Disco

Guccini riscopre il suo spirito anarchico

Esce “Canzoni da intorto”, raccolta di cover di brani popolari e politici che riportano alle origini della “Locomotiva”. «Sono tutte canzoni di perdenti», sottolinea il cantautore di Pavana, presentando il progetto in un luogo in cui l’orologio del tempo sembra essersi fermato: la Bocciofila Martesana di Milano. «Le suonavo alle cene fra gli amici», ricorda. Si va da “Morti di Reggio Emilia” a “Addio Lugano Bella”, da “Ma mì” a “Sei minuti all’alba”. «Le suonavo alle cene fra gli amici», ricorda. Il disco viene pubblicato esclusivamente in formato fisico. Battute anche sul governo Meloni e sul caso Letizia Moratti a Milano

Canzoni da intorto è l’ultimo disco di Francesco Guccini, anche se doveva uscire molti anni fa. «Quando ho iniziato a pensare a questa folle operazione, volevo realizzare un disco di cover, ma il mio manager di allora, Renzo Fantini, non lo voleva fare. Ai tempi avrei scelto Com’è profondo il mare di Lucio Dalla o Luci a San Siro di Vecchioni», premette il cantautore di Pavana.

Invece Guccini va alle origini o, forse meglio, alla stazione di partenza della Locomotiva. Il disco è infatti composto da riletture di canzoni popolari, che fanno riemergere lo spirito anarchico del famoso ferroviere. Canzoni di lotta, di protesta, magari cantate quando si era studenti contestatori. “Canzoni da intorto”, termine molto amato da Guccini, usato spesso nei suoi racconti tra un brano e l’altro durante i concerti. Raccontava Guccini di aver imparato a suonare la chitarra per «intortare le ragazze». Ai loro occhi la chitarra era uno strumento affascinante e Guccini riusciva ad agganciare così la loro attenzione. E così fa in questo album, dove presenta «canzoni che cantavo quando c’erano le cene con gli amici». Durante le quali spuntava sempre una chitarra… «Ma io non facevo le mie canzoni. Non le ho mai suonate. Solo se la canzone l’avevo appena scritta, allora la facevo sentire. A parte questo, non ho mai suonato una mia canzone. Cantavo pezzi che avevo imparato nel corso degli anni, pezzi della tradizione popolare».

Francesco Guccini, 82 anni

Come Polesine (tera e aqua), parole del poeta e giornalista Gigi Fossati, musica di Sergio Liberovici: “Tera e aqua, aqua e tera / da putini che da grandi / «Siora tera, ai so comandi, / siora aqua, bonasera; / bonasera». Oppure come Barun litrun, un canto popolare piemontese. «Racconta la storia del barone Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum, militare di origine germanica, già a 14 anni al servizio dei Savoia, nominato governatore di Cuneo», spiega Guccini. «Difende con successo la città da un’armata franco-spagnola e da quel momento è inarrestabile e invincibile, entrando così nella fama popolare. Da anziano, in punto di morte, riceve la visita del Re Carlo Emanuele III e il loro dialogo virile, quasi da western, entra a far parte del testo di questo celebre brano».

«Sono brani che nessuno quasi conosce, con dietro delle storie, per questo possono colpire e “intortare”», sorride Guccini. Altre però sono state rese famose da grandi interpreti. Come Ma mì, “canzone della mala” in dialetto milanese scritta da Giorgio Strehler e musicata da Fiorenzo Carpi, portata al successo da Ornella Vanoni. «È la storia di un partigiano catturato dai nemici, che resiste quaranta giorni e quaranta notti alle percosse dei carcerieri neri e alle lusinghe del commissario, senza confessare o rivelare nulla sui suoi compagni», precisa Guccini. Oppure Addio Lugano Bella, canzone anarchica risalente al 1895, resa popolare dalla struggente interpretazione di Milva. La cover di Guccini sceglie di ricostruire il brano su toni melodici divertiti e divertenti.

Ritmo incalzante, fisarmonica e percussioni per la storica ballata popolare Morti di Reggio Emilia, tra riferimenti storici alla guerra e alla Resistenza, che Francesco Guccini sceglie per aprire l’album. E poi le milanesi El me gatt di Ivan Della Mea e Sei minuti all’alba di Enzo Jannacci, fino all’inglese Green sleeves. «Nel disco ci sono tante lingue e dialetti, ma non li ho studiati, le canzoni le ho semplicemente cantate durante la mia vita e le ho fatte mie nel tempo», sottolinea. La misteriosa Nel fosco fin del secolo è considerata dallo stesso Guccini «la nonna della mia Locomotiva»: un canto di rivolta che ha per tema centrale la dinamite e del quale non si conosce l’autore. Non manca, infine, uno sguardo più ampio. C’è l’amore de Le nostre domande e di Quella cosa in Lombardia: un amore tutt’altro che romantico, che si consuma in un albergo a ore, in auto o sull’erba.

A scuola, quando studiavamo l’Iliade, c’era chi nella mia classe stava con i greci, io sono sempre stato dalla parte dei troiani. I perdenti, appunto. Nei miei pezzi si capisce da che parte sto. Non ho mai nascosto le mie idee. Un amico, Sergio Staino, disse: “Guccini si sa che è comunista, ma De Gregori no”. Sbagliato, lui si è dichiarato, io no. Sono stato anarchico e simpatizzante di quel mondo

Francesco Guccini

«Chi ha scritto “sono solo canzonette” sbagliava o non ha mai ascoltato queste canzoni», sostiene Guccini. «Sono canzoni di lavoro, politiche, di protesta il cui carattere è definito, oltre che dall’interpretazione vocale, dalla giustapposizione di strumenti come le chitarre manouche e la ghironda, dai fiati alle fisarmoniche, dal suono degli oggetti di tutti i giorni utilizzati come percussioni, dal contrabbasso ai cori fino alle chitarre elettriche: la lista sarebbe lunghissima», sottolinea Fabio Ilacqua, che ha curato gli arrangiamenti del progetto.

«Queste canzoni le cantavo tra amici al bar tra un bicchier di vino e una partita a carte, ma cantavo anche canzoni fasciste. Non tutte, la maggior parte sono bolse e retoriche, ma alcune sono interessanti per l’amarezza della sconfitta», sorride Guccini. «Io sono sempre dalla parte dei perdenti. Canto canzoni di perdenti. A scuola, quando studiavamo l’Iliade, c’era chi nella mia classe stava con i greci, io sono sempre stato dalla parte dei troiani. I perdenti, appunto. Nei miei pezzi si capisce da che parte sto. E perché non si dovrebbe capire? Non ho mai nascosto le mie idee. Un amico, Sergio Staino, disse: “Guccini si sa che è comunista, ma De Gregori no”. Sbagliato, lui si è dichiarato, io no. Sono stato anarchico e simpatizzante di quel mondo. Anche De André lo diceva. Solo che forse si poteva esserlo davvero soltanto in certe epoche, come quella del ferroviere della mia canzone. Nel 2022 definirsi così è abbastanza difficile se non impossibile».

Letizia Moratti se ha voglia di presentarsi che lo faccia. Non mi sembra che abbia molto lavorato con la sinistra, quindi fa bene il Pd, per quel che ne resta, a non appoggiarla

Francesco Guccini

E, stimolato dalle domande, interviene anche sula candidatura di Letizia Moratti che in Lombardia sta spaccando la sinistra: «Se ha voglia di presentarsi lo faccia, ma non mi sembra abbia molto lavorato per la sinistra. Era berlusconiana, per cui fa bene il Pd, per quel che ne resta, a non appoggiarla. Ma la mia è una opinione che conta fino a là».

E sul governo Meloni commenta così: «Agli italiani sembra piacere. Come diceva mia nonna: “Bisogna avere pazienza”. Ma certo, quella fiamma che arde sulla tomba di Mussolini non mi riempie il cuore di gioia. I carri armati americani furono la speranza di libertà e democrazia, poi entrate nella Costituzione del ‘48, speriamo che non siano più necessari carri armati, ma soltanto la forza delle idee per andare avanti in maniera civile. Né mi fa piacere la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia. Non l’hanno tolta, ma si sono detti contro i totalitarismi. Intanto è uscita una circolare del ministero dell’Istruzione che non parla di tutti, ma solo del comunismo staliniano. Ma come ha spiegato lo storico Alessandro Barbero, sono imparagonabili nazismo e stalinismo. Perché, nonostante tutto, nel comunismo c’era una ragione di speranza che nel nazismo, e nel fascismo, non c’era. E a me che loro abbiano ancora la Fiamma non piace».

Giorgia Meloni la fiamma non l’ha tolta. Ed è quella che ardeva e arde ancora sulla tomba di Mussolini. Non è che mi faccia molto piacere

Francesco Guccini

Canzoni da intorto è un album puro, coraggioso, commovente. Esce il 18 novembre esattamente dieci anni dopo che Guccini annunciò l’addio alle scene in occasione della pubblicazione di L’Ultima Thule. Era il 28 novembre 2012. Viene pubblicato esclusivamente in formato fisico. «Lo streaming? Che cos’è lo streaming? Non so cosa sia», dice Guccini con spiazzante spontaneità. E non è un caso che abbia deciso di presentare il nuovo disco in un luogo in cui l’orologio del tempo sembra essersi fermato: la Bocciofila Martesana di Milano. Il disco è stato pensato come un prezioso gioiello da ascoltare per intero: incisione diretta dai mix per riscoprire l’anima analogica della musica ed esaltarne ogni sfumatura. In un mondo virtuale fatto di immagini, Guccini sceglie di distribuire il suo nuovo progetto discografico soltanto in formato fisico, scelta azzardata ma che rende, poeticamente, la musica un qualcosa che puoi ancora toccare. 

La conferenza stampa di Francesco Guccini alla Bocciofila Martesana di Milano

Lo streaming? Che cos’è lo streaming? Non so cosa sia

Francesco Guccini

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