Interviste

Matteo Mancuso, star siciliana della chitarra

Il giovane di Casteldaccia ha conquistato l’America con il suo jazz dall’anima rock. Dal 20 aprile sarà in tour nel nostro Paese con il suo trio. «Ho cominciato con Deep Purple, Led Zeppelin e AC/DC, ma il trio elettrico c’è anche nel jazz, penso a Mike Stern e John Scofield». «In Italia c’è poca attenzione per la musica strumentale». «Nei concerti presenterò il mio album d’esordio che uscirà il 30 giugno e alcune cover»

È appena sbarcato dall’aereo che da Los Angeles lo ha riportato in Italia, dove il 20 aprile da Palermo partirà in tour lungo tutta la penisola. Oltre Oceano Matteo Mancuso è una star della chitarra, tanto da essere stato una delle principali attrazioni della tre giorni del Namm Show, la più grande fiera di prodotti musicali. 

«Ho fatto alcune performance e ho approfittato per assistere a qualche concerto», racconta il giovane chitarrista siciliano. «Sono andato a vedere il nuovo progetto di Simon Phillips, l’ex batterista di Toto e tanti altri, che si chiama Protocol V, e poi lo show di Jesus Molina, organista jazz colombiano».

Matteo Mancuso, palermitano classe 1996

Matteo Mancuso è stato un enfant prodige. Ha cominciato a suonare a 10 anni e qualche anno dopo calcava già palchi importanti nella band di papà Vincenzo, anche lui musicista con un ottimo curriculum. «Prima di dedicarsi alla famiglia, era un chitarrista molto richiesto», spiega il figlio. «Ha studiato jazz in America con Chuck Wein, negli anni Ottanta ha suonato in alcuni album di Francesco De Gregori, per due volte è stato nell’orchestra del Festival di Sanremo e nel 2006 era in tour con Renato Zero». 

Ascoltando suonare papà Vincenzo, è nata la curiosità per lo strumento che ha spinto il piccolo Matteo ad avvicinarsi alla musica. «Ho cominciato per hobby. A 14 anni ho capito che quello poteva diventare un lavoro. Ho cominciato a studiare chitarra classica e flauto traverso». Fino a vincere a Umbria Jazz una borsa di studio per il prestigioso Berklee College di Boston. 

Matteo Mancuso è un talento assoluto: ci vorrebbero due o tre vite per imparare anche per uno come me a improvvisare così bene alla chitarra come lui

Al Di Meola
Al Di Meola

Ma i migliori e più importanti attestati di stima li conquista sul palco. Da Dweezil Zappa, Joe Bonamassa e Stef Burns. «L’evoluzione della chitarra è al sicuro nelle mani di musicisti come lui che rappresentano un nuovo livello per il tono, per la precisione nel tocco e la scelta delle note», dice di Matteo il chitarrista Steve Vai. «Un talento assoluto: ci vorrebbero due o tre vite per imparare anche per uno come me a improvvisare così bene alla chitarra come lui», commenta Al Di Meola dopo aver duettato alla chitarra classica con Matteo Mancuso durante la serata conclusiva dell’Eddie Lang Jazz Festival.

Il ventisettenne chitarrista di Casteldaccia frequenta i festival jazz europei e americani, pur non essendo un purista del genere. «Il jazz che suono non è quello tradizionale, nel quale non mi rispecchio. Ci sono passato, attraverso lo swing, il be-bop, l’hard-bop, John Coltrane, Charlie Parker. Io preferisco la fusion, l’incontro fra più generi musicali, la contaminazione fra elementi diversi».

Dalla formazione con cui si presenta sul palco, un trio elettrico con Stefano India al basso e Giuseppe Bruno alla batteriasi evince un’anima rock. «Ho cominciato con Deep Purple, Led Zeppelin e AC/DC ed anche i miei compagni di avventura hanno lo stesso imprinting. Ma il trio elettrico c’è anche nel jazz, penso a Mike Stern e John Scofield». 

Un genere, la fusion, che tuttavia sembrava ormai sulla via del tramonto. «Colpa di quella che negli USA chiamano smooth jazz, una forma più commerciale e accessibile. Oggi si sta tornando alla tradizione, specialmente a New York, ma in California è preferita la fusion».

E in Italia?

«Qui, purtroppo, c’è poca attenzione per la musica strumentale. Dipende da un fattore culturale. Rispetto all’America manca una educazione musicale nelle scuole, lì c’è più partecipazione, si formano le big band. E mentre qui siamo legati alla tradizione classica, gli USA sono stati la culla della musica jazz, rock, blues. La mia è musica strumentale di stampo americano ed è più difficile trovare spazio in Italia. Qui è più facile lavorare per un cantante, agli italiani piace cantare».

Il tour italiano partirà il 20 aprile da Palermo (Real Teatro Santa Cecilia), per poi fare tappa il 22 aprile a Modica (Teatro Garibaldi), il 23 a Catania (Zo Centro Culture Contemporanee), il 4 maggio a Milano (Santeria Toscana 31), il 5 maggio a Torino (Cap 10100), il 6 al Sign Music Desk di Ceparana (SP), il 7 a al Dumbo di Bologna, l’8 al Bronson Club di Ravenna, il 9 al Foqus di Napoli, il 10 al Mood di Cosenza, l’11 maggio a Bari (Officina Degli Esordi), per chiudere il 12 maggio al Crossroads di Roma.

«In scaletta ci saranno i nove brani del mio album d’esordio che, se tutto fila secondo i programmi, uscirà il 30 giugno per una etichetta di Los Angeles», annuncia Matteo Mancuso. «Non mancheranno alcune cover: un omaggio ad Alan Holdsworth, chitarrista jazz inglese che amo molto, del quale facciamo Fred, e poi Led Boots, tributo a Jeff Beck che rivela la nostra anima rock».

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