– Il Tar della Liguria ha dichiarato illegittimo l’affidamento diretto alla tv di Stato, da parte della Città dei fiori, dell’organizzazione del Festival della canzone italiana. Salvata l’edizione 2025, ma dall’anno successivo dovrà essere bandita una gara, aperta agli operatori interessati. «Non cambia nulla, il format è nostro», replica Viale Mazzini annunciando ricorso al Consiglio di Stato
Passi per quest’anno, ma dal 2026 l’organizzazione del Festival di Sanremo dovrà essere affidata sulla base di una pubblica gara. È la clamorosa decisione dei giudici del Tar (Tribunale amministrativo regionale) per la Liguria che apre prospettive impensabili sul futuro della manifestazione canora dai record d’ascolto. Giudici “rossi”? Giudici leghisti? Sta di fatto che la sentenza apre la strada a un’eventuale gara che valorizzi al meglio il simbolo storico del Festival, garantendo pluralità di idee e maggiore competitività. La decisione potrebbe avere un impatto significativo sul futuro dell’evento, stimolando un confronto tra potenziali organizzatori, favorendo l’ingresso di altre emittenti televisive, come di cordate di organizzatori privati, com’erano un tempo i vari Ravera e Aragozzini.
Il ricorso era stato presentato dal presidente dei discografici italiani che vorrebbe smantellare l’attuale impianto del Festival e toglierlo alla Città dei Fiori. Sergio Cerruti è il presidente di Afi (Associazione Fonografici Italiani) e managing director dell’etichetta discografica JE che è la società che ha presentato ricorso contro Comune di Sanremo e Rai riguardo alla concessione dell’uso in esclusiva del marchio “Festival della Canzone Italiana”. «Sentenza inaspettata, articolata e complessa. Approfondiremo», ha commentato il sindaco di Sanremo. Secondo Viale Mazzini, che ha annunciato la presentazione di un ricorso al Consiglio di Stato, non cambia nulla: «Il format è nostro».
La decisione dei magistrati è contenuta in 58 pagine di una sentenza giuridicamente piuttosto complessa che riguarda la definizione legale di marchio (quello del Festival della canzone italiana) e che lo differenzia rispetto al format. Il Tar ligure dichiara illegittimo l’affidamento diretto alla Rai, da parte del Comune di Sanremo, dell’organizzazione del Festival della canzone italiana (anni 2024/2025). I giudici, tuttavia, fanno salvo lo svolgimento dell’edizione del 2025, che, pertanto, avrà luogo come previsto. Per l’avvenire, invece, il Comune di Sanremo dovrà procedere mediante pubblica gara, aperta agli operatori del settore interessati.
Sull’edizione che si svolgerà a febbraio i giudici scrivono: «Risulterebbe evidentemente sproporzionato e irragionevole incidere sull’edizione del Festival già svolta e sull’edizione che si svolgerà tra pochi mesi». E questo perché i giudici ritengono che la società Je abbia un «evanescente interesse al travolgimento delle stesse Convenzioni. Ciò in quanto la ricorrente non ha fornito alcuna indicazione in ordine alla prospettata aggregazione con altri soggetti che sola consentirebbe alla stessa (eventualmente) di aggiudicarsi la gara per la concessione del marchio e di organizzare il festival».
Le motivazioni
La Rai sosteneva nelle sue memorie «che l’inscindibile legame esistente tra il marchio e il format di Rai impedirebbe al Comune di concedere l’uso in esclusiva del marchio a soggetti che abbiano elaborato un format alternativo a quello di Rai. Non potrebbe, quindi, avere luogo una procedura di evidenza pubblica per l’individuazione di un operatore cui concedere l’uso in esclusiva del marchio, perché detto operatore non potrebbe che essere la stessa Rai». Ma i giudici non hanno condiviso tale impostazione perché «il marchio, per definizione, è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa, ossia è un segno che identifica un prodotto o un servizio al fine di differenziarlo da altri prodotti o servizi (simili) offerti dai concorrenti.Identificare, come propone Rai, il marchio con il mero titolo di un format di cui, per tutte le componenti diverse dal titolo, sarebbe titolare Rai è fuorviante».
Distinzione fra marchio e format
I giudici per dimostrare «l’infondatezza della tesi dell’indissolubilità del legame tra il marchio e il format di Rai» elencano una serie di stravolgimenti nelle varie edizioni del festival, il regolamento carta straccia del quale segnalisonori parlava giorni fa a proposito dell’aumento dei big. «L’edizione del 2021, svoltasi senza la presenza del pubblico all’interno del teatro causa Covid… la non coincidenza del direttore artistico con il conduttore (edizione 2004)…l’introduzione (nel 2004) del televoto da parte del pubblico… la soluzione di continuità tra le cinque serate (normalmente consecutive), verificatasi nel 2006… l’alternanza di edizioni caratterizzate dalla suddivisione dei partecipanti in categorie o sezioni (ad esempio, “Campioni” e “Giovani”)” e altro ancora. I giudici, invece, non ritengono di loro competenza analizzare un argomento sollevato dai legali della Rai “circa la possibilità che l’associazione del marchio a un format completamente diverso dal proprio comporti la perdita della capacità distintiva del marchio medesimo».
La Rai non è garanzia di qualità
Scrivono i giudici: «Non si comprende per quale ragione la prassi finora seguita dovrebbe consentire, di per sé, e ancorché (in ipotesi) illegittima, il perpetuarsi della scelta di affidare direttamente l’organizzazione del Festival alla Rai per un tempo indefinito, fino a quando il Comune deciderà (insindacabilmente, secondo la tesi dello stesso Comune) di mutare le suddette “scelte organizzative”».
Secondo il tribunale non è detto che la Rai garantisca il miglior livello qualitativo: «L’eventuale indizione di una procedura di evidenza pubblica e la conseguente possibilità per altri operatori di formulare le proprie offerte ben potrebbero, in futuro, consentire di elevare ulteriormente il livello tecnico qualitativo finora riscontrato dall’amministrazione comunale».
Il Festival non è Patrimonio culturale
Nella parte conclusiva della sentenza i giudici fissano poi un paletto di non poco conto specie per l’immaginario collettivo. Spesso il festival è stato definito come un patrimonio culturale ma il Tar fa una precisazione: «Né il Festival, né il Marchio, né il format, … possono essere qualificati come beni culturali…non sono “cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” contemplate dalle Convenzioni Unesco…Il Festival, infatti, è un singolo evento, ossia una manifestazione ben delimitata nel tempo e nello spazio che ha luogo con cadenza annuale, e non un’arte dello spettacolo, né una consuetudine sociale, né un evento rituale o festivo; il Festival di Sanremo non è contemplato (a differenza, ad esempio, della pratica del canto lirico in Italia o dell’opera dei pupi siciliani) né dalla Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità».
La posizione della Rai
Viale Mazzini, annunciando il ricorso al Consiglio di Stato, ha replicato in battuta contestando la decisione: la disputa, è il ragionamento, riguarda soltanto il marchio “Festival della canzone italiana”. «I giudici amministrativi hanno confermato la titolarità in capo a Rai del format televisivo da anni adottato per l’organizzazione del Festival» si legge in una nota. «Nessun rischio che la manifestazione canora, nella sua veste attuale, possa essere organizzata da terzi» perché «il Tar Liguria ha giudicato irregolari soltanto le delibere con le quali il Comune di Sanremo ha concesso in uso esclusivo a Rai il marchio “Festival della Canzone Italiana”, nonché alcuni servizi ancillari erogati in occasione dell’organizzazione del Festival stesso».
La preoccupazione però c’è. «La sentenza del Tar Liguria getta una forte ombra di incertezza su quello che rappresenta il più grande evento mediatico del servizio pubblico e la principale fonte di incasso pubblicitario della Rai. Anche se l’edizione del 2025 è salva, questa decisione rischia di avere un impatto devastante sui conti dell’azienda e sull’identità culturale dell’evento stesso», sottolineano gli esponenti Pd in commissione di Vigilanza. «È fondamentale che l’Ad Rossi venga immediatamente a riferire in commissione di Vigilanza per chiarire come intende affrontare questa situazione e garantire che il Festival di Sanremo rimanga un pilastro del servizio pubblico. Perdere il Festival sarebbe un colpo durissimo non solo per l’equilibrio economico della Rai, ma anche per la promozione della musica italiana e la tradizione culturale che questo evento rappresenta».