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Gino Astorina ricorda Brigantony e la Catania d’un tempo

Nel momento del dolore per l’amico scomparso, amare considerazioni sul decadimento culturale e sociale di una città che perde pezzi e non ha rimpiazzi
Gino Astorina

Catania sta perdendo tutti i suoi pezzi, forse fa parte del Dna di questa città, ogni tanto come un terremoto o meglio ancora come un’eruzione, arriva, livella e cancella tutto quello che fino a qualche anno prima l’aveva caratterizzata. Sembra un’esagerazione, vero? Ma fateci caso, la movida ormai è un lontano ricordo, non parliamo di calcio, non accenno neanche ai problemi dell’ordine pubblico o della pulizia delle strade. Certo non è il modo migliore per ricordare un catanese doc come Brigantony ma queste considerazioni mi sono venute in mente quando ho appreso la notizia della sua dipartita. Ci stiamo impoverendo, perdiamo i pezzi senza possibilità di rimpiazzo, lungi da me fare un elogio della cultura musicale di Antonio Caponnetto, non ne ho la capacità, tantomeno il diritto, di pontificare, ma ci stiamo uniformando, appiattendo, perdendo gli eccessi dall’una e dall’altra parte. Non voglio fare i soliti discorsi di chi con l’età che avanza parla del passato in maniera entusiastica. No! Ma non omologhiamoci, per carità. Mi mancano le discussioni, quasi da loggia segreta, per capire se avesse venduto di più il cd de La voce del padrone o A sucalora, scomodare sociologi per capire il motivo per cui il primo sceglieva come paroliere un filosofo e il secondo il suo fornitore di frutta. Fare finta di niente e rientrare ognuno nella propria classe sociale, ben sapendo che le due musicassette il più delle volte si scambiavano la custodia. Ci stiamo omologando, ma soprattutto ci stiamo impoverendo, vanno via Maestri e Mastri, Zauddi ed Eleganti, Cime e voragini, lasciandoci la calma piatta. Una delle ultime volte che ho incrociato Brigantony, io ero in vespa e lui cercava di attraversare la strada, mi fermo e gli urlo: «Tony comu si?». Risposta lapidaria: «Additta!». In quella unica parola c’era dentro la cifra stilistica della sua vita, fatta di accettazione, di alti, bassi e di come dev’essere presa la vita: “I chini che vacanti!”. Buon viaggio Tony, lì dove andrai a cantare non ci sono né classificazioni né distinzioni di stile. Addivettiti.

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