Disco

Capossela: il mio album nato dalla paura

Esce “Tredici canzoni urgenti”, un disco nato «per un attaccamento alla vita e per un senso del pericolo che mi hanno spinto a scrivere». «Il mondo cade a pezzi restano solo le parole, anch’esse a rischio». Un lavoro alla Randy Newman, nei testi e nelle musiche, nel quale l’artista elenca un campionario di mali derivanti da una cultura tossica. «Ma la vita è un dono». Richiami a Battiato e citazioni colte
La copertina dell’album

“Il mondo cade a pezzi / il gas sale alle stelle … La speranza si riduce … Non c’è argine o confine / il mondo è andato in folle … Ma tu sei… il mio bene rifugio”. Nell’elencazione di tutti i mali che affliggono l’umanità e il nostro pianeta, ai quali rispondiamo con la folla corsa ai cosiddetti “beni rifugio”, troviamo il significato di Tredici canzoni urgenti, il nuovo album di Vinicio Capossela. Tredici canzoni nate dall’impellente necessità di reagire davanti alla catastrofe imminente, al lento e inesorabile declino dell’Occidente.

«Sono diretta conseguenza del momento storico che stiamo vivendo, momento che faccio partire dall’osceno plauso in Senato alla bocciatura del progetto di legge contro i reati di odio e discriminazione razziale (ottobre 2021). Momento storico in cui diritti costantemente elusi, ma permanenti nella loro urgenza di soluzione, dallo ius soli al diritto di scegliere il fine vita, rimangono privi di un riconoscimento», spiega il cantautore nato ad Hannover, ma d’origini campane. 

«Quando le emergenze sono gestite ad arte dalla propaganda, il livello di pericolo aumenta», prosegue. «C’è chi scrisse che la prima vittima della guerra è la verità. Questo perché c’è una narrazione che premia sempre la paura. Il disco nasce per un attaccamento alla vita e per un senso del pericolo che mi hanno spinto a scrivere. Tutto questo consapevole dei nostri, dei miei, limiti. Il tempo dei regali (ispirato dal libro di Patrick Leigh Fermor, nda) parla proprio di questo. Dei limiti».

Tredici canzoni urgenti ricorda sia nelle atmosfere musicali sia nei contenuti il miglior Randy Newman, fustigatore dei costumi morali e delle cattive condotte politiche del suo Paese che mette alla berlina politica e società attraverso le debolezze e le sottili perversioni sia dei potenti sia della gente comune, senza mai cedere ai facili moralismi. Così l’album si trasforma in una sorta di campionario di mali derivanti da una cultura tossica, «nella quale maturano la violenza di genere, l’abbandono della scuola, la cultura usata come mezzo di separazione sociale, la cattiva educazione alla gestione delle emozioni, la delega all’intrattenimento digitale in cui versa l’infanzia. E poi la situazione emergenziale delle carceri, lo stato di minorità in cui versiamo, massimamente rappresentato dalla reclusione senza riabilitazione. E ancora, i nuovi modelli predatori di consumo sintetizzati nella formula “all you can eat”», arringa Capossela. «L’affermazione dei populismi, del neoliberismo, del post fascismo, il cortocircuito del sistema dei valori etici. Un campionario di mali che abbiamo quotidianamente davanti ai nostri occhi ma che – schiacciati dall’incessante berciare della società dello spettacolo (che è sempre più la società dell’algoritmo) – affrontiamo ciascuno chiuso nel proprio guscio, indifferenti, spesso appiattendoci su facili posizioni da tifosi più che da cittadini». 

In questa analisi-denuncia della condizione umana moderna, Capossela attinge a piene mani nel suo bagaglio culturale, fra citazioni colte e riferimenti che spaziano da Bertold Brecht a Lodovico Ariosto, da Ferdinand Céline a Ernst Bloch, da Goethe a Kant. Mentre musicalmente, oltre ai richiami a Randy Newman, soprattutto nell’iniziale valzer de Il bene rifugio e nello swing di All you can eat, c’è la melodia di Franco Battiato che fa capolino in Staffette in bicicletta, dov’è ospite l’ex Ustmamò Mara Redeghieri. Il più celebre dei canti partigiani viene parafrasato da Margherita Vicario nell’incipit del brano La cattiva educazione, canzone che riporta a un’altra guerra di sopraffazione, compiuta spesso fra le mura domestiche e generata da una cultura patriarcale, misogina che ha trasformato l’amore in uso e abuso della sessualità, del corpo, della violenza e del possesso.

Vinicio Capossela (foto Jean Philippe Pernot)

Battiato, ma quello elettronico-dance, ritorna nella bizzarra Il divano occidentale mescolato a follie alla Frank Zappa, a ritornelli alla Rappresentante di Lista (”Il tuo sedere, il mio sedere sul divano”), con un finale reggae. C’è il folk rock alla Bob Dylan in Ariosto governatore. Ci sono un piano alla Chopin e gli archi nell’antimilitarista La crociata dei bambini dai toni fiabeschi. Ci sono il cha-cha e gli anni Sessanta nella fanciullesca Cha cha chaf della pozzanghera e le atmosfere da luna park alla Tom Waits in Il tempo dei regali. Ci sono esplosioni di fiati e archi e ci sono melodie semplici, essenziali, sdentate, ma forti. E sempre ad avere un ruolo di primo piano è la parola, che torna a riacquistare quel valore che si sta perdendo. 

«Ovvio che la poesia accompagna e aiuta», commenta. «Se non fosse così queste canzoni sarebbero dei comunicati stampa su quello che ci circonda, ma non è così. Io penso che anche il valore stesso delle parole sia in pericolo. La frase “ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati” di Brecht (nel brano La parte del torto, ndr) viene usata dai politici a seconda delle circostanze e delle convenienze. Io credo di conoscere a quale parte si riferisse Brecht. È tutto da rimarcare e da ridefinire perché le parole vengono strumentalizzate. Bisogna essere attenti a queste dinamiche. Gramsci scrisse che “odiava gli indifferenti”. Per me anche più pericolosi sono coloro che generano indifferenza».

L’album sarà presentato in anteprima il 20 aprile in un concerto al Conservatorio di Milano a cui seguiranno una serie di “concerti urgenti”, a partire da Riccione, il 23 aprile, poi il 25 aprile a mezzogiorno a Gattatico (RE) e la sera a Torino. Si prosegue il 9 luglio a Fiesole, il 13 a Pesaro, il 28 a Bra, il 29 a Bard (AO), il 2 agosto a Cassano all’Ionio (CS) e il 3 agosto a Mesagne (BR). Il Primo Maggio sarà a Taranto, al concerto organizzato dai lavoratori dell’Ilva, e non a Roma per quello dei sindacati. «Il Primo Maggio della capitale trascura la canzone sociale, una tradizione italiana straordinaria. Quella di Taranto è una manifestazione socialmente più chiara».

(la foto in apertura è di Guido Harari)

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