La cantautrice pugliese presenta il suo debutto discografico al Medimex di Taranto. Un album che comincia da una frase di Tiziano Terzani e segue un percorso per recuperare «ritmi più vicini all’essere umano» attraverso la world music e la canzone d’autore, Silvia Pérez Cruz e Florence and the Machine
«Fermati ogni tanto. Fermati e lasciati prendere dal sentimento di meraviglia davanti al mondo». Leggendo questa frase di Tiziano Terzani, Rossana De Pace, ragazza pugliese catapultata a 15 anni da Mottola, piccolo comune della provincia di Taranto, nei ritmi di vita frenetici e caotici di Torino, «piena di stimoli che ti schiacciano», decise di fermarsi e di rivolgere lo sguardo verso le sue origini. E si meravigliò nel riscoprire i ritmi lenti del Sud, «che io definirei meglio più naturali, ritmi più vicini all’essere umano».
Rossana De Pace comincia allora un viaggio nel «concetto di sostenibilità emotiva, relazionale, ambientale e sociale, intesa come qualcosa che si sostiene, che può durare nel tempo e che per durare ha bisogno di cura e la cura ha bisogno di tempo. Il tempo è la chiave, trovare il proprio ritmo, fermarsi per scoprirlo, tornare all’essenziale, alle origini». Un percorso che l’ha portata dodici anni più tardi – con in tasca una laurea in canto pop al Conservatorio e dopo un nuovo trasferimento a Milano – alla realizzazione del suo primo lavoro discografico: l’Ep Fermati mondo. Dove alla frase di Terzani accomuna quella di Anthony Newley: “Fermate il mondo, fatemi scendere”. «Ma se scendo soltanto io, muoio. Dobbiamo scendere tutti», sostiene e canta nella title-track.
Semmai Rossana De Pace si proietta nella natura, della quale siamo semplicemente ospiti. Vive in simbiosi, come indica la copertina in cui la chioma di capelli s’intreccia con tanti legnetti, «come se la natura fosse parte di me ed io fossi parte di lei», spiega la cantautrice pugliese all’anteprima del disco al Medimex di Taranto. «Noi siamo pieni di desideri indotti, pensiamo che la carriera, il lavoro, siano gli unici motivi per vivere. Vogliamo avere, possedere per essere felici. Quando, invece, sarebbe meglio togliere, ridurre».
Anche musicalmente Rossana De Pace cerca di intrecciare la natura, la terra madre, espressa attraverso la world music e richiami ancestrali, con il suo mondo personale, intimo, descritto ricorrendo alla canzone d’autore. «Voglio mischiare due mondi. Non è un’impresa semplice, talvolta i linguaggi sono in contrasto. La canzone Sì nel cuore, no nella vita può sembrare un brano pop, ma le scale armoniche appartengono ad altri mondi e l’impostazione vocale è popolare».
Nelle movenze sul palco, esteticamente, nel modo di vestire e nella presenza, Rossana De Pace può ricordare Florence and The Machine, vicinanza che ammette, ma il suo punto di riferimento è soprattutto Silvia Pérez Cruz, cantante di fado, «molto teatrale, che con la voce riesce a descrivere i sentimenti. Anch’io lavoro molto sulla voce come strumento». Nel suo background culturale ci sono anche Napoli e la musica mediterranea «e poi le mie radici: le feste di paese a Mottola, il suono delle bande mi ha influenzato molto. Il sentimento ancestrale».
Alla cantautrice pugliese piace sperimentare. Non soltanto con la voce. Sul palco suona il basso, la chitarra elettrica e varie stregonerie elettroniche. Accanto al progetto solista, porta avanti altre esperienze strumentali, così come è parte di un collettivo femminista ed è coinvolta in un progetto di videoarte con al centro sempre l’uomo e la natura. Quella Terra Madre, alla quale si rivolge quasi in preghiera in un finale epico, molto coinvolgente ed emozionante. «È stato il primo brano che ho scritto», spiega. «Nasce proprio dal desiderio di essere libera. La Terra Madre è il luogo dove tornare, il luogo che ti accoglie sempre. È un concetto romantico».
Questa terra accogliente è la Puglia, dove Rossana De Pace ha trovato il sostegno di Puglia Sounds per portare avanti il suo progetto e concretizzare tutti quei premi e quelle coppe che hanno costellato la sua gavetta musicale cominciata per gioco a 8 anni. «Adesso insegno, scrivo e suono. Posso davvero pensare alla musica come lavoro».