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Crepuscolo rock, l’esempio dei R.E.M.

È stata l’unica band a sciogliersi perché ritenne di aver esaurito la spinta creativa. Non hanno ceduto al profumo del denaro, né alle lusinghe del mercato della nostalgia. Non tutti i gruppi possono vantarsi di aver lasciato un’eredità di qualità così incontaminata

Se hai una passione e porta denaro, popolarità e adorazione, come puoi fare a scendere dal palco e appendere gli stivali al chiodo? Ci sono esempi che, in questa professione, lavorare sembra più una questione per sentirsi vivi. Nel precedente articolo abbiamo visto come i protagonisti della stagione dei grandi eventi “live” abbiano ormai superato i settant’anni di età e nessuno ha voglia di mettersi in pantofole. Willie Nelson, Bob Dylan, Van Morrison e Neil Young simboleggiano una filosofia vitale e artistica con la loro inarrestabile attività discografica e concertistica. Molti altri sembrano vivere di più degli introiti della loro fama e del fruttuoso business del mercato della nostalgia.

Tina Turner, ritiratasi nel 2009, all’età di 70 anni, è un rarissimo caso di pensionamento in questa professione. Qualcuno citerà i casi italiani di Ivano Fossati e Francesco Guccini. Ma entrambi sono caduti nella tentazione, attratti dalle sirene: Mina per il cantautore genovese, la nostalgia, gli amici e l’etichetta discografico per quello di Pavana. E che dire dei Pooh? No, l’unico caso da ricordare è quello dei R.E.M., i cui membri si ritirarono nel settembre 2011. Il gruppo di Athens è stato un meraviglioso esempio di vita e, oggi è anche un meraviglioso esempio di saper appendere gli stivali al chiodo.

I REM si sono dissolti amichevolmente, senza grandi litigi o traumi. Come ha detto il frontman Michael Stipe, volevano farlo «correttamente». «Non c’erano forze esterne o problemi interni, è stata una decisione consensuale del gruppo», ha detto il cantante. La band divenne la prima della storia a sciogliersi senza scontri e senza che nessun membro fosse morto o avesse seri problemi di droga. La loro separazione non ha nulla a che vedere con quelle dei Beatles, Kinks, Led Zeppelin, Creedence Clearwater Revival, Oasis… Non è nemmeno paragonabile a quella della celebre The Band. Con il loro addio, i R.E.M. entravano a far parte della storia, anche se il loro esempio non si è diffuso.

Agosto 1995, i REM a Catania. A destra, Francesco Virlinzi

Ci sono formazioni o musicisti che sono diventati qualcosa di così mastodontico da non essere più sul palco come portatori di qualcosa di magico. Ma piuttosto come meri spettacoli di fuochi d’artificio e artifici: è pop contrabbandato in un’esibizione di danza coreografata. La stessa cosa accade quando queste formazioni o musicisti sono gruppi mitici e passano anche attraverso lo studio di registrazione come procedura per fare soldi, dimenticando di sviluppare opere interessanti, ambiziose. In questo senso il risultato è disastroso: né bei live né bei dischi. Nient’altro che nostalgie ed eventi mondani lontani da intenti artistici. I REM hanno fatto quello che, a un certo punto, avrebbero potuto fare Rolling Stones, U2, Coldplay, Eagles, The Smashing Pumpkins, Black Eyed Peas… «Abbiamo sempre fatto quello che volevamo e lo abbiamo fatto al meglio delle nostre capacità», disse Stipe. I REM lasciarono quando avvertirono che la spinta creativa si era esaurita. Ciascuno intraprese la propria strada. Chi dedicandosi alla pittura come Stipe, chi continuando a fare musica.

Non tutti i gruppi possono vantarsi di aver lasciato un’eredità di qualità così incontaminata. I REM sono nati da quella scena degli anni Ottanta conosciuta come “new american rock”, formata da rigeneratori di rock country e garage. Al centro di una mappa abitata da band di strade secondarie, come The Long Ryders, Green On Red, Jason & The Scorchers o Dream Syndicate, i R.E.M. hanno aperto un’autostrada. Dal loro rock dalle parabole roboanti è arrivato un percorso diretto verso la fama, dove i suoni vintage americani sono stati abbracciati da un rinnovato universo pop. Una strada maestra che ha sempre seguito una linea di straordinaria coerenza artistica. Perché dal microcosmo dei R.E.M., formato dalle radici sonore dei Byrds che si uniscono al garage, al punk e al pop, sono emersi veri e propri inni.

Michale Stipe oggi

Come ha scritto il giornalista musicale Simon Reynolds nel suo libro Post-punk, «il movimento post-punk della fine degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80 aveva rimosso intere sezioni di musica dal menu, in particolare gli anni ‘60… Dopo il post-punk demistificante e i nuovi schemi pop, era liberatorio ascoltare la musica radicata nella meraviglia mistica e nella resa beata dei R.E.M. La band ricordava la musica degli anni Sessanta con le sue chitarre clamorose e il suo tocco folk. Ecco fatto: una band che ricorda la grandezza degli anni Sessanta. E, se l’età d’oro del pop-rock non dovesse mai tornare com’era, allora nemmeno i R.E.M. poiché il loro tempo di gloria è già passato».

Hanno capito. Sapevano sempre quando fare marcia indietro. I R.E.M. ci mancano. 

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