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Fatoumata Diawara: chiamalo blues se vuoi

La stella del Mali pubblica “London Ko”, album co-prodotto da Damon Albarn. Dopo una vita in fuga, ha trovato la sua oasi sul Lago di Como. «Ho un’anima ribelle, mi sento più vicina a Billie Holiday». La sua battaglia contro le mutilazioni genitali femminili

Dal 2020 Fatoumata Diawara ha trovato la sua oasi di pace sulle rive del Lago di Como. Un posto calmo dopo una vita di drammatici esili e fughe attraverso la Costa d’Avorio, il Mali e la Francia. 

La sua vita l’ha raccontata nelle sue canzoni: nata in Costa d’Avorio e cresciuta nel Mali, a 12 anni non vuole più frequentare la scuola, così il padre e la madre la mandano a vivere da una zia. Nonostante la famiglia abbia una consuetudine con la danza e la musica, le viene negato il permesso di farne un lavoro e allora “Fatou” scappa. Una fuga rocambolesca a Parigi. Qui lavora con la compagnia teatrale francese Royale de Luxe, come attrice e poi anche cantante, nei caffè e nei club. Sposa un italiano: «Se fossi rimasta in Mali avrei dovuto sposare un mio cugino. Normalmente, nella mia famiglia, a 15 anni si è sposati, a 15 anni sei già considerata una donna. A quest’ora, avrei avuto nove figli e sarei stata molto, molto, vecchia».

Statuaria, superba, elegante, dotata di un sorriso radioso e naturale, Fatoumata Diawara fa i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo come attrice di teatro. Durante le pause di lavoro della compagnia, cantava per gioco insieme agli altri attori, e quando il regista la sentì volle farla esibire durante gli spettacoli. «Dopo ogni spettacolo teatrale in cui, oltre a recitare, cantavo, la gente mi chiedeva se fossi una cantante, e quello che mi toccava nel profondo era che me lo domandavano soprattutto i bambini. Mi sono resa conto che la voce è un mezzo per trasmettere emozioni vere, che non possono mentire, e ne ho approfittato per scrivere quello che mi sembrava ingiusto nel mondo».

“Fatou” ci prende gusto, abbandona la recitazione e inizia a suonare nei caffè parigini, incidendo le sue canzoni in alcuni demo in cui – da autodidatta – suona tutti gli strumenti, reinventando i ritmi veloci e le melodie blues della sua ancestrale tradizione Wassoulou attraverso una sensibilità istintivamente pop. C’è qualcosa di speciale nell’idea di una giovane donna che canta suonando la chitarra. Qualcosa che va oltre la nozione di tempo. Se Joan Baez e Joni Mitchell hanno creato l’archetipo, diverse generazioni di artiste, da Tracy Chapman a Laura Marling, lo hanno mantenuto vivo. Non solo Fatoumata Diawara si riappropria di questa immagine in maniera forte e personale, ma la colloca letteralmente in una nuova era, in un’altra cultura, conferendo una prospettiva decisamente africana al concetto di cantautrice.

A Parigi incontra Cheikh Tidiane Seck, musicista e produttore che la invita a tornare nel Mali per due progetti: Seya, album nominato ai Grammy della “regina del Mali” Oumou Sangare, e Red Earth, di Dee Dee Bridgewater (vincitore di un Grammy Award). Grazie a Sangare si aprono le porte per un contratto discografico con la World Circuit, e viene registrato l’album del debutto, Fatou

Lungo il nuovo percorso di cantante, incontra Damon Albarn dei Blur, con il quale, proprio sul Lago di Como, gira il video promozionale per il singolo dei Gorillaz Désolé. Nella clip, si vede la coppia sorridere di gioia mentre sfreccia a bordo di un motoscafo. «Damon è il mio santo protettore», ride Diawara. «Mi diceva sempre: “Ogni volta che vorrai un fratello, io sarò lì per te”. È molto prezioso, questo tipo di amore».

L’amicizia tra Diawara e Albarn risale al 2011, quando lui la invitò a unirsi al suo collettivo interculturale Africa Express. Hanno continuato a lavorare insieme, anche all’opera africana di Albarn Le Vol Du Boli. Adesso la mente geniale dei Blur e dei Gorillaz le fa da co-produttore nel terzo e più brillante album di Diawara, London Ko, uscito il 12 maggio.

«Questo album rappresenta davvero ciò che vorrei essere», dice Diawara con entusiasmo. «Nessuno l’ha fatto prima in Mali. Non è nemmeno come la musica dei Gorillaz. Siamo entrambi. Stavo componendo la base, le melodie, i cori, poi Damon stava ripulendo, cambiando le linee di basso. Entrambi amiamo le melodie ed eravamo complementari».

La voce di Diawara è sempre al centro di London Ko. Vulnerabile, ruvida, più Billie Holiday che Beyoncé. «È vero, perché dentro di me ho un’anima ribelle», commenta. «La musica per me è come una guardia per difendermi. Perché le persone del mio passato hanno cercato di togliermi l’amore. Ho quello che ha Damon, quello che hanno Herbie Hancock e molti artisti. Quel mix di cose che non ha nome, che puoi chiamare fragilità o sensibilità, potere sacro o fame. Ecco perché amo Damon, perché sa che ho quel livido. Chiamalo blues».

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