– L’attore e regista ha investito più di 100 milioni di dollari di tasca propria in “Horizon, An American Saga”, che nessuna casa di produzione ha voluto finanziare. Da giovedì 4 luglio in sala la prima delle due parti, mentre la seconda uscirà il 15 agosto
– Un film che racconta l’ombra lunga e sanguinosa del sogno americano sui Nativi. Si torna al passato, ai carri in fila indiana verso il nulla, al Gran Canyon da attraversare, al forte pieno di soldati e soprattutto all’incontro-scontro pieno di violenza e incomprensioni dei coloni con i pellerossa
– «Ci vendono sempre sogni e anche nel 1800 era così». «Non si può condividere la terra, e i coloni non volevano davvero alcuna concorrenza e hanno cacciato così circa 500 nazioni native americane. Dovevo far capire che la ferocia che avevano i nativi è perché stavano combattendo la loro esistenza»
Racconta l’ombra lunga e sanguinosa del sogno americano sui Nativi. E lo fa con la crudezza necessaria e con i tempi giusti nel rispetto della realtà. Dopo il capolavoro Balla coi lupi del 1990 (sette Oscar) e la serie Yellowstone, l’attore regista Kevin Costner torna al western vestendo questa volta i panni di Hayes Ellison, un uomo che si fa gli affari suoi e cerca di vivere in pace in un mondo pericoloso, ma capace anche di qualsiasi cosa se provocato. Questo il principale personaggio di Horizon, An American Saga già fuori concorso al Festival di Cannes dal 4 luglio in sala con Warner la prima delle due parti, mentre la seconda il 15 agosto.
A 69 anni, per Costner questo film ha alzato notevolmente la posta: oltre ad aver abbandonato il suo ingaggio da 1 milione di dollari a episodio per Yellowstone, la popolare serie di Paramount che ha rilanciato la sua carriera, il regista dichiara di aver investito più di 100 milioni di dollari di tasca propria in un franchise western che nessuna casa di produzione ha voluto finanziare, nemmeno singolarmente. E l’ha fatto all’età in cui normalmente si va in pensione. «Ho ipotecato 4 ettari sull’acqua a Santa Barbara dove mi sarei costruito l’ultima casa», ha dichiarato Costner a Deadline il mese scorso, parlando del suo tentativo di realizzare Horizon: An American Saga. «La cosa ha fatto uscire di testa il mio commercialista. Ma è la mia vita, e credo nell’idea e nella storia».
Con Horizon si torna al passato, al western dei carri in fila indiana verso il nulla, al Gran Canyon da attraversare, al forte pieno di soldati e soprattutto all’incontro-scontro pieno di violenza e incomprensioni dei coloni con i pellerossa. «Ci vendono sempre sogni e anche nel 1800 era così», dice Costner. «E così c’è chi si è ritrovato con le proprie mogli nel mezzo di questo Paese. Le donne forse odiavano i loro mariti per averle portate lì dove dovevano lavorare ogni giorno, dove nulla era pulito, ma c’erano andati per una vita migliore. Così tanti hanno accettato questa sfida, quel sogno. Molte volte erano coppie o singoli che scappavano da qualcosa alla ricerca di qualcosa che non avevano».
Il fatto è, continua Costner, «che non si può condividere la terra, e i coloni non volevano davvero alcuna concorrenza e hanno cacciato così circa 500 nazioni native americane. Io in Horizon racconto questa collisione. Per me era davvero importante dare loro la dignità, far capire che la ferocia che avevano i nativi è perché stavano combattendo per il loro stile di vita, la loro religione, la loro esistenza. Era ingiusto non mostrarli nella loro bellezza».
Tutto si svolge in un periodo di quindici anni prima e dopo la Guerra Civile, mentre l’espansione verso ovest è piena di insidie, che si tratti di natura o scontri con i popoli indigeni che vivevano su queste terre e della determinazione spietata di coloro che cercavano di colonizzarli. Al fianco di Costner troviamo tra gli altri Sienna Miller, Sam Worthington e Jena Malone. Di stanza a Fort Gallant, c’è Sam Worthington che veste i panni di un soldato idealista, mentre Sienna Miller è Frances Kittredge, una pioniera forte, resistente e materna che è stata portata a malincuore nell’insediamento di Horizon da suo marito sempre alla ricerca di una vita migliore. Infine, Jena Malone è Ellen che vive in una piccola città mineraria chiamata Watts Parish dove, dopo molte difficoltà, è riuscita a stabilirsi e a trovare anche un brav’uomo, Walt.
Horizon è allo stesso tempo una saga western, declinata alla violenza, che da una parte omaggia il più classico dei generi del cinema americano e, dall’altra, offre a Costner la possibilità di esprimere il suo impegno politico e ambientale. «La tanta violenza presente nel film era necessaria per sopravvivere», spiega Costner, 69 anni. «Non c’era legge, niente per proteggerti, tranne il tuo istinto. C’erano invece molti pericoli. E bisognava conoscere le cose più basilari, come saper fare il fuoco. Non dimentichiamo poi che l’America è un Paese ancora molto giovane e che questo film è ambientato duecento anni fa. Era una terra ancora vergine».
Infine, in quest’opera non potevano mancare i pellirosse, le vere vittime della colonizzazione tanto amati da Costner, ovvero per citarne solo alcuni: Pionsenay guerriero Apache della tribù della Montagna bianca; Taklishim, anche lui Apache, ma più responsabile del primo da quando ha messo su famiglia e Liluye, moglie di Taklishim e madre del suo bambino.
«Western preferiti? Ne ho tre, ma voglio parlare di Liberty Valance che mi piace molto e che ha subito infuocato la mia immaginazione», commenta l’attore e regista. «È vero, avevo solo 7 anni, ma in fondo non è questo che devono fare i film? Il fatto è che siamo andati a guardare queste storie nel buio, l’abbiamo fatto tutti, era l’unico posto in cui i nostri genitori ci permettevano di andare da soli perché era considerato un posto sicuro. È lì che abbiamo imparato a baciare, a capire come si fa».