentendosi in qualche modo coinvolte in una stagione di straordinaria creatività. Qualcuna divenne famosa come cantante – Marianne Faithfull e Siouxsie -, altre sposarono il loro idolo – Yoko Ono con John Lennon, Adelaide Gail Sloatman, divenuta moglie di Frank Zappa -, altre ancora ci rimisero drammaticamente la vita – Nancy Spungen (assassinata dall’amante Sid Vicious) -, ma la gran parte di loro è invecchiata tra gloriosi ricordi pornoromantici e difficoltà di re/inserimento.

La storia dell’arte, della musica e della letteratura è disseminata di donne alle quali è stato conferito lo status di musa ispiratrice, ma le cui vite sembravano miserabili e le cui eredità rimangono indistinte. La povera Lizzie Siddal si becca una polmonite che le risulterà fatale posando come Ofelia nella vasca da bagno. Non tutti gli artisti fanno risiedere le loro muse in bagni gelidi, ma spesso eclissano le loro carriere. Chiedi a Marianne Faithfull, che era una cantante prima di incontrare Mick Jagger e di diventare “un angelo con grandi tette”. Non c’è da stupirsi se il suo capolavoro, Broken English, sia emerso quando lei e Mick si lasciarono. Durante la sua vita, il lavoro della pittrice Frida Kahlo è stato trascurato a favore del marito artista, Diego Rivera, che non amava altro che dipingere sua moglie; solo alla morte ottenne finalmente il dovuto credito. L’elenco delle donne trascurate, messe da parte o rovinate dagli amanti dei loro artisti potrebbe continuare.

Le muse di oggi sembrano avere un ruolo migliore: nel mondo della moda Kate Moss è stata certamente una musa ispiratrice, ma non è mai stata subordinata a nessuno. Così come Gwyneth Paltrow, Winona Ryder e Pamela Anderson. «Oggi c’è molto più controllo, molta più security attorno ai musicisti famosi. Tutte le rockstar hanno un agente, un manager, un assistente e una guardia del corpo» chiosa Pamela Des Barres. Che lascia aperta una speranza: «Ma c’è e ci sarà sempre una chance per le ragazze normali di inseguire e conquistare le loro rockstar preferite!».

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