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Dal blues al rebetiko, musiche da postriboli

– Venerdì 19 gennaio al Teatro Sangiorgi di Catania l’ensemble Aman Rebetiko propone un viaggio fra melodie e canti che si ascoltano tra l’Asia minore e il porto del Pireo
– Immigrazione, infelicità e ballo sono elementi che accomunano le musiche di tutto il mondo. E i luoghi in cui si sono formate spesso erano taverne o bordelli

Tra tutte le musiche del mondo esistono elementi in comune. Possono nascere nel Vecchio Continente come in Asia, nell’America del Nord come in quella del Sud, tutte hanno avuto in comune queste peculiarità: immigrazione, infelicità e ballo, caratteristica – quest’ultima – che comporta il contatto fra corpi e, di conseguenze, il sesso. 

E i postriboli, i bordelli, sono il luogo di nascita di moltissime musiche. Nel 1858 il dottor William Wallace Sanger pubblicò un importante studio sulla prostituzione dall’antichità ai suoi giorni, The History of Prostitution: Its Extent, Causes and Effects Throughout the World. Dal numero di postriboli censiti (80 di prima categoria, 100 di seconda, 120 di terza, 78 di quarta, oltre ai 151 saloni da ballo dove si praticava la prostituzione), venne calcolato che il numero di musicisti associati all’industria del sesso doveva aggirarsi attorno alle quattrocento unità. Se consideriamo che il censimento del 1860 certificava la presenza di 1.590 musicisti di professione nello Stato di New York, ne consegue che un quarto di essi si manteneva grazie al business della prostituzione fiorito in città.

Un pianista di ragtime in una casa di tolleranza

L’infelicità degli africani condotti in schiavitù in America costituì il terreno fertile per la nascita e lo sviluppo del blues. Che, insieme ad alcuni generi pianistici, come il ragtime o l’honky tonky, crebbe negli ambienti delle case di tolleranza. Similmente, il famoso quartiere a luci rosse di New Orleans, Storyville, fu uno dei luoghi dal quale vennero fuori molti tra i più importanti musicisti del jazz

La storia del tango argentino inizia a Buenos Aires ai primi del Novecento. È una musica triste, malinconica, nata dagli immigranti costretti a lasciare le proprie case e dall’incontro della cultura popolare europea con quella locale, caratterizzata da una etnia di origine africana con i suoi ritmi musicali. All’inizio si ballava dentro le case, nei conventillos, nei peringundìn e nei bordelli, dove le donne venivano pagate per ballare con gli uomini. E il carattere sensuale del ballo fu subito apprezzato ma anche criticato fortemente, come avvenne prima con il valzer, tanto da essere bollato come osceno e immorale.

E così il fado, che prende forma nelle taverne delle periferie povere, malfamate e malavitose di Lisbona, dove si mescolavano vari popoli, tra i quali spiccava la presenza di molti neri africani, la cui deportazione era cominciata fin dagli anni Quaranta del XV secolo.

Il raï, genere musicale tradizionale dell’Algeria, nasce a Oran, una città permissiva che, come tutti i porti, ha una fitta rete di locali, nightclub, taverne e bordelli, ma anche perché, affacciata com’è sul Mediterraneo, la città è aperta a molte influenze musicali: il flamenco e la musica andalusa dalla Spagna, lo gnawa – musica trance marocchina – come anche la musica dei Berberi della regione di Kabylia, i ritmi dei nomadi arabi, la chanson e il cabaret francese. Cantano in una lingua mista, l’orani (wahrani in arabo), con influenze francesi e spagnole. Le canzoni raï parlano di vita quotidiana – povertà, tristezza, indipendenza dall’oppressione coloniale – ma i temi che rompono davvero con la tradizione sono il vino, l’amore, una sensibilità piuttosto libertina. All’inizio del Novecento, le primedonne aggiunsero idee trasgressive, cantando la libertà di amare e desiderare.

È nei peccaminosi Café Aman, invece, che si sviluppò la grande tradizione musicale dei popoli dell’Asia Minore che, dopo essersi trasferiti dall’altra parte del Mar Egeo, crearono il rebetiko. Luoghi dove si riunivano per bere, mangiare e fumare il narghilé profughi, emarginati e malavitosi. Suonavano e cantavano rebetiko, con l’accompagnamento strumentale del bouzouki e del baglamàs, della chitarra e del violino, per raccontare i loro disagi o le loro peripezie tramite la musica. La tematica delle canzoni riguardava storie di povertà, di prigione, di droga, d’amore, di prostituzione.

Presto i Café Aman cominciarono a essere frequentati anche dai greci attratti dalla bravura di artisti immigrati da Istanbul e Smirne, che ebbero un grande impatto sulla scena locale della musica ellenica. E, anche in questo caso, le voci delle donne contribuiranno alla diffusione.

L’ensemble Aman Rebetiko: Chrysa Papadopoulou (voce, percussioni), Marina Liontou Mohamed (oud, voce), Daniel Barmas (chitarra, voce) e Alkis Zopoglou (kanun, voce)

L’ensemble Aman Rebetiko ci porterà nel cuore del rebetiko venerdì 19 gennaio al Teatro Sangiorgi di Catania, alle ore 21. Ospiti della rassegna organizzata dall’Associazione musicale etnea, Chrysa Papadopoulou (voce, percussioni), Marina Liontou Mohamed (oud, voce), Daniel Barmas (chitarra, voce) e Alkis Zopoglou (kanun, voce) con la bellezza dei loro strumenti e le loro voci magiche faranno da guida in un viaggio tra melodie accattivanti mentre lasciavano l’Asia Minore e arrivavano al porto del Pireo. 

«Suoneremo un repertorio che attinge sia alle canzoni suonate nei Café Aman, sia da quella sviluppatasi in seguito, specialmente in città come Atene e Salonicco, e a cui hanno contribuito autori molto noti come Grigoris Asikis e PanagiotisToundas, di cui proporremo alcune canzoni». In scaletta ci saranno brani come Sala sala, una love song popolare in Turchia e in Grecia che parla di una ragazza il cui segno distintivo è una sciarpa che le permetterà di essere riconosciuta dall’amato. O Ti se melei esenane, che dà voce al perdurante pregiudizio, diffuso negli anni dopo il conflitto, nei confronti di chi proviene da una terra ormai considerata straniera.

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