La band casertana è il motore di un progetto che intende rilanciare un territorio antico e dimenticato: la Liburia o Terra di Lavoro. E “Liburia trip” s’intitola l’album nel quale mescolano le tradizioni con l’elettronica e sonorità mediterranee, disegnando emozionanti e affascinanti paesaggi sonori
Liburia, o Terra di Lavoro, era il termine con cui, fin dal Medioevo, veniva designata la terra degli antichi campani. Nome che trae origine dai leborini, antica popolazione che abitava la zona, che, nella Naturalis Historia, Plinio il Vecchio comprendeva tra le vie consolari che collegavano Cuma a Puteoli e a Capua. Oggi corrisponde in parte alla provincia di Caserta, con un’estensione minore di quella che per secoli fu, nel quadro storico del Regno di Napoli, la provincia di Terra di Lavoro, che andava dal Basso Lazio sino a Napoli, inglobando parte del Molise. Era la Campania Felix.
«Ormai è vicina la Terra di Lavoro,
qualche branco di bufale, qualche
mucchio di case tra piante di pomidoro,
èdere e povere palanche.
Ogni tanto un fiumicello, a pelo
del terreno, appare tra le branche
degli olmi carichi di viti, nero
come uno scolo. Dentro, nel treno
che corre mezzo vuoto, il gelo»
(Pier Paolo Pasolini, La terra di Lavoro, in Le ceneri di Gramsci, 1957)
«Era l’antica Atella, terra di bufale e canapa per tessuti, dove prese forma uno dei primi generi teatrali romani, una commedia in maschera dai toni farseschi. Oggi, dove c’era la Campania Felix, c’è la “terra dei fuochi”», commenta amaramente Francesco Di Cristofaro, fra gli ideatori del progetto Liburia Records, una iniziativa non solo discografica, ma culturale che va di pari passo o, meglio, vuol essere da traino al rilancio di quella che una volta era una Terra felix di lavoro e che l’uomo l’ha ricoperta di cemento e discariche.
«Il progetto è nato nel 2019 ed è un contenitore di proposte musicali», spiega Di Cristofaro. «Abbiamo due cataloghi: da una parte la musica tradizionale, legata al territorio, la world music non convenzionale, dall’altra la sperimentazione, l’elettronica».
Borderline si muovono i Brigan, band capitanata da Francesco Di Cristofaro nata dieci anni prima del progetto “Liburia”, che oggi dà il titolo al quinto album del gruppo casertano. «Siamo partiti dall’area celtica, con Liburia Trip torniamo nella Terra Felix». Se prima i Brigan viaggiavano da campani fra le brume della Galizia, oggi vanno alla riscoperta delle origini portando con loro il bagaglio di esperienze accumulate nei frequenti tour all’estero. Così, accanto ad attrezzi da lavoro adattati alla musica, come la botte, il tino, la falce, a strumenti della tradizione campana, il putipù, la tammorra, le castagnette, il mandolino, ci sono la gaita galiziana e sanabresa, il duduk armeno, il baglamas greco. E poi elettronica, theremin, hammond, synth. «Non è un lavoro di riproposizione delle tradizioni», sottolinea il musicista casertano. «Vogliamo narrare un territorio, ma anche creare un nostro modo di vedere il territorio».
L’album suona come la colonna sonora di un viaggio attraverso le campagne ed i luoghi di un’antica e dimenticata terra che, via via che scorre il disco, riemerge e riprende vita con i suoi rumori, suoni, colori, emozioni. I Brigan hanno condotto una ricerca sul campo, raccogliendo voci e parole di memorie storiche di quella che fu la Liburia. Come quella del contadino Gennaro Montesanto di Sant’Arpino che introduce la evocativa ‘E dopp’ ‘n annoraccontando di quando quelle terre erano ricoperte di piantagioni di canapa e tutto attorno era un tappeto verde e regnava il silenzio. Oppure di Cecchinella, una signora di 80 anni del Basso casertano che ricorda il rituale allegorico legato al Carnevale di Marcianise nel brano Chiagnuta e Carnevale, l’antica tradizione che prevede la messa in scena della morte di Carnevale, chiamato affettuosamente Vincenzo, con la tipica chiagnuta (lamentazione).
In Alborada/Asprinio s’incontrano una danza tipica delle zone rurali del Nord del Portogallo con la riscoperta della coltivazione dell’Asprinio, un vitigno poco conosciuto dalla pianta abbinata a olmi o pioppi con cui forma una vera e propria barriera vegetale in grado di superare i 20 metri di altezza. Questo sistema di coltivazione, chiamato alberata, ha caratterizzato il paesaggio della zona tra Napoli e Caserta per centinaia di anni. Nella struggente e stupenda Mater Matuta sembra di ascoltare il grido di dolore, la sofferenza di Madre Natura soffocata dal cemento.
E poi sua maestà la Bufala, simbolo di fertilità, fonte dell’oro bianco come cantano i Brigan in ‘A Terra de mazzune, dove i “mazzune” sono i mandriani che conducono al pascolo gli animali. E poi le pecore, perché la Liburia è anche terra di transumanza, e Primaveras’inerpica sui percorsi delle greggi.
Insomma, un suggestivo, affascinante ed emozionante viaggio sonoro, fra tammurriate e tarantelle, cornamuse e marranzano, sonorità ancestrali ed elettronica, Brian Eno e Philip Glass, Pasolini e Lomax, alla scoperta di un territorio e dei suoi tesori. Paesaggi sonori, per dirla con un termine caro a Teho Teardo. Un viaggio in una realtà in grado di offrire ad ogni ascolto qualcosa di nuovo, di diverso, di sorprendente.
Ideato e registrato a Sant’Arpino, in provincia di Caserta, il disco mette in luce la voce, i fiati, le cornamuse, la fisarmonica ed i plettri di Francesco Di Cristofaro; l’elettronica, il pianoforte, i cori e field recordings di Andrea Laudante; le percussioni e batteria elettronica di Gabriele Tinto e la partecipazione alle percussioni tradizionali del Basso casertano di Luca De Simone.