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Brutto Sanremo e si parla di politica

Le canzoni sono mediocri e i mass media danno spazio alle polemiche fra Salvini e Amadeus, soffermandosi su Benigni e la Costituzione. Ascolti sempre alti

“Salvini-Amadeus: è un Festival ad alta tensione”, titola il Corriere della Sera in prima pagina. La Repubblica intervista il presidente del Senato Ignazio La Russa e si sofferma su Salvini e Benigni. “Benigni aedo del potere” scrive invece Il Fatto Quotidiano. E all’intervento del toscanaccio sulla Costituzione, alle esternazioni del leader della Lega Nord ed alla lettera di Zelensky annunciata per la serata finale sono dedicati titoli, articoli, pagine di gran parte dei quotidiani. Manca l’arringa politica di Fedez a difesa di Rosa Chemical, ma perché arrivata oltre tempo massimo. E le canzoni? Già, perché, alla fine, Sanremo sarebbe il Festival della canzone italiana. Invece non lo è.

Non lo è perché i mass media per una settimana spostano i riflettori dai Palazzi del Potere su un teatro di provincia che si chiama Ariston. È qui che per sette giorni si parla di diritti umani, Ucraina, Iran, violenza sulle donne, carceri minorili, razzismo, libertà. E i “furbetti” della politica, per non rimanere in ombra, cercano di sfruttare la luce riflessa. 

Roberto Benigni protagonista nella parte iniziale della serata di martedì

Non lo è perché, nonostante Amadeus lo ripeta ogni sera a inizio di diretta tv, la canzone italiana da tempo non alberga qui e segue altre strade che non passano dalla riviera ligure. Quelle ascoltate in questa edizione sono bruttissime. Tutte uguali. Urlate e soprattutto sussurrate o bofonchiate a un millimetro dal microfono. Parole incomprensibili, stonature. La melodia è inesistente. Il deja vu è dietro l’angolo. Nessuno che riesca a trasmettere una emozione vera. Così ci ritroviamo a rimpiangere Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Al Bano (picco di quasi 17 milioni di spettatori mercoledì sera). E cosa accadrà sabato quando saliranno sul palco due monumenti come Gino Paoli e Ornella Vanoni?

Fedez, in diretta dalla nave Smeralda, esce fuori copione, rappando un testo che non era stato sottoposta alla supervisione dei vertici Rai. E se ne assume la responsabilità. Un rap in cui ricorda di aver avuto il cancro, di aver pianto per questo in televisione, poi ironizza sul Codacons – «guarda come mi diverto» -, prende le parti di Rosa Chemical dicendo che mentre lui viene criticato al Festival (il riferimento è a Salvini) va invece bene il viceministro alle infrastrutture Galeazzo Bignami, di Fratelli d’Italia, bolognese. E mostra la foto in cui Bignami è travestito da nazista, camicia scura e svastica alla spalla. 

Una volta nascevano nuove inimitabili star: Adriano Celentano con 24 mila baci nel 1961, la allora quindicenne Gigliola Cinquetti, con Non ho l’età nel ‘64, e quella che sarebbe diventata una donna raffinata, una cantante e un’attrice di prestigio internazionale, Milva, che quando nel ‘61 apparve a Sanremo tutta vestita d’oro per cantare Il mare nel cassetto era una ragazzona piuttosto incolta e spaventata. E ancora, senza sprofondare nel passato, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Giorgia, Andrea Bocelli, tutti “figli” dei Festival di Pippo Baudo.

Amadeus si limita a raccogliere quelli che al momento sono nella Top Ten delle vendite, mescolandoli a qualche volto noto e ramazzando qualche scarto dai talent show di altre reti tv, con l’unico intento di fare incetta di pubblico giovane, adulto, anziano, purché abbia un telecomando. È un Festival costruito attorno alla pubblicità e all’Auditel. Che può essere giustificato da un punto di vista di strategia aziendale. Ma è un Festival arido musicalmente e culturalmente. Riempito di brutte canzoni, brutte battute comiche (Angelo Duro), brutti ospiti internazionali. 

Così, per riempire le pagine, i giornali parlano d’altro. Anche se ci si chiede: quando il Festival era bello gli veniva dedicato un breve articolo, oggi per dire che il Festival è brutto non basterebbe meno spazio?

Comunque mi permetto di non credere che mercoledì sera più di 10 milioni e mezzo di persone (share 62,3%) siano state sedute per quattro ore e più a guardarlo tutto. Chissà quanti si sono soffermati qualche minuto, brontolando, e li han contati lo stesso.

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