La star dell’avant-pop americana ha iniziato in un duo indie e ha continuato a scrivere canzoni per Beyoncé. «Non sarei l’artista che sono senza la mia autonomia», spiega annunciando per il 14 febbraio l’uscita del suo nuovo album da solista “Desire, I Want to Turn Into You” . È stato registrato durante la pandemia, vissuta tragicamente dalla cantautrice: «Il Covid ha ucciso mio padre: salutarlo su FaceTime è stata una delle esperienze più dolorose della mia vita». La sua guerra al maschilismo nell’industria discografica e alla stan culture
Musicista da quasi vent’anni, dal duo indie Chairlift a cantautrice per Beyoncé, sperimentatrice ambient e ora popstar alternativa, Caroline Polachek ha perfezionato l’arte di scrivere canzoni sul tipo di emozione che, come lei descrive, «non si adatta al mondo». Il suo acclamato album di debutto da solista, Pang del 2019, ha affrontato sentimenti adrenalinici buoni e cattivi: amore, solitudine, euforia, panico. Il suo titolo onomatopeico e il suono scintillante hanno toccato la sensazione di caduta libera che ha vissuto durante un periodo di intenso sconvolgimento che l’ha vista divorziare e trovare un nuovo partner.
Alle donne nella musica viene insegnato che una volta che hai 35 anni, sei scaduta
Caroline Polachek
Durante i mesi di lockdown della pandemia, ha fatto uscire un singolo virale So Hot You’re Hurting My Feelings, consapevolmente esagerato, intonato con la sua voce operistica (come una versione aliena di Céline Dion), dall’estetica teatrale e un immacolato perfezionismo, catturando un’enorme base di giovani fan e sfidando l’establishment: «Alle donne nella musica viene insegnato che una volta che hai 35 anni, sei scaduta». Così, a 37 anni, l’artista newyorkese il prossimo 14 febbraio pubblica Desire, I Want to Turn Into You, titolo del suo quarto album.
Desire, I Want to Turn Into You è un disco nel quale combina sia gli elementi fantastici del predecessore che l’umorismo e l’istinto pop tipici della cantautrice. Desire è un sequel eclettico, elaborato e sfacciatamente squilibrato, nonché una delle uscite più attese dell’anno: dopo il notevole successo di Pang e le frizzanti collaborazioni con Charli XCX, Christine and the Queens e Flume, Polachek sta raggiungendo la maturità come artista solista.
Polachek descrive Desire come «un album molto massimalista». Presenta cornamuse, chitarra spagnola e ritmi che spaziano dal trip-hop al dembow: è il risultato del suo desiderio che fosse «molto pieno di sentimento e vivo» e in contatto con il caos e lo sconvolgimento della pandemia che lei ha sperimentato in prima persona. Ha preso il Covid presto, giorni dopo uno spettacolo al nightclub Heaven di Londra nel marzo 2020, documentando su Instagram i sintomi allora sconosciuti man mano che si sviluppavano. Poco dopo, suo padre ha contratto il virus: è morto ad aprile, all’età di 75 anni. Polachek ha raccontato che «salutarlo su FaceTime è stata una delle esperienze più dolorose della mia vita».
L’idea della spirale, sia in termini di flusso musicale che di stato psicologico, è diventata la chiave di Desire. Piuttosto che dedicare del tempo alla registrazione, lei e il co-produttore Danny L. Harle hanno adottato un approccio fluido alla realizzazione dell’album: è iniziato nella loro bolla Covid a Londra, nei primi giorni della pandemia, e l’hanno finito nei successivi due anni, registrandone gran parte in studi a noleggio mentre Polachek supportava Dua Lipa in tour.
«Una volta che il materiale ha iniziato a sviluppare la propria personalità – queste strutture tentacolari e lunghe e testi giocosi e astratti – ho capito che il contenuto e la forma sono molto correlati», racconta. L’estate scorsa ha tastato le acque con la sexy e sfrenata Bunny Is a Rider, che abbina una linea di basso funk agile con un ritmo dembow, per un’estasi istantanea. Definisce la canzone «un manifesto molto diretto del mio essere decisamente non disponibile … essere offline e off grid, penso che sia la cosa più sexy di sempre».
Crescere ascoltando artisti come Fiona Apple, Kate Bush e Björk e vedere queste donne che rivendicavano molta attenzione, apparentemente senza compromessi, mi è sembrato così ambizioso
Caroline Polachek
I suoi testi premiano la fragilità, la bellezza e la metafora, una rarità in un panorama pop moderno che tende ad essere letterale e diaristico. Ricorre a contrasti estetici bizzarri, quasi sgradevoli: ci sono cori di bambini e chitarre flamenco; il trip-hop in stile Ray of Light si affianca al folk celtico e al pop radiofonico solare dei primi anni Duemila. In Smoke la voce di Polachek trabocca di passione e devozione (“tu se la grande risposta stasera”) su sintetizzatori che ronzano come lampadine al neon.
«Crescere ascoltando artisti come Fiona Apple, Kate Bush e Björk e vedere queste donne che rivendicavano molta attenzione, apparentemente senza compromessi, mi è sembrato così ambizioso. Far crescere questo progetto è una bella avventura: come posso farlo in un modo che mi sembri di avere ancora tutta la mia sovranità creativa e anche la mia privacy?».
Nel mirino di Caroline c’è la stan culture, una sottocultura che vive ai margini di internet e che è arrivata negli ultimi tempi a influenzare tutto: politica, televisione e letteratura. Si è cominciato a parlare di stan e standom con l’avvento dei Directioners, la community legata agli One Direction che ha dato una struttura vera e propria a questo fenomeno. Poi sono venute le community dedicate a Lady Gaga, Katy Perry, Ariana Grande, BTS e quelle per esempio a un libro best seller per giovani da cui è stato tratto anche un film tipo Harry Potter, Twilight, Hunger Games. Bisogna immaginare le standom come dei feudi, di varia grandezza e diverse peculiarità, con un proprio arsenale e con una loro potenza di fuoco. Il feudo è costruito intorno a un idolo, ossia la versione idealizzata di una celebrità. Gli stan quindi non venerano il personaggio famoso di per sé, ma l’idea che hanno di quel personaggio famoso.
Polachek stima molto Lana Del Rey e Rosalía e le vede come artiste contemporanee che portano avanti l’eredità del libero pensiero di Kate Bush e Fiona Apple. Del Rey sembra aver tracciato un potenziale progetto per un’artista come Polachek: tra le più ascoltate in streaming e le più influenti della sua generazione, si è fatta strada fino al centro del pop senza alcuna grande hit nelle classifiche o supporto radiofonico.
«Non sarei l’artista che sono senza la mia autonomia: non ho mai avuto una cassetta dei suggerimenti e non l’avrò mai», commenta Caroline. «Penso che ci sia questa aspettativa che le musiciste pop possano essere burattine dipendenti dai propri fan, e non voglio averci niente a che fare. Non invidio gli artisti più grandi che devono fare i conti con un muro di voci davvero aggressivo che dice loro come vivere le loro vite. Lo rifiuterò a tutti i costi».