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C’è ancora da imparare da Nina Simone

Esce “You’ve Got to Learn”, prima volta in cui viene documentato lo storico concerto tenuto dalla grande interprete al Newport Jazz Festival: il pubblicò impedì all’ospite successivo di suonare perché voleva ascoltare ancora lei. Lì presentò la versione di “Mississippi Goddam”, canzone che diventerà un grido di battaglia del popolo afroamericano 

La leggendaria esibizione di Nina Simone del 1966 al Newport Jazz Festival è stata ricordata con soggezione per mezzo secolo. Per due motivi: il suo set è stato così accattivante che gli spettatori non hanno permesso all’ospite successivo di salire sul palco, hanno fischiato finché il presentatore del festival non ha finalmente annunciato che sarebbe tornata per il bis. L’altro motivo è stato per la versione rinnovata del suo appassionato Mississippi Goddam. Per collezionisti, fan e chiunque ami anche solo vagamente la musica di Simone, la Mississippi Goddam di Newport è stata come un vapore nel vento: spesso discussa, raramente ascoltata.

You’ve Got to Learn è la prima uscita in assoluto di questo specifico set di Newport, in onore di quello che sarebbe stato il novantesimo compleanno di Simone. Ovviamente non mancano le registrazioni di Simone che suona dal vivo. Dalla sua prima volta a Newport nel 1960 fino ai suoi set al jazz club londinese Ronnie Scott’s negli anni Ottanta, il palco è dove la sua infinita abilità artistica ha brillato di più e dove il suo comportamento spesso imprevedibile ha rivelato una brillante e tormentata artista. 

Nina Simone, pseudonimo di Eunice Kathleen Waymon (Tryon, 21 febbraio 1933 – Carry-le-Rouet, 21 aprile 2003)

Questo set cattura un momento clou del movimento per i diritti civili, dopo le marce a Selma e Jackson dove si era esibita Simone, ma prima che molti dei suoi amici come Langston Hughes o Martin Luther King Jr. morissero. In You’ve Got to Learn, Nina Simone interpreta canzoni familiari con arrangiamenti unici, e la sua urgenza politica si traduce in una particolare serenità nella sua performance, come se fosse sia l’occhio che l’uragano.

Mentre l’esibizione inizia a ricevere applausi scroscianti, Nina Simone torna alle radici del blues, radicando ogni traccia nelle fondamenta da cui provengono. La straziante canzone del titolo, registrata con archi e voce di sottofondo per I Got a Spell On You del 1965, è presentata qui nella sua vera forma, un progetto potentemente triste e grintoso per sopprimere il dolore di un cuore spezzato fino a quando non si cicatrizza. In I Loves You Porgy, la melodia di George Gershwin che l’ha resa una star, sembra bloccata nel fango delle emozioni umane. In un intermezzo che introduce l’imponente Blues For Mama, imposta la scena con la sua voce dolce e regale: «C’è un vecchio portico, e c’è un vecchio, e c’è una chitarra malconcia e una bottiglia rotta. Ci sono mosche tutt’intorno, c’è melassa tutt’intorno e lui sta componendo la sua melodia in un pomeriggio caldo». In quel momento politico, ripercorre la lunga strada dalle origini del blues alla lotta per la liberazione, che la porta anche a casa: «Piacerà a un certo tipo di donna che ha avuto questo tipo di esperienza». Anche per Nina Simone il dolore è solo in superficie, ma lei lascerà uscire tutto dal pianoforte.

You’ve Got to Learn vale la pena solo per la versione di Mississippi Goddam. Simone aveva scritto la canzone in risposta alla violenza razzista che affliggeva il sud nell’estate del 1963: l’assassinio dell’avvocato e icona dei diritti civili Medgar Evers nel suo vialetto di Jackson, Mississippi, da parte di un membro del Ku Klux Klan; e l’attentato alla 16th Street Baptist Church, dove quattro membri del KKK a Birmingham, in Alabama, piazzarono una bomba che uccise quattro giovani ragazze nere. 

Il conseguente furore per una donna nera che cantava una parolaccia in una canzone che chiedeva l’uguaglianza nell’era di Jim Crow portò le stazioni radio a spezzare a metà i singoli in vinile e rimandarli all’etichetta discografica. Ma la loro rabbia non poteva avvicinarsi a quella di Nina Simone, che canalizzava quella di una nazione. «Volevamo tutti dirlo», ha osservato il leggendario attivista e comico Dick Gregory, nel documentario del 2015 What Happened, Miss Simone? «L’ha detto lei».

L’interpretazione più popolare di Mississippi Goddam, registrata alla Carnegie Hall nel 1964, è un’esca consapevole: la sua rabbia verso la crudeltà omicida inflitta ai neri americani è, all’inizio, espressa principalmente a parole. Canta, in modo colloquiale e quasi allegra, su accordi brillanti e lascia che la tensione cresca mentre la canzone si apre, e poi il torbido cambio di tonalità: sottomissione, disperazione, urgenza e, infine, rivolta esistenziale. Non ha perso un briciolo del suo potere, ma dice molto sia sull’epoca sia sul suo pubblico alla Carnegie, ciò che fa sussultare il pubblico per lo shock è che Nina Simone dice ad alta voce la parola «dannazione».

Due anni dopo l’esibizione alla Carnegie Hall, a Newport, Rhode Island, Mississippi Goddam è diventato un grido di battaglia, e Nina Simone ha deciso di mettere da parte il ritmo travolgente della melodia dello spettacolo, per oscillare in un riff blues. In questo resoconto del caos, scambia il Tennessee con la California nei testi per riflettere la Watts Rebellion del 1965, «mandando l’ascoltatore su un’onda attraverso la crescente distesa della violenza nazionale», come la professoressa e autrice Shana L. Redmond scrive nelle note di copertina. L’interpretazione di Nina è particolarmente colloquiale qui, la sua voce si arriccia al limite di ogni frase con una profondità graffiante ed esasperata. Ma anche nella sua massima potenza, non tradisce mai del tutto la natura misurata della sua rabbia, una qualità enigmatica che ha permeato la sua musica così come la sua vita. La sua genialità derivava dalla razionalità come dal tumulto dei sentimenti, il suo virtuosismo tecnico uno sbocco per il dolore personale che ha sopportato, sia per mano violenta del suo primo marito e manager, sia attraverso le lotte contro il disturbo bipolare del quale soffriva e che a lungo non era stato diagnosticato.

Attraverso sette canzoni e 33 minuti, è difficile avere la sensazione di aver scoperto una nuova piega o uno strappo nella vita e nella musica riccamente catalogate di Nina Simone. Ma anche nella sua brevità, You’ve Got to Learn è un documento di come la musica possa motivare un momento politico e di come la più cruciale di queste canzoni si riverberi nel corso della storia, in particolare quando la storia si avvolge su se stessa, ripetendo lo stesso schema crudele. La musica e la voce di Simone hanno ancora la capacità di portarci verso la rettitudine. C’è ancora da imparare da Nina Simone.

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